Sempre più Paesi vogliono tassare le emissioni del trasporto marittimo
L'elenco è piuttosto lungo. Comprende l'Unione Europea, il Canada, il Giappone e gli Stati insulari del Pacifico, i più vulnerabili se pensiamo al cambiamento climatico. Sono 47, in tutto, i Paesi che stanno cercando (e ottenendo) il sostegno per tassare le emissioni del settore marittimo internazionale. Ne dà notizia Reuters, che ha esaminato la documentazione. Il tema è stato discusso durante una riunione dell'Organizzazione marittima internazionale (IMO) mentre quattro sono le proposte, concrete, del maxi-gruppo. La tassa, nello specifico, si applicherebbe per ogni tonnellata di gas serra prodotta.
Così facendo, secondo i sostenitori, salterebbero fuori 80 miliardi all'anno. Da utilizzare per sviluppare carburanti sostenibili e, ancora, per sostenere i Paesi più poveri nella transizione energetica. Gli oppositori, fra cui Cina e Brasile, ritengono invece che una misura simile danneggerebbe le economie emergenti. Che dipendono, fortemente, proprio dal commercio marittimo. In mezzo, diversi Paesi indecisi, in particolare quelli africani.
L'anno scorso, l'IMO – un'agenzia delle Nazioni Unite – aveva varato piani ambiziosi per il commercio marittimo: una riduzione delle emissioni del 20% entro il 2030 e il raggiungimento della neutralità carbonica per il 2050. La scorsa settimana, è emerso che i vari Paesi sono divisi su «diverse questioni» in merito al come raggiungere questi obiettivi. Albon Ishoda, delegato dell'IMO per le Isole Marshall, ha spiegato che una tassazione delle emissioni è la sola strada percorribile (e credibile). «Quali sono le alternative?» si è chiesto non senza una certa ironia.
Il trasporto marittimo, sulle cui spalle grava circa il 90% del commercio mondiale, è responsabile di quasi il 3% delle emissioni mondiali di CO2. Una quota, questa, destinata ad aumentare nei prossimi decenni in assenza di misure antinquinamento più severe. Una proposta presentata dalle Isole Marshall, da Vanuatu e da altri Paesi – che da anni chiedono un'imposta sulle emissioni nonostante la forte dipendenza dal trasporto e dal commercio marittimo – chiede una tassa di 150 dollari per ogni tonnellata di CO2. Secondo gli esperti, una normativa del genere stimolerebbe gli investimenti in sistemi a basse emissioni per le navi, alimentati ad ammoniaca. «Abbiamo bisogno di una transizione di dimensioni e velocità senza precedenti» ha dichiarato al riguardo Ralph Regenvanu, ministro del Clima di Vanuatu. «Le soluzioni a basso costo, le proposte ibride, non sono sufficienti».
Cina, Brasile ma anche Argentina lo scorso anno avevano respinto l'idea di una tassa sulle emissioni di CO2. Uno studio dell'Università brasiliana di San Paolo, a tal proposito, aveva rilevato che una tassa sulle emissioni nel trasporto marittimo ridurrebbe il PIL dei Paesi in via di sviluppo dello 0,13%. Con l'Africa e il Sudamerica tra le regioni più colpite.
Un negoziatore brasiliano, ora, ha dichiarato che il Brasile e altri Paesi stanno cercando di ottenere una rapida transizione energetica con il minor numero di effetti dirompenti sulle loro economie, soprattutto per i Paesi che dipendono dal commercio via mare. Una proposta di Argentina, Brasile, Cina, Norvegia, Sudafrica, Emirati Arabi Uniti e Uruguay, in questo senso, punta piuttosto su un limite globale delle emissioni da non superare, con una sanzione finanziaria in caso di violazione in alternativa a un'imposta su tutte le emissioni del trasporto marittimo.
Ciò significa che se i Paesi rispettassero pienamente lo standard unico sui carburanti, nessuna emissione sarebbe soggetta alla tassa. «Non saremo favorevoli a un prelievo forfettario che potrebbe danneggiare i Paesi in via di sviluppo, ma saremmo favorevoli a un buon prelievo applicato solo alle emissioni superiori a un certo parametro» ha dichiarato il negoziatore brasiliano.
Nonostante le divergenze di vedute, gli Stati membri stanno ancora cercando di concordare misure globali. Anche per evitare che alcuni Paesi agiscano a livello nazionale, frammentando il mercato con standard locali differenti e creando un problema alle aziende che spediscono merci nel mondo.
Restano ancora da chiarire, per contro, le questioni relative a chi amministrerebbe una tassa del genere e, ancora, a come verrebbero reinvestiti i suoi proventi.