«Se Trump non rispetta la Costituzione degli Stati Uniti, perché gli altri Paesi dovrebbero fidarsi di Washington?»

Sarà, davvero, pace? Di più, sarà una pace duratura? Soprattutto, da quali strade (leggi concessioni) passerà un’eventuale intesa «totale» fra Russia e Ucraina? Mentre il presente racconta di un accordo – a guida statunitense – per una navigazione sicura nel Mar Nero, con il Cremlino che spinge per la rimozione di alcune sanzioni occidentali, il passato rimanda a Minsk I e II. Accordi che, fra il 2014 e il 2015, avrebbero teoricamente dovuto evitare un conflitto ad ampio respiro. Per capire come andarono le cose allora e come potrebbero andare nel prossimo futuro abbiamo chiesto il parere di Heikki Patomäki, esperto di relazioni internazionali nonché professore di Politiche mondiali ed Economia politica globale all’Università di Helsinki.
Professore,
innanzitutto, alla luce della storia recente e della retorica russa possiamo
fidarci delle dichiarazioni del Cremlino a proposito di pace? Che cosa dovremmo
osservare, in particolare, per capire se Mosca vuole veramente arrivare a un
accordo?
«Se,
da un lato, la storia mostra che la Russia ha rinegoziato o ignorato
determinati accordi laddove gli stessi accordi apparentemente non facevano più gli
interessi di Mosca, dall’altro il Cremlino ha spesso percepito violazioni della
o delle controparti. Se e quanto tali percezioni siano giustificate è un tema
dibattuto, ma dal punto di vista russo accordi come il controllo degli
armamenti o Minsk II non sono stati implementati in buona fede dall’Occidente.
Talvolta, lo stesso Occidente o gli Stati Uniti hanno rinnegato accordi o li
hanno esplicitamente cancellati».
C’è
dell’altro, immaginiamo…
«Sì,
c’è la questione dei doppi standard. La Russia ha criticato l’Occidente per i
suoi interventi, ad esempio in Kosovo, Iraq e Libia, dove gli Stati Uniti e gli
alleati sono stati accusati di ignorare il diritto internazionale. Due torti,
evidentemente, non fanno un diritto, ma è chiaro che Mosca ha usato questi
precedenti come giustificazione per un approccio più flessibile agli accordi
quando in gioco ci sono gli interessi russi. L’affidabilità della Russia,
venendo alla domanda, è un problema reale. E sistemico. Alcuni potrebbero
definirlo un problema della cosiddetta cultura dell’anarchia. Ma, attenzione,
non è un problema limitato a Mosca. Nel contesto della guerra in Ucraina, il
miglior indicatore delle volontà di negoziazione della Russia sono state le sue
azioni diplomatiche nella primavera del 2022. All’epoca, i due Paesi avevano
quasi raggiunto un accordo che, fra le altre cose, avrebbe incluso il ritiro
delle truppe russe ai confini pre-invasione. I principali attori occidentali,
tuttavia, erano contrari ai negoziati. Anzi, incoraggiarono la continuazione
del conflitto e, alla fine, l’Ucraina smise di negoziare. Naturalmente, vi
furono più ragioni per il fallimento di quei negoziati. Fra cui anche le azioni
russe: molto fecero la rivelazione dei crimini di guerra a Bucha nonché la
questione delle garanzie di sicurezza e il veto di Mosca su di esse. La
decisione di continuare la guerra, per contro, fu presa dall’Ucraina su forte
incoraggiamento dell’Occidente».
In
passato, pensiamo a Minsk I e II, Francia e Germania hanno cercato di mediare
fra le parti. Un ruolo, questo, che oggi è occupato dall’America di Donald
Trump. Come cambiano le dinamiche con Washington al timone, in particolare
pensando alla vicinanza fra Trump e Vladimir Putin?
«Per
rispondere, bisogna ricordare in primis che è l’Arabia Saudita in realtà a fungere
da facilitatore dei negoziati per porre fine alla guerra in Ucraina. Gli Stati
Uniti sono più una parte del conflitto che un mediatore neutrale. L’amministrazione
Trump ha notevolmente spostato il ruolo di Washington nel conflitto: dall’essere
il sostenitore principale di Kiev a una posizione, appunto, più mediatrice.
L'amministrazione Trump ha attivamente perseguito un accordo di pace tra Russia
e Ucraina, impegnandosi in negoziati diretti con entrambe le parti. D’altro
canto, le svolte improvvise e l'imprevedibilità degli eventi hanno certamente
sollevato domande sulla credibilità e l'affidabilità dell’America. Il secondo
mandato di Trump come presidente – come il primo – è stato caratterizzato da disorganizzazione.
Trump ha mostrato disprezzo sistematico per le istituzioni che eleggono,
autorizzano e agiscono per fornire controlli ed equilibri sulla presidenza
degli Stati Uniti. La sua condotta mette sotto pressione la Costituzione e i
suoi limiti, indicando uno spostamento verso pratiche autocratiche. Se Trump e
la sua amministrazione non rispettano nemmeno la Costituzione degli Stati
Uniti, fino a che punto altri Paesi possono fidarsi della capacità di
Washington rispettare gli accordi internazionali a lungo termine? A maggior
ragione se pensiamo che Trump si è già ritirato da molti accordi e ha preso le
distanze da diverse organizzazioni internazionali».


Minsk
I e II avrebbero potuto assicurare una pace duratura ed evitare un’invasione su
larga scala? Quali furono, allora, i principali errori commessi?
«Il
fallimento di Minsk II, nel 2015, è dovuto sia all’ambiguità dell’accordo sia
agli interessi contrastanti delle parti sia, ancora, alla riluttanza ad
attuarlo pienamente in un modo che avrebbe soddisfatto la controparte. Sia
Russia sia Ucraina hanno incolpato, con motivazioni differenti, l’altra parte
per il fallimento dell’accordo. Nell’immediato, Minsk II saltò perché Kiev non
modificò la sua Costituzione come concordato a causa della forte opposizione
interna. Analogamente, l’Ucraina non era in grado di controllare tutte le sue
forze armate nel Donbass. Alcune, stavano combattendo una propria guerra
indipendentemente dalla volontà di Kiev. D’altra parte, le modifiche richieste
dagli accordi potevano legittimamente essere lette come un tentativo della
Russia di interferire con gli affari interni dell’Ucraina. Anche il ruolo
dell'Occidente fu ambivalente: Francia e Germania sostennero l'attuazione
dell'accordo, almeno in una certa misura, Regno Unito e Stati Uniti no. La
Russia, ora, può tirare fuori anche il famigerato commento di Angela Merkel,
secondo cui la Germania non ha mai avuto intenzione di attuare l'accordo di
Minsk ma ha semplicemente guadagnato tempo per favorire il riarmo militare
dell'Ucraina. Tali commenti, tuttavia, non aiutano a creare fiducia».
La
Russia giustifica l’invasione dell’Ucraina con l’espansionismo della NATO e la
conseguenza minaccia agli interessi vitali di Mosca. Al di là della retorica,
che cosa è successo da Minsk II per favorire un’invasione su larga scala?
«La
NATO può essere correttamente accusata di essersi allargata verso est, ma
queste accuse non implicano che questo espansionismo sia la sola causa del
conflitto. O che la Russia e la sua leadership o qualsiasi altro attore
dovessero reagire a tali sviluppi lanciando un attacco su larga scala. I
processi causali coinvolgono sempre molti fattori e forze che, insieme,
producono effetti. A volte questi fattori e forze possono essere in conflitto
tra loro; spesso smorzano o rafforzano gli effetti reciproci. Molti effetti
diventano evidenti solo nel tempo. Inoltre, tutti i fattori e le forze sono
storici e soggetti a cambiamenti. Anche le relazioni tra Russia e NATO hanno
attraversato molte fasi. La Russia era già fortemente critica nei confronti dei
piani di espansione della NATO negli anni Novanta, ma dopo l’ascesa di Putin al
si parlò addirittura della possibilità che la Russia potesse entrare a far
parte della NATO. Questa fase intermedia è stata di breve durata. La leadership
degli Stati Uniti e della NATO non voleva che Mosca diventasse membro dell’Alleanza
nei primi anni Duemila, perché la Russia richiedeva un invito ad aderire senza
passare attraverso il processo di candidatura. Voleva, in termini di
uguaglianza, essere paragonata de facto con gli Stati Uniti. La NATO si basa
sulla leadership e sull'egemonia di Washington, a differenza dell'OSCE. Le
lotte per il riconoscimento e il potere fanno parte dei processi».


Ha
parlato di molti fattori. Può essere più preciso?
«L'espansione
della NATO, nonostante le critiche diffuse e le reazioni della Russia, è stata
intrecciata in una serie di episodi di interazione e relazioni di causa ed
effetto che hanno portato a un conflitto in espansione con la Russia, conflitto
che a sua volta ha comportato in parte la svolta autocratica del Paese. Questo
conflitto ha un contesto storico multistrato, che include anche, ad esempio, le
attività e l'espansione dell'UE, il posizionamento della Russia nell'economia
mondiale e vari sviluppi nell'economia politica globale. Ho scritto di questi
sviluppi in diversi forum nel corso degli anni. Tuttavia, è chiaro che
l'espansione della NATO agli occhi di Mosca ha svolto un ruolo essenziale nel
conflitto e nella sua escalation».
La
Russia, a proposito di narrativa, si presenta come una vittima dell’Occidente.
E come un leader del mondo multipolare. Come si riflettono queste posizioni
negli sforzi negoziali e nei rapporti con Washington?
«Le
narrazioni prevalenti nei conflitti tendono a essere selettive, di parte e
semplicistiche, ma sono anche interattive e dinamiche, cioè si evolvono durante
il conflitto. Una tendenza tipica nei conflitti riguarda la vittimizzazione
competitiva, cioè la convinzione che la propria nazione abbia sofferto più delle
altre. Questo vale anche per la Russia e l'Ucraina e per la guerra in Ucraina,
che è iniziata come una guerra a bassa intensità nel 2014 e si è espansa in una
guerra su vasta scala nel 2022. È la storia stessa, spesso, che dà motivo di
pensarla in un certo modo. La sofferenza della Russia nella Seconda guerra
mondiale è stata senza precedenti e la paura di un'invasione dall'Occidente
persiste. Molti, nella Russia moderna, ricordano il caos seguito alla terapia
d'urto indotta dall'Occidente negli anni Novanta. L'Ucraina ha vissuto la
Seconda guerra mondiale come parte dell'Unione Sovietica e ha attraversato un
caos simile negli anni Novanta. Oltre a ciò, tuttavia, l'Ucraina può anche
ricordare l'Holodomor o la carestia di massa del 1932-3 ed evidenziare, ad
esempio, la sofferenza causata dalla guerra in corso. Ad ogni modo, poiché le
riforme raccomandate dall'Occidente fallirono negli anni Novanta, tutte le
forze politiche in Russia hanno iniziato a sottolineare l'importanza del samobytnost'
o della distintività nazionale della Russia. L'inquadratura e la storia
contro-egemonica emersero già negli anni Novanta, ma si sono evolute
ulteriormente e hanno iniziato a modellarsi visibilmente negli anni Duemila.
Durante l'era Putin-Medvedev, la nuova Russia di Boris Eltsin è stata
gradualmente sostituita da un discorso che sottolineava le continuità a lungo
termine della storia russa. Questo discorso ha ridefinito l'identità e le
aspirazioni della Russia, che includono, appunto, il sostegno a un mondo
multipolare. La critica della Russia all'Occidente e alla sua egemonia e ai
doppi standard risuona come la critica post-coloniale di gran parte del Sud del
mondo. D'altra parte, i valori conservatori della Russia contemporanea e la
critica dell'ordine mondiale (neo)liberale fanno appello anche al populismo
autoritario-nazionalista sia in Europa sia negli Stati Uniti. Il movimento MAGA
rappresenta tale populismo. Per capire e spiegare tutto questo, bisognerebbe approfondire
i meccanismi e i processi dell'economia politica globale. In questo contesto,
non c'è spazio per rivedere i principali processi storici mondiali che hanno
prodotto la situazione attuale. Basti dire che l'economia mondiale costruita
nelle fasi finali e dopo la Seconda guerra mondiale non è stata su una base
sostenibile. Soprattutto dalla svolta degli anni Settanta e Ottanta, ha portato
il mondo a scivolare sempre più in profondità in una situazione che assomiglia
molto allo sviluppo che ha portato alla Prima guerra mondiale, ma che include
anche elementi che ricordano gli anni Trenta».