Se il Cremlino finanzia la guerra anche con i diamanti
Un diamante è per sempre, recitava un famoso slogan. O forse no. Soprattutto se, di mezzo, c'è la Russia. Ovvero, il maggior esportatore di diamanti al mondo per volume. Grazie, fra le altre cose, a una società statale, Alrosa, che nel 2021 aveva estratto quasi un terzo di tutti i diamanti prodotti nel 2021 come riporta il New York Times. Non è un caso se, la scorsa primavera, il presidente statunitense Joe Biden ha vietato l'importazione di diamanti grezzi dalla Russia – quello americano è il più grande mercato mondiale di diamanti finiti – e, parallelamente, se il Dipartimento del Tesoro ha imposto sanzioni alla citata Alrosa. Tutto, insomma, pur di evitare che i proventi della vendita di queste pietre preziose finanzi la guerra del Cremlino. Un ragionamento simile era stato applicato, all'inizio del conflitto, per i combustibili fossili. Autentica benzina per le casse russe. Altri Paesi, come il Regno Unito, hanno imposto restrizioni e sanzioni analoghe sui diamanti. Altri, ma non tutti.
C'è chi si autoregola
L'anno scorso, nel 2022, anche l'Unione Europea aveva cercato, invano, di sanzionare i diamanti provenienti dalla Federazione Russa. Invano perché il Belgio, a sorpresa ma nemmeno troppo, si era messo di traverso. Facendo proprie le proteste di Anversa, uno dei principali snodi commerciali in termini di pietre preziose. La città portuale belga, in particolare, aveva spiegato che, al netto della difficoltà nel rintracciare la vera origine di un diamante, un blocco alle importazioni russe avrebbe favorito altri hub. Come Dubai o l'India.
Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino, evidentemente non aveva gradito. Ma qualcosa, nel frattempo, si starebbe muovendo. I Paesi del G7, Regno Unito, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone e Stati Uniti, e quelli del blocco europeo sarebbero infine decisi a strozzare molti, se non tutti, i canali attraverso cui i diamanti russi arrivano sul mercato. Sanzionando non solo le importazioni dirette di diamanti estratti nella Federazione Russa, ma anche quelle di pietre tagliate e lucidate in altri Paesi. Un passo avanti, deciso, anche rispetto alle sanzioni americane. Considerando che il 90% dei diamanti viene tagliato e lucidato in India e, soprattutto, può essere classificato come gemma indiana, le norme attuali sono meno severe di quanto si potrebbe pensare.
Ad autoregolamentarsi, in questo senso, sono stati (anche) gli stessi operatori del lusso, fra cui Richemont e LVMH. Ora, appunto, la prossima mossa dovrebbe arrivare dal G7, i cui Paesi nell'insieme rappresentano il 70%, circa, di tutti gli acquisti di diamanti. Un annuncio formale, in questo senso, è atteso per settembre. Con l'entrata in vigore delle sanzioni che, invece, scatterebbe a gennaio.
Il punto, scrive ancora il New York Times, è capire se un'industria come quella dei diamanti sia in grado di produrre, con accuratezza e affidabilità, i documenti necessari che attestino la provenienza di un singolo diamante. I passaggi dalla miniera al consumatore finale, infatti, sono molteplici. Come molteplici sono le possibili scappatoie. Almeno ad oggi. Secondo Hans Merket, un ricercatore dell'International Peace Information Service, citato dal quotidiano americano, un diamante può passare di mano da 20 a 30 volte prima di arrivare sul mercato.
Gli snodi post-invasione
Ad oggi, detto degli sforzi per limitare gli introiti derivanti dalla vendita di diamanti, le esportazioni russe di pietre preziose sono del tutto simili a quelle pre-guerra. A cambiare, per contro, è la geografia o, meglio, il flusso di queste esportazioni. Se Anversa ha registrato un -95% rispetto all'epoca antecedente l'invasione russa dell'Ucraina, la Cina è diventata un nuovo, importante centro di scambio dei diamanti di Mosca. Non solo, ex repubbliche sovietiche come Armenia e Bielorussia si sono specializzate nel taglio e nella lucidatura. Pure Dubai ha beneficiato di questo nuovo assetto, dettato anche, come detto, dalle sanzioni già in vigore.
L'India, dal canto suo, non ha ricevuto la benché minima reprimenda da parte dell'Occidente: ha continuato a trattare diamanti russi, sebbene l'America abbia congelato alcune transazioni condotte da commercianti indiani. E così, nel tentativo di compensare i potenziali danni al commercio locale e, di riflesso, mantenere l'occupazione, il governo indiano e la sua industria gemmologica hanno aumentato in modo significativo gli investimenti nella produzione di diamanti coltivati in laboratorio, che fra l'altro richiedono lo stesso taglio e la stessa lucidatura delle pietre naturali. Lo scorso giugno, Modi ha presentato un diamante sintetico da 7,5 carati a Jill Biden, la first lady, durante la sua visita alla Casa Bianca. Un gesto gentile, certo, e dai contorni squisitamente diplomatici.
La (nuova) tecnologia
E proprio la popolarità, crescente, dei diamanti artificiali potrebbe avere un impatto, e non certo insignificante, sulle esportazioni russe. Oltre alle sanzioni, insomma, molto potrebbero fare le alternative in laboratorio. Alternative che, fatto importante, offrono maggiori garanzie in termini di tracciabilità.
I diamanti veri, chiamiamoli così, allo stato attuale delle cose devono soddisfare lo schema di certificazione KPCS o Kimberley Process. Uno schema, citiamo Wikipedia, volto a garantire che i profitti ricavati dal commercio di diamanti non vengano usati per finanziare guerre civili. Come in Africa negli anni Novanta, senza per questo scomodare Blood Diamond con Leonardo DiCaprio. L'accordo è stato messo a punto e approvato con lo sforzo congiunto dei governi di numerosi Paesi, di multinazionali produttrici di diamanti, nonché della società civile. I requisiti, fondamentalmente, sono tre: che i diamanti provenienti dal Paese non siano destinati a finanziare gruppi di ribelli o altre organizzazioni che mirano a rovesciare il governo riconosciuto dalle Nazioni Unite; che ogni diamante esportato sia accompagnato da un certificato che provi il rispetto dello schema del Kimberley Process; che nessun diamante sia importato da, o esportato verso, un Paese non membro del Kimberley Process.
Uno schema di certificazione, a detta di alcuni esperti, con non poche falle. Di qui la necessità di fare di più, come sottolineato dal consigliere del primo ministro belga Alexander De Croo, Skander Nasra: «Abbiamo lavorato per colpire la Russia in modo più significativo e cioè con sanzioni che spingano l'industria a utilizzare le tecnologie di tracciamento e la blockchain. È l'unico modo credibile per chiudere le scappatoie del timbro di gomma o dell'autocontrollo e, in ultima analisi, per tenere le pietre russe fuori dal mercato, anche se ci vorranno diversi anni per implementare con successo uno schema».
Dopo l'invasione, il colosso dei diamanti De Beers ha condiviso la sua piattaforma di tracciabilità aprendola di fatto anche ad altri operatori. Un'azienda svizzera, Spacecode, già attiva nella tracciatura di diamanti, di recente ha invece spiegato di avere a disposizione un nuovo dispositivo in grado di risalire all'origine dei singoli diamanti. E di volerlo introdurre sul mercato entro la fine del prossimo anno.
Un diamante è per sempre, già. Sempre che sia possibile determinarne l'origine.