L'intervista

«Se Trump non rispetta la Costituzione degli Stati Uniti, perché gli altri Paesi dovrebbero fidarsi di Washington?»

Sarà davvero pace in Ucraina? E a quali condizioni? Che cosa racconta, in questo senso, il passato? Domande che abbiamo rivolto al professor Heikki Patomäki dell’Università di Helsinki
©SHAWN THEW / POOL
Marcello Pelizzari
26.03.2025 14:30

Sarà, davvero, pace? Di più, sarà una pace duratura? Soprattutto, da quali strade (leggi concessioni) passerà un’eventuale intesa «totale» fra Russia e Ucraina? Mentre il presente racconta di un accordo – a guida statunitense – per una navigazione sicura nel Mar Nero, con il Cremlino che spinge per la rimozione di alcune sanzioni occidentali, il passato rimanda a Minsk I e II. Accordi che, fra il 2014 e il 2015, avrebbero teoricamente dovuto evitare un conflitto ad ampio respiro. Per capire come andarono le cose allora e come potrebbero andare nel prossimo futuro abbiamo chiesto il parere di Heikki Patomäki, esperto di relazioni internazionali nonché professore di Politiche mondiali ed Economia politica globale all’Università di Helsinki.

Professore, innanzitutto, alla luce della storia recente e della retorica russa possiamo fidarci delle dichiarazioni del Cremlino a proposito di pace? Che cosa dovremmo osservare, in particolare, per capire se Mosca vuole veramente arrivare a un accordo?
«Se, da un lato, la storia mostra che la Russia ha rinegoziato o ignorato determinati accordi laddove gli stessi accordi apparentemente non facevano più gli interessi di Mosca, dall’altro il Cremlino ha spesso percepito violazioni della o delle controparti. Se e quanto tali percezioni siano giustificate è un tema dibattuto, ma dal punto di vista russo accordi come il controllo degli armamenti o Minsk II non sono stati implementati in buona fede dall’Occidente. Talvolta, lo stesso Occidente o gli Stati Uniti hanno rinnegato accordi o li hanno esplicitamente cancellati».

C’è dell’altro, immaginiamo…
«Sì, c’è la questione dei doppi standard. La Russia ha criticato l’Occidente per i suoi interventi, ad esempio in Kosovo, Iraq e Libia, dove gli Stati Uniti e gli alleati sono stati accusati di ignorare il diritto internazionale. Due torti, evidentemente, non fanno un diritto, ma è chiaro che Mosca ha usato questi precedenti come giustificazione per un approccio più flessibile agli accordi quando in gioco ci sono gli interessi russi. L’affidabilità della Russia, venendo alla domanda, è un problema reale. E sistemico. Alcuni potrebbero definirlo un problema della cosiddetta cultura dell’anarchia. Ma, attenzione, non è un problema limitato a Mosca. Nel contesto della guerra in Ucraina, il miglior indicatore delle volontà di negoziazione della Russia sono state le sue azioni diplomatiche nella primavera del 2022. All’epoca, i due Paesi avevano quasi raggiunto un accordo che, fra le altre cose, avrebbe incluso il ritiro delle truppe russe ai confini pre-invasione. I principali attori occidentali, tuttavia, erano contrari ai negoziati. Anzi, incoraggiarono la continuazione del conflitto e, alla fine, l’Ucraina smise di negoziare. Naturalmente, vi furono più ragioni per il fallimento di quei negoziati. Fra cui anche le azioni russe: molto fecero la rivelazione dei crimini di guerra a Bucha nonché la questione delle garanzie di sicurezza e il veto di Mosca su di esse. La decisione di continuare la guerra, per contro, fu presa dall’Ucraina su forte incoraggiamento dell’Occidente».

In passato, pensiamo a Minsk I e II, Francia e Germania hanno cercato di mediare fra le parti. Un ruolo, questo, che oggi è occupato dall’America di Donald Trump. Come cambiano le dinamiche con Washington al timone, in particolare pensando alla vicinanza fra Trump e Vladimir Putin?
«Per rispondere, bisogna ricordare in primis che è l’Arabia Saudita in realtà a fungere da facilitatore dei negoziati per porre fine alla guerra in Ucraina. Gli Stati Uniti sono più una parte del conflitto che un mediatore neutrale. L’amministrazione Trump ha notevolmente spostato il ruolo di Washington nel conflitto: dall’essere il sostenitore principale di Kiev a una posizione, appunto, più mediatrice. L'amministrazione Trump ha attivamente perseguito un accordo di pace tra Russia e Ucraina, impegnandosi in negoziati diretti con entrambe le parti. D’altro canto, le svolte improvvise e l'imprevedibilità degli eventi hanno certamente sollevato domande sulla credibilità e l'affidabilità dell’America. Il secondo mandato di Trump come presidente – come il primo –  è stato caratterizzato da disorganizzazione. Trump ha mostrato disprezzo sistematico per le istituzioni che eleggono, autorizzano e agiscono per fornire controlli ed equilibri sulla presidenza degli Stati Uniti. La sua condotta mette sotto pressione la Costituzione e i suoi limiti, indicando uno spostamento verso pratiche autocratiche. Se Trump e la sua amministrazione non rispettano nemmeno la Costituzione degli Stati Uniti, fino a che punto altri Paesi possono fidarsi della capacità di Washington rispettare gli accordi internazionali a lungo termine? A maggior ragione se pensiamo che Trump si è già ritirato da molti accordi e ha preso le distanze da diverse organizzazioni internazionali».

Il fallimento di Minsk II, nel 2015, è dovuto sia all’ambiguità dell’accordo sia agli interessi contrastanti delle parti sia, ancora, alla riluttanza ad attuarlo pienamente in un modo che avrebbe soddisfatto la controparte

Minsk I e II avrebbero potuto assicurare una pace duratura ed evitare un’invasione su larga scala? Quali furono, allora, i principali errori commessi?
«Il fallimento di Minsk II, nel 2015, è dovuto sia all’ambiguità dell’accordo sia agli interessi contrastanti delle parti sia, ancora, alla riluttanza ad attuarlo pienamente in un modo che avrebbe soddisfatto la controparte. Sia Russia sia Ucraina hanno incolpato, con motivazioni differenti, l’altra parte per il fallimento dell’accordo. Nell’immediato, Minsk II saltò perché Kiev non modificò la sua Costituzione come concordato a causa della forte opposizione interna. Analogamente, l’Ucraina non era in grado di controllare tutte le sue forze armate nel Donbass. Alcune, stavano combattendo una propria guerra indipendentemente dalla volontà di Kiev. D’altra parte, le modifiche richieste dagli accordi potevano legittimamente essere lette come un tentativo della Russia di interferire con gli affari interni dell’Ucraina. Anche il ruolo dell'Occidente fu ambivalente: Francia e Germania sostennero l'attuazione dell'accordo, almeno in una certa misura, Regno Unito e Stati Uniti no. La Russia, ora, può tirare fuori anche il famigerato commento di Angela Merkel, secondo cui la Germania non ha mai avuto intenzione di attuare l'accordo di Minsk ma ha semplicemente guadagnato tempo per favorire il riarmo militare dell'Ucraina. Tali commenti, tuttavia, non aiutano a creare fiducia».

La Russia giustifica l’invasione dell’Ucraina con l’espansionismo della NATO e la conseguenza minaccia agli interessi vitali di Mosca. Al di là della retorica, che cosa è successo da Minsk II per favorire un’invasione su larga scala?
«La NATO può essere correttamente accusata di essersi allargata verso est, ma queste accuse non implicano che questo espansionismo sia la sola causa del conflitto. O che la Russia e la sua leadership o qualsiasi altro attore dovessero reagire a tali sviluppi lanciando un attacco su larga scala. I processi causali coinvolgono sempre molti fattori e forze che, insieme, producono effetti. A volte questi fattori e forze possono essere in conflitto tra loro; spesso smorzano o rafforzano gli effetti reciproci. Molti effetti diventano evidenti solo nel tempo. Inoltre, tutti i fattori e le forze sono storici e soggetti a cambiamenti. Anche le relazioni tra Russia e NATO hanno attraversato molte fasi. La Russia era già fortemente critica nei confronti dei piani di espansione della NATO negli anni Novanta, ma dopo l’ascesa di Putin al si parlò addirittura della possibilità che la Russia potesse entrare a far parte della NATO. Questa fase intermedia è stata di breve durata. La leadership degli Stati Uniti e della NATO non voleva che Mosca diventasse membro dell’Alleanza nei primi anni Duemila, perché la Russia richiedeva un invito ad aderire senza passare attraverso il processo di candidatura. Voleva, in termini di uguaglianza, essere paragonata de facto con gli Stati Uniti. La NATO si basa sulla leadership e sull'egemonia di Washington, a differenza dell'OSCE. Le lotte per il riconoscimento e il potere fanno parte dei processi».

Questo conflitto ha un contesto storico multistrato, che include anche, ad esempio, le attività e l'espansione dell'UE, il posizionamento della Russia nell'economia mondiale e vari sviluppi nell'economia politica globale

Ha parlato di molti fattori. Può essere più preciso?
«L'espansione della NATO, nonostante le critiche diffuse e le reazioni della Russia, è stata intrecciata in una serie di episodi di interazione e relazioni di causa ed effetto che hanno portato a un conflitto in espansione con la Russia, conflitto che a sua volta ha comportato in parte la svolta autocratica del Paese. Questo conflitto ha un contesto storico multistrato, che include anche, ad esempio, le attività e l'espansione dell'UE, il posizionamento della Russia nell'economia mondiale e vari sviluppi nell'economia politica globale. Ho scritto di questi sviluppi in diversi forum nel corso degli anni. Tuttavia, è chiaro che l'espansione della NATO agli occhi di Mosca ha svolto un ruolo essenziale nel conflitto e nella sua escalation».

La Russia, a proposito di narrativa, si presenta come una vittima dell’Occidente. E come un leader del mondo multipolare. Come si riflettono queste posizioni negli sforzi negoziali e nei rapporti con Washington?
«Le narrazioni prevalenti nei conflitti tendono a essere selettive, di parte e semplicistiche, ma sono anche interattive e dinamiche, cioè si evolvono durante il conflitto. Una tendenza tipica nei conflitti riguarda la vittimizzazione competitiva, cioè la convinzione che la propria nazione abbia sofferto più delle altre. Questo vale anche per la Russia e l'Ucraina e per la guerra in Ucraina, che è iniziata come una guerra a bassa intensità nel 2014 e si è espansa in una guerra su vasta scala nel 2022. È la storia stessa, spesso, che dà motivo di pensarla in un certo modo. La sofferenza della Russia nella Seconda guerra mondiale è stata senza precedenti e la paura di un'invasione dall'Occidente persiste. Molti, nella Russia moderna, ricordano il caos seguito alla terapia d'urto indotta dall'Occidente negli anni Novanta. L'Ucraina ha vissuto la Seconda guerra mondiale come parte dell'Unione Sovietica e ha attraversato un caos simile negli anni Novanta. Oltre a ciò, tuttavia, l'Ucraina può anche ricordare l'Holodomor o la carestia di massa del 1932-3 ed evidenziare, ad esempio, la sofferenza causata dalla guerra in corso. Ad ogni modo, poiché le riforme raccomandate dall'Occidente fallirono negli anni Novanta, tutte le forze politiche in Russia hanno iniziato a sottolineare l'importanza del samobytnost' o della distintività nazionale della Russia. L'inquadratura e la storia contro-egemonica emersero già negli anni Novanta, ma si sono evolute ulteriormente e hanno iniziato a modellarsi visibilmente negli anni Duemila. Durante l'era Putin-Medvedev, la nuova Russia di Boris Eltsin è stata gradualmente sostituita da un discorso che sottolineava le continuità a lungo termine della storia russa. Questo discorso ha ridefinito l'identità e le aspirazioni della Russia, che includono, appunto, il sostegno a un mondo multipolare. La critica della Russia all'Occidente e alla sua egemonia e ai doppi standard risuona come la critica post-coloniale di gran parte del Sud del mondo. D'altra parte, i valori conservatori della Russia contemporanea e la critica dell'ordine mondiale (neo)liberale fanno appello anche al populismo autoritario-nazionalista sia in Europa sia negli Stati Uniti. Il movimento MAGA rappresenta tale populismo. Per capire e spiegare tutto questo, bisognerebbe approfondire i meccanismi e i processi dell'economia politica globale. In questo contesto, non c'è spazio per rivedere i principali processi storici mondiali che hanno prodotto la situazione attuale. Basti dire che l'economia mondiale costruita nelle fasi finali e dopo la Seconda guerra mondiale non è stata su una base sostenibile. Soprattutto dalla svolta degli anni Settanta e Ottanta, ha portato il mondo a scivolare sempre più in profondità in una situazione che assomiglia molto allo sviluppo che ha portato alla Prima guerra mondiale, ma che include anche elementi che ricordano gli anni Trenta».

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