Medio Oriente

Siria, una nazione in guerra da tredici anni con sé stessa

Nel marzo del 2011, all'improvviso, scoppiò una guerra civile – Il conflitto si protrae ancora oggi e, finora, ha fatto oltre 300 mila morti
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12.03.2024 17:30

Sono già passati tredici anni da quel mese di marzo del 2011, quando in Siria scoppiò la guerra civile. Una guerra che si protrae ancora oggi e che, finora, ha fatto oltre 300 mila morti.

Il conflitto era iniziato a seguito di proteste perpetrate da oppositori del governo del presidente Bashar Al-assad e del suo regime monopartitico con a capo il Baath, partito socialista, nazionalista e secolarista arabo. Presto, le proteste si erano trasformate in guerriglia facendo scoppiare la conseguente guerra civile, la quale ha visto scontrarsi truppe antigovernative e file-governative, ciascuna con i propri alleati.

Oltre all’Esercito regolare siriano e quello Libero siriano (oppositore principale di Assad), altri attori hanno preso parte agli scontri, tra cui lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) e le Forze democratiche siriane (alleanza di milizie curde, arabe e assiro-siriache in chiave principalmente anti-Isis e anti-Turchia, alleata dell’Esercito libero siriano).

Il segretario generale delle Nazioni unite António Guterres, che all’epoca dell’inizio delle ostilità non era nemmeno ancora in tale posizione, ha espresso preoccupazione per l’andamento delle ostilità presenti nel Paese ormai da tredici lunghi anni, descrivendole come un conflitto «con atrocità sistematiche e sofferenze indicibili per i civili» e sottolineando l'urgenza di «una soluzione politica negoziata in Siria», per proteggere i civili che vivono una «terribile situazione umanitaria».

Secondo le stime dell’ONU infatti, 16,7 milioni di persone, ovvero il 70% della popolazione, avranno bisogno di assistenza umanitaria nel 2024.

Attualmente, circa la metà della popolazione siriana è sfollata sia all’interno che all’esterno dei confini nazionali, principalmente nel sud della Turchia, numeri che sono peggiorati a seguito del terremoto che ha colpito una zona a cavallo tra i due Stati nel febbraio dello scorso anno, uccidendo migliaia e migliaia di persone, danneggiando gravemente le infrastrutture e peggiorando ancora di più le condizioni di una popolazione già in lotta per soddisfare i bisogni di base.

Per tutte queste ragioni, António Guterres, secondo segretario ONU alle prese con questo conflitto dopo Ban Ki-moon, ha esortato tutti gli attori in gioco a «fare tutto il necessario per raggiungere una soluzione politica autentica e credibile e che soddisfi le legittime aspirazioni del popolo siriano e che ripristini la sovranità, l'unità, l'indipendenza e l'integrità territoriale del Paese e crei le condizioni necessarie per il ritorno volontario dei rifugiati in sicurezza e dignità». Ha poi concluso ponendo l’attenzione su come le detenzioni arbitrarie, le sparizioni forzate, le esecuzioni extragiudiziali, la violenza sessuale e di genere, la tortura e altre violazioni continuano e sono un ostacolo a una pace duratura in Siria.