L'analisi

Solo Kamala Harris può sostituire Biden e battere Trump? Ecco che cosa dicono i dati

Mentre il terreno sotto i piedi dell'attuale presidente sembra sgretolarsi sempre più, l'ipotesi di un passaggio di testimone si fa forte – La vicepresidente appare come la scelta naturale, ma i numeri emersi in alcuni sondaggi spiegano come la scelta non sia così facile
©TIERNEY L. CROSS / POOL
Giacomo Butti
05.07.2024 20:30

«Per servire il suo Paese, Joe Biden dovrebbe lasciare la corsa per la Casa Bianca». Così il New York Times titolava, una settimana fa, l'editoriale che – pubblicato all'indomani della disfatta nel dibattito televisivo contro il tycoon – ha fatto il giro del mondo. Definendo Trump un «pericolo significativo per la democrazia», l'autorevole quotidiano statunitense spiegava: «Biden ha affermato di essere il candidato con le migliori possibilità di affrontare questa minaccia di tirannia e di sconfiggerla. La sua argomentazione si basa in gran parte sul fatto di aver battuto Trump nel 2020. Ma questa non è più una motivazione sufficiente per spiegare perché dovrebbe essere il candidato democratico quest'anno». È passata una settimana, appunto, e nel frattempo le pressioni perché l'81.enne rinunci alla candidatura democratica si sono moltiplicate a dismisura, con numerosi altri giornali, liberali e conservatori, che si sono uniti all'appello.

Oggi, Biden non sembra intenzionato a mollare. Anzi: la Casa Bianca ha seccamente smentito le voci diffuse proprio dal NYT e che parlavano di un Biden in procinto di considerare un abbandono della corsa. Ma il terreno sotto l'attuale presidente sembra sgretolarsi sempre di più, di pari passo con la fiducia degli elettori democratici. Ben il 75% di essi, secondo un sondaggio recentemente condotto da CNN e SSRS, crede che un altro candidato potrebbe fare meglio di Biden nel duello contro Trump. E gli analisti sono ormai concordi: il partito democratico deve almeno preparare un'eventuale successione. 

Sin dall'agosto 2023, del resto, Trump è costantemente in testa nei sondaggi presidenziali condotti dalla CNN (vedi grafico sopra). E nella proiezione di voto fra gli aventi diritto registrati, il distacco tra il tycoon e l'avversario è, nell'ultimo anno, significativamente aumentato, attestandosi a +6 punti percentuali: 49% per Trump, 43% per Biden. Una distanza non colmabile dal margine di errore previsto nell'indagine statistica, quantificabile con un +/- 3,8%.

C'è qualcuno che può fare meglio? Ecco che cosa dicono i dati.

Perché Kamala

La vicepresidente Kamala Harris pare, oggi, la scelta più logica. Nata a Oakland (California) da madre indiana e da padre di origini giamaicane, Harris fa parte – con Biden – del ticket che ha sin qui dominato le primarie democratiche. Secondo i dati raccolti dai media americani, da inizio 2024 sono oltre 60 i viaggi compiuti da Kamala Harris in 20 Stati, viaggi che l'hanno vista parlare, soprattutto fra comunità afroamericane, di temi caldi come l'aborto, la violenza con armi da fuoco e l'economia.

Un eventuale passaggio di testimone alla 59.enne – ne abbiamo parlato qui – porterebbe immediatamente ai democratici grandi vantaggi nello scontro con Trump, che si troverebbe ad affrontare una donna non solo di 20 anni più giovane – addio alla carta del "vecchio avversario"! – ma anche dotata di una più salda presa sulle minoranze, sin qui tiepide nei confronti di Biden e alienate – soprattutto quella musulmana – dall'incondizionato supporto concesso a Israele nella guerra a Gaza.

Ma comparare Harris a una panacea per tutti i mali del partito democratico sarebbe avventato. È vero: secondo i dati più recenti raccolti dalla CNN, l'ex senatrice e procuratrice generale della California avrebbe guadagnato terreno dopo essere stata a lungo alle spalle persino di Biden nelle preferenze degli americani. Oggi si troverebbe a «distanza di tiro» da Trump: se messo di fronte alla scelta, il 45% degli elettori registrati voterebbe per Harris, il 47% per Trump: una distanza (2 punti) minore al già citato margine di errore. Eppure, Harris rimane un personaggio tutt'altro che universalmente apprezzato, pure sul fronte democratico. Dopo quasi quattro anni di vicepresidenza, pochi (o nessuno) i traguardi tagliati dalla 59.enne, pur avendo avuto la possibilità di dire la sua su dossier importanti, come quello della gestione di confine e migrazione al Sud. Molti, insomma, avrebbero preferito Harris osasse di più. Non a caso, un anno fa, un sondaggio condotto da NBC News conferiva a Harris un poco invidiabile primato: quello di vicepresidente dal grado di apprezzamento più basso nella storia degli Stati Uniti, con solo un 32% degli elettori registrati pronti a fornire un'opinione positiva sulla nativa di Oakland.

Molto si è poi detto dei soldi raccolti per rieleggere Joe Biden. Kamala Harris, dovesse Biden cedere lo scettro, avrebbe legalmente accesso ai 91 milioni di dollari oggi nei conti bancari intestati alla campagna del presidente, frutto delle donazioni dei suoi sostenitori. Questo perché il conto della campagna è stato registrato presso la Commissione elettorale federale a nome di entrambi i candidati. Ma ciò non significa che i fondi sarebbero immediatamente utilizzabili dalla 59.enne: come ben evidenziato da un articolo di ABC News, gli studiosi di diritto statunitensi sono concordi nell'evidenziare che se i donatori dovessero chiedere indietro il proprio denaro dopo il cambio di candidato, la campagna non potrebbe opporsi a un rimborso. Insomma, il problema dei fondi potrebbe interessare Harris così come qualsiasi altro candidato.

Gli altri

Ma di quali altri "candidati" parliamo? Di altri papabili ne esistono? Sì e no. I sondaggi condotti da CNN e da Data for ProgressDFP, un think tank autorevole fra le file democratiche – mostrano che i nomi emersi nell'ultima settimana presentano problemi di riconoscibilità. Gavin Newsom, attuale governatore della California. Gretchen Whitmer, governatrice del Michigan. Pete Buttigieg, segretario dei Trasporti. Non esattamente dei "signori nessuno", ma comunque profili poco conosciuti fra l'elettorato. I dati raccolti da DFP (e da noi tradotti in grafico, sotto), parlano chiaro.

Anche una candidata come Whitmer, passata agli onori della cronaca nazionale e internazionale per essere scampata a un tentativo di rapimento da parte di una milizia irregolare del Michigan, risulta perlopiù sconosciuta. Tanto che il 56% degli elettori intervistati da DFP ha affermato di non conoscere abbastanza bene la politica per esprimere un'opinione su di lei. Simili i numeri per altri papabili alla successione di Biden: 37% per Newsom, 39% per Buttigieg, 48% per Cory Booker (senatore del New Jersey) e 54% per Amy Klobuchar (senatrice del Minnesota).

Tuttavia, i dati raccolti da DFP forniscono un altro interessante spunto d'analisi. Tutti i politici citati otterrebbero, se posti come alternativa a Biden nel confronto contro Trump, numeri non troppo dissimili da quelli registrati da Harris (si veda nel grafico sotto). Elettori democratici, repubblicani, indipendenti e indecisi, insomma, dichiarano di essere pronti a votare – più o meno – allo stesso modo, indipendentemente da chi sarà l'avversario di Trump. Simili, seppur meno generosi nei confronti degli altri politici dem, i dati raccolti da CNN.

Il caos di una «open convention»

Un'alternativa a Kamala Harris è dunque, almeno in teoria, possibile. Ma a livello pratico rimangono dubbi sulle tempistiche: è troppo tardi, nel caso in cui Biden dovesse ritirarsi, per presentare nuovi nomi agli elettori? Probabilmente sì. 

Se Biden dovesse rimanere in sella, la Democratic National Convention prevista per il 19 agosto a Chicago avrebbe un valore perlopiù cerimoniale. I quasi 4.000 delegati democratici dovrebbero semplicemente certificare, con il loro voto, i risultati delle primarie, facendo di Biden – ufficialmente – il candidato democratico nel voto finale di novembre. Il problema è che se Biden dovesse ritirarsi e un sostituto non dovesse essere prestabilito nel frattempo, la "convention" diverrebbe, improvvisamente, aperta perché priva di un candidato che raggruppi chiaramente la maggioranza delle preferenze. Una open convention renderebbe il voto dei 4.000 delegati molto più importante (perché non più di protocollo, ma decisivo) e, al tempo stesso pericoloso. Che cosa succederebbe se si creassero delle fazioni a sostegno di questo o quel candidato? Simili spaccature rischierebbero di lacerare il tessuto democratico a poco più di due mesi dall'Election Day. Un rischio che il partito dell'asinello non può permettersi di correre.

Una cosa, dunque, è chiara: se forfait di Biden deve essere, il passo va fatto in fretta, così da legittimare il sostituto ed evitare il caos di una vera open convention. Ancor più se i democratici dovessero, per assurdo, decidere di scartare Harris per tentare il salto nel vuoto.