Se l'India vuole cambiare il volto delle remote isole Nicobare
Le isole Nicobare potrebbero presto cambiare volto. Ma non per il meglio. Sono diversi, infatti, i timori emersi riguardo a quello che è stato definito un «progetto indiano in stile Hong Kong» sulla remota Gran Nicobar. Una delle aree più grandi e appartate dell'arcipelago di Nicobar, nell'oceano indiano. Che, prima o poi, potrebbe trasformarsi.
Il piano è chiaro: come spiega la BBC, l'India ha intenzione di costruire sull'isola, nei prossimi trent'anni, un porto di trasbordo, una centrale elettrica, un aeroporto e una nuova cittadina. Un progetto strategico – e decisamente ambizioso – per collegare il territorio alle rotte commerciali cruciali lungo l'oceano indiano e il canale di Suez. La Grande Isola è situata infatti nello Stretto di Malacca. Una delle rotte più trafficate al mondo. Dare una nuova vita a questo posto, dunque, consentirà di incrementare il commercio e il turismo internazionali. Ma anche la popolazione dell'area: si stima, infatti, che grazie a questo progetto, saranno ben 65.000 le persone che vivranno sull'isola fra trent'anni.
Ma non è tutto. Il piano – per il quale è previsto un budget di 720 miliardi di rupie – secondo gli esperti ha anche lo scopo di contrastare la crescente influenza cinese nella regione. Molteplici, quindi gli obiettivi. Il problema, però, è che sono altrettante le preoccupazioni. Gli stessi isolani che popolano Nicobare hanno infatti paura di «perdere la loro terra, la loro cultura e il loro stile di vita» per colpa del progetto indiano, che accusano di portarli, addirittura, «verso l'estinzione».
Sulle isole Andamane e Nicobare sono presenti quelle che sono considerate tra le tribù più isolate e vulnerabili al mondo, tra cui spiccano cinque gruppi in particolare, ossia i Jarawas, i Sentinelesi del Nord, i Grandi Andamanesi, gli Onge e gli Shompen. Questi ultimi, in particolare, sono coloro che rischiano, più di tutti, di perdere il loro stile di vita a causa delle «pressioni esterne». Gli Shompen sono infatti una tribù nomade, che vive per lo più nella foresta, dove si procurano cibo per sopravvivere. Di loro non si conosce molto, perché sono pochi coloro che hanno avuto contatti con il mondo esterno. Secondo gli esperti, lo sconvolgimento della loro quotidianità potrebbe essere, va da sé, particolarmente «traumatico», dal momento che gli Shompen hanno «una vita tradizionale tutta loro». Secondo Anstice Justin, un antropologo cresciuto tra le Andamane e le Nicobare, interpellato dalla BBC, questa tribù non avrebbe «le conoscenze o i mezzi per sopravvivere in un mondo industrializzato». Di più, il progetto potrebbe esporre gli Shompen a malattie esterne – come influenza e morbillo – che potrebbero «sterminare».
E non finisce qui. Sì, perché oltre ai problemi che il progetto indiano causerebbe alle tribù locali, ci sono anche diverse preoccupazioni in merito all'impatto ambientale di queste costruzioni. A lanciare l'allarme sono stati alcuni gruppi di ambientalisti, per i quali il piano sarebbe poco sostenibile. «Great Nicobar» è infatti ricoperta da foreste pluviali, che ospitano oltre 1.800 animali e 800 specie di piante, molte delle quali endemiche. Dal canto, il ministero federale dell'ambiente indiano ha dichiarato che solo 130 chilometri quadrati dell'isola – equivalenti al 14% del territorio – verranno bonificati per il progetto. Come spiega la BBC, si tratta, tuttavia, di 964.000 alberi. E, secondo gli esperti, è evidente che il numero reale sarà molto più alto di quanto si voglia dichiarare inizialmente.
Entrando più nello specifico della questione ambientale, ci sono anche preoccupazioni più specifiche in merito alla vita marina della regione. Secondo gli ecologisti, a soffrire dell'impatto del progetto sarebbe anche la vicina baia di Galathea, sul versante sud-orientale dell'isola. Un luogo, questo, in cui da secoli avviene la nidificazione delle tartarughe marine giganti. A tal proposito, il governo ha ribadito, anche in questo caso, che le aree protette non sarebbero state toccate. Una magra rassicurazione che, però, non soddisfa sufficientemente. E lascia invariate le perplessità verso questo progetto che, entro trent'anni, potrebbe cambiare per sempre.