Diritti

Se negli Stati Uniti nemmeno abortire «eccezionalmente» è possibile

Per la prima volta da quando è stata abolita la sentenza «Roe v. Wade», cinque donne hanno fatto causa allo Stato del Texas per essere state private della possibilità di interrompere la gravidanza, nonostante i rischi elevati – Si tratta solo della punta dell'iceberg di un problema molto più grande
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Federica Serrao
07.03.2023 21:45

Deborah è una donna incinta che vive in Florida. Aspetta un bambino che, purtroppo, nascerà già morto. Durante uno dei controlli, al neonato è stata diagnosticata una patologia fatale, nota come sindrome di Potter. Eppure, nonostante questa terribile diagnosi, Deborah non può abortire. Sarà costretta, quindi, a partorire un bambino senza vita. Sebbene possa sembrare assurdo, la sua storia è solo una delle tante vissute di recente dalle partorienti negli Stati Uniti, dopo che lo scorso giugno la Corte Suprema ha abolito la sentenza «Roe v. Wade», annullando il diritto all'aborto a livello nazionale. Lasciando, da quel momento, a ogni Stato il potere di decidere se applicare o meno la legge. Una legge che, in alcuni casi, proprio come quello di Deborah, permette eccezionalmente di poter ricorrere all'interruzione di gravidanza. Eppure, nessuno dei medici incontrati dalla coppia ha avuto il coraggio di aiutare la donna ad abortire, nella paura di incorrere in sanzioni. 

Una storia terribile a cui, dicevamo, se ne aggiungono tante altre. Le ultime testimonianze sono arrivate nelle scorse ore dal Texas, dove cinque donne per la prima volta hanno fatto causa allo Stato per il divieto di aborto introdotto l'estate scorsa. Nei loro racconti, raccolti dal New York Times, dichiarano di essersi viste negare l'interruzione di gravidanza nonostante i rischi per i loro feti, o per la loro stessa vita, fossero evidenti. Sostenute da un gruppo per i diritti all'aborto, queste cinque donne hanno quindi intrapreso un'azione legale contro il divieto che non ha permesso loro di agire come avrebbero voluto. E ora, finalmente, potranno raccontare le loro storie sui gradini del Campidoglio del Texas, rappresentando concretamente quello che le loro 91 pagine di denuncia definiscono «un danno catastrofico» per tutte le donne statunitensi.

Se i medici non possono aiutare

Prima di procedere con alcune delle testimonianze delle donne statunitensi, è doveroso puntualizzare quella che è attualmente la situazione in uno Stato in cui è in vigore il divieto all'aborto, come il Texas. Alcune eccezioni per interrompere la gravidanza sono infatti concesse, qualora vi siano danni seri per la madre o malattie gravi del feto, ma anche in casi di stupro o incesto. Tuttavia, sebbene questa possa sembrare una buona notizia, le cose — concretamente — sono diverse. Situazioni come queste, infatti, spesso non sono abbastanza pericolose per far sì che i medici decidano di aiutare realmente le madri ad abortire. Esiste infatti la possibilità di incorrere in pene detentive fino a 99 anni o multe di 100.000 dollari (più di 93.000 franchi). Addirittura, i professionisti che collaborano per interrompere una gravidanza, rischiano di perdere la licenza medica. Il che fa sì che molti dottori si tirino indietro, senza nemmeno pensarci. Come nel caso delle cinque madri del Texas.

Anche in queste situazioni, alle donne è stato detto che non era possibile abortire. Addirittura, alcuni dei medici interpellati hanno caldamente sconsigliato di inoltrare le cartelle cliniche ad altri specialisti, lasciando le cinque madri di fronte a un'unica opzione: quella di attraversare furtivamente i confini del Texas, per cercare cure mediche altrove. Una mossa accompagnata dalla paura di essere denunciate da amici, vicini o familiari, nonostante il rischio di emorragie o infezioni mortali derivanti dal portare in grembo i feti. In due casi, i bimbi non avevano il cranio, mentre nel caso di due coppie di gemelli, uno dei due piccoli minacciava le condizioni di vita del fratellino. 

Cicatrici fisiche ed emotive

Amanda, una delle donne ad aver fatto causa al Texas, racconta di aver visto respinta la sua richiesta di aborto, in quanto reputata «non abbastanza malata per poter interrompere la gravidanza». Dopo essere stata rimandata a casa dopo essere stata male, è andata in setticemia due volte. Una condizione che le ha lasciato così tanto tessuto cicatriziale da chiudere permanentemente una delle sue tube di Falloppio. Le membrane cervicali del bimbo che portava in grembo, infatti, avevano iniziato a prolassare attorno alla 17. settimana di gravidanza. Una condizione che non avrebbe in alcun modo fatto sopravvivere il piccolo. Quasi subito dopo la diagnosi, ad Amanda si ruppero le acque, ma secondo i medici dell'ospedale, la donna non era ancora in travaglio e il feto aveva ancora battito cardiaco. Giudicata stabile e non a rischio, Amanda venne rimandata a casa, senza che le venisse concessa la possibilità di abortire. A distanza di alcuni giorni, la donna cominciò ad accusare malessere, tra cui una febbre molto alta. I medici che la visitarono rilevarono un'infezione nel sangue, e solo allora procedettero con l'induzione del parto «senza violare il divieto di aborto del Texas». Tuttavia, la donna sviluppò un'infezione secondaria, che ne causò quasi il decesso, oltre a comprometterle, come anticipato, una tuba di Falloppio. «Di questa esperienza non colleziono solo cicatrici fisiche, ma anche cicatrici emotive. Se qualcuno leggesse la mia storia, qualunque sia la sua posizione politica, poche persone potrebbero ritenere questa esperienza come "pro vita"», confessa la donna al New York Times

Ma quello di Amanda, chiaramente, non è l'unico caso al limite. Lauren, racconta sempre la testata statunitense, è stata costretta a spostarsi in Colorado per abortire, dopo aver sofferto per settimane di nausee e vomito così forti da essere costretta a recarsi al pronto soccorso. Qui, la donna aveva scoperto di essere in attesa di due gemelli, ma a distanza di qualche settimana, un'ecografia aveva rivelato che uno dei due bambini non cresceva velocemente come il gemello, oltre ad essere affetto da Trisomia 18 e diverse anomalie, tra cui un cervello, una parete addominale e un cuore malformati. «La sensazione di fare le valigie per fuggire dal Texas è stata molto strana. Sono texana, da generazioni, ma siamo fuggiti letteralmente dal nostro Stato per poter abortire». 

Solo la punta dell'iceberg

Tutte queste vicende rappresentano solamente la punta dell'iceberg di un problema molto più grande, che si stima interessi milioni di persone, tra madri e coppie, in tutti gli Stati Uniti. I gruppi anti-aborto, infatti, sostengono che le restrizioni in materia non siano davvero pericolose per le donne in dolce attesa. Di più, a detta di queste persone, i medici sarebbero in grado di fornire le opportune cure senza dover necessariamente ricorrere proprio a un aborto. Allo stesso modo, anche il procuratore generale del Texas, Ken Paxton (citato tra gli imputati nella causa delle cinque madri, insieme all'ordine dei medici dello Stato e al suo direttore), interpellato sull'argomento, ha risposto inviando una copia di una nota emessa già lo scorso luglio, in cui si affermava semplicemente che l'annullamento della Roe v. Wade avrebbe fatto scattare automaticamente il divieto di aborto nello Stato. Nello stesso documento si evidenziava, ancora una volta, come la legge del Texas vieti l'aborto tranne nei casi in cui è presente «una condizione fisica pericolosa per la vita aggravata, causata o derivante da una gravidanza».

Ma i dati raccolti negli scorsi mesi parlano chiaro. Fino ad ora, le donne a cui è stata concessa concretamente la possibilità di abortire, senza ripercussioni di alcun tipo, sono state pochissime. Così poche da aver portato le associazioni mediche a unirsi alle cause legali, affermando che i divieti in vigore hanno più volte causato caos all'interno degli ospedali, specie in situazioni di emergenza. 

Proprio per questo motivo, la causa portata avanti dalla cinque madri del Texas non cerca di mettersi contro il divieto di aborto. Piuttosto, chiede alla Corte di confermare che la legge dello Stato consenta realmente ai medici di offrire l'aborto, nel momento in cui - secondo il loro giudizio in buona fede - è necessario per evitare situazioni rischiose, che non possono essere trattate durante la gravidanza, o che portano alla nascita di un feto morto, o di un bimbo affetto da malattie mortali che ne causerebbero il decesso entro pochi giorni, mesi o anni di vita. 

Polemiche e tensioni anche negli altri Stati

Nel frattempo, anche nello Stato dell'Idaho, il tema dell'aborto continua ad accendere polemiche. Nelle ultime ore, un'università pubblica di questo Stato è finita sotto i riflettori dopo aver rimosso da una mostra del suo Center for Arts & History diverse opere che parlano di aborto, sotto richiesta dell'American Civil Liberties Union e della National Coalition Against Censorship. Secondo quest'ultime, infatti, l'università non avrebbe agito in conformità con le nuovi leggi dello Stato che vietano l'uso di fondi pubblici per divulgare contenuti a favore dell'aborto. Lasciando dunque l'istituto senza alcuna possibilità, se non quella di eliminare le opere in questione, senza poter replicare.