Il caso

Spazzatura spaziale: quando una scheggia può causare danni incalcolabili

Lunedì Mosca ha condotto un test missilistico terra-spazio, nel corso del quale ha ridotto in minuscoli detriti un proprio satellite spia non più funzionante - La mossa ha creato due pericolosi polveroni, uno letterale e uno politico - Ne abbiamo parlato con il giornalista informatico Paolo Attivissimo
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Giacomo Butti
20.11.2021 13:20

Ma cosa fai, Russia? Nella giornata di lunedì, Mosca ha condotto un test missilistico terra-spazio nel corso del quale ha abbattuto un proprio satellite spia non più funzionante, Cosmos 1408, in orbita dal 1982. Una mossa che ha sollevato in un sol colpo due polveroni: uno letterale, con la pericolosa nuvola di detriti in grado di impensierire gli occupanti della Stazione spaziale internazionale (ISS, sulla quale si trovavano anche dei cosmonauti russi), e uno figurato, fra le numerose critiche arrivate da Governi ed enti internazionali. Proprio ieri la NATO ha definito l’atto della Russia «sconsiderato e irresponsabile, poiché mette in pericolo la sicurezza, gli interessi economici, scientifici e commerciali di tutte le nazioni».

Alcuni lo ricorderanno: in epoca recente altri «test» avevano portato a risultati simili. Prima della Russia anche Cina (2007), Stati Uniti (2008) e India (2019) avevano aggiunto, con l’abbattimento dei propri satelliti, una gran quantità di rifiuti spaziali ai corpi orbitanti attorno al nostro pianeta. Con il giornalista informatico Paolo Attivissimo abbiamo parlato dei pericoli di questa «spazzatura spaziale» e della trasposizione «extraterrestre» dei conflitti mondiali.

La Stazione spaziale internazionale. / © EPA/NASA
La Stazione spaziale internazionale. / © EPA/NASA

Più piccoli, più pericolosi

Cosa succede quando, per un motivo o per l’altro, un satellite o altro mezzo creato dall’uomo viene distrutto nello spazio? «Quando c’è un impatto distruttivo di questo genere, i frammenti del satellite restano in orbita muovendosi ad alte velocità, creando una nuvola in progressiva espansione», ci spiega Attivissimo. Le conseguenze di una simile esplosione si protraggono sul lungo periodo. Ad impensierire nel caso più recente è il fatto che sia avvenuta a 480 chilometri dalla Terra, fascia molto «trafficata» dell’orbita. «L’ISS orbita attorno ai 400 chilometri dal pianeta, una distanza leggermente superiore a quella tenuta da numerosi altri satelliti di uso commerciale e militare». Insomma, una zona dove «relitti» spaziali che viaggiano incontrollati potrebbero fare gravi danni. «Il problema fondamentale è che il ‘‘percorso’’ di questi detriti non è sempre tracciabile», continua. «Se per quelli al di sopra di una certa dimensione è possibile anticipare dove andranno ed evitare così una collisione, con i frammenti più piccoli non si può fare nulla».

Anche una piccola scheggia può essere una mina vagante

Parliamo dunque di «piccole mine vaganti. Una scheggia di vernice può trapassare diversi strati dei finestrini di un veicolo spaziale. Un oggetto di una decina di grammi che dovesse sfuggire ai radar di tracciamento sarebbe in grado di penetrare nei moduli abitati dell’ISS, portando a danni che variano da una gestibile perdita di pressione al possibile ferimento di un astronauta colpito». «Conseguenze catastrofiche» potrebbero avere poi sugli astronauti che operano all’esterno delle stazioni, nello spazio aperto: «Le parti più sottili come i vetri del casco sarebbero facilmente trapassate da simili detriti. Le probabilità sono estremamente basse, ma logicamente più frammenti si diffondono nello spazio, più i rischi aumentano». E i satelliti commerciali? Quelli, dicevamo, si trovano a quote leggermente inferiori. Anche qui basta poco, una piccola scheggia, «e i costosi strumenti di telecomunicazione possono riportare danni con conseguenti interruzioni di servizio». A preoccupare, ora, è l’«effetto valanga»: «I frammenti della nuvola potrebbero danneggiare altri satelliti, creando altre nubi di detriti. Per questo è necessario fare più attenzione possibile».

Senza considerare che sul calendario si avvicina a grandi passi una data storica per l’astronomia: il lancio del telescopio James Webb, che promette di ampliare a dismisura la porzione di spazio osservabile e di conseguenza anche le nostre conoscenze sull’Universo. Uno strumento incredibilmente delicato che verrà posizionato a una distanza dalla Terra così elevata, 1,5 milioni di chilometri, da impedire eventuali riparazioni (a differenza di quanto accaduto con il predecessore Hubble: per aggiustarlo era stato possibile programmare diverse missioni con la partecipazione, tra gli altri astronauti, dello svizzero Claude Nicollier). Che impatto può avere su di esso questa nuova variabile? «Tutto dipende dalle traiettorie dei detriti. Al momento la nuvola di frammenti (ancora relativamente compatta, ndr) sta seguendo un percorso ben preciso e una collisione può dunque essere evitata. Si tratta di una complicazione, un aspetto in più da considerare, ma il vero pericolo lo corrono gli strumenti già in orbita, che saranno costantemente esposti a una pioggia di detriti che può arrecare gravi danni alla strumentazione».

Grazie, atmosfera!

Più il tempo passa e più aumenta il numero di satelliti presenti nello spazio, e con esso la probabilità di nuove collisioni e incidenti. Pensiamo ad esempio a Starlink, un progetto di «costellazione satellitare» creata a fini commerciali dal miliardario Elon Musk. Di mese in mese decine di nuovi piccoli satelliti vengono lanciati in orbita. Per fortuna «le organizzazioni che fanno lancio responsabile di satelliti già prevedono una dismissione controllata dei propri strumenti: non vengono lasciati in orbita come semplici oggetti inerti. In molti casi a bordo di essi viene tenuta una riserva di propellente: quando la loro vita operativa si conclude, questo viene utilizzato per rallentarli e farli così precipitare nell’atmosfera, dove si disintegrano.

Sulla Terra non si corrono particolari pericoli: i detriti che ricadono sul pianeta si disintegrano, di norma, nell’atmosfera

«Altri satelliti prevedono orbite ‘‘di parcheggio’’ più alte, non trafficate, dove vengono lasciati riducendo così i rischi di collisione». Ma non è finita qui, anzi: «Esistono altri modi per recuperare i satelliti che non prevedono una delle soluzioni precedenti. Un’azienda svizzera ad esempio ha progettato un sistema di cattura di questi relitti volanti, ma siamo agli inizi del progetto, c’è ancora molto da sperimentare».

E sulla Terra? Corriamo rischi seri per la ricaduta di spazzatura spaziale? «No, nulla di tutto ciò. I detriti che vengono generati dalla distruzione o rientro di un satellite, normalmente si disintegrano nell’atmosfera. In casi rari alcuni pezzi possono arrivare al suolo ma si tratta di oggetti di dimensioni ridotte».

Guerre spaziali

Cosa ci ha guadagnato la Russia, allora, da un simile test? Dove i pro? «Quella della Russia è sicuramente una dimostrazione di forza, ma anche di disperazione. Un’arma anti-satellite del genere si ritorce anche contro chi la lancia. Gli stessi cosmonauti russi sulla ISS si sono dovuti mettere al riparo dall’arma utilizzata dal loro Paese. Insomma, un ‘‘muoia Sansone con tutti i Filistei’’. Gli esperimenti condotti negli scorsi vent’anni dagli altri Paesi si sono svolti a quote differenti, il rischio era dunque minore. Quello effettuato dalla Cina nel 2007, ad esempio, benché discutibile, è stato eseguito in una zona meno pericolosa». E se già la Cina aveva rischiato una crisi diplomatica, il nuovo test russo ha per certi versi del clamoroso.

L’impressione è che le grandi potenze stiano giocando sulle virgole dei trattati internazionali

La necessità di dimostrarsi militarmente forti sembra trasporsi da contesti terrestri a quelli spaziali. «Esiste da sempre una tendenza alla militarizzazione dello spazio», chiosa Attivissimo. «La Russia negli anni passati ebbe delle stazioni spaziali militari con tanto di cannoni antiaerei a bordo. Esistono poi satelliti di ricognizione militare che servono non solo a monitorare il territorio nemico ma anche all’osservazione di eventuali detonazioni nucleari o lancio di missili, così da avere il tempo di compiere rappresaglie». Inutile negarlo, dunque, il nostro «è uno spazio già militarizzato. Non è una novità. Negli anni ‘50 si pensava a basi sulla Luna, poi ci si è resi conto dell’inutilità del progetto, oltre che dei costi proibitivi. L’impressione è che le grandi potenze stiano giocando sulle virgole dei trattati internazionali. Per evitare guai internazionali, l’arma viene così utilizzata per abbattere un proprio satellite e non quello di un altro Paese, un atto altrimenti estremamente ostile». Ma sempre di atti bellici si tratta. «È una semplice foglia di fico».

E se nello spazio i detriti rischiano di causare una valanga, sulla Terra il lancio fa temere una simile reazione a catena. «Se tollerato, verrebbe visto come un semaforo verde dalle altre potenze. Sono diverse le nazioni che hanno o si sospetta abbiano tali capacità di lancio e intercettazione, come Israele».

In questa immagine di aprile 2021 la capsula SpaceX Crew Dragon si avvicina all’ISS. / © AP/NASA
In questa immagine di aprile 2021 la capsula SpaceX Crew Dragon si avvicina all’ISS. / © AP/NASA

Un fatto privato

Ma gli Stati non sono gli unici a voler fare dello spazio terra di conquista. A puntare all’Universo vi sono anche diversi miliardari: Bezos e Branson, ma soprattutto Musk. «I primi si accontentano di brevi viaggi appena al di fuori dell’atmosfera», ci spiega Attivissimo. «Per Musk e la sua SpaceX, però, il discorso è diverso». Il magnate sudafricano naturalizzato statunitense «ha una presenza molto forte: i suoi lanciatori portano gli astronauti sulla ISS, trasportano cargo e si occupano della messa in orbita dei satelliti anche per il Dipartimento della Difesa statunitense». Con il già citato progetto «Starlink», Musk ora sta pensando di colonizzare l’orbita terrestre con migliaia di satelliti: «Quella di Starlink è una presenza commerciale molto forte che ha delle serie conseguenze. Al di là del rischio aumentato della creazione di detriti, crea un forte inquinamento astronomico. Ciascuno di questi satelliti lascia una scia luminosa: gli osservatori si trovano in difficoltà perché tutte le riprese del cielo vengono strisciate dal loro passaggio». Un aspetto che infastidisce, e non poco, il mondo scientifico: «Sono in molti a lamentarsi di questa commercializzazione che però, va detto, viene fatta in maniera legale, chiedendo tutti i permessi. Ciò che manca è un accordo quadro internazionale: servirebbe un unico sistema invece di averne tanti concorrenti». E tra i litiganti, il privato gode: «È nel vuoto legislativo e nell’attesa che i Governi del mondo si mettano d’accordo invece di lanciare missili l’uno contro l’altro (o contro i propri satelliti, per fare dimostrazione di forza), che intervengono i privati miliardari. Sono più flessibili e hanno più risorse economiche da investire: dove loro corrono, lo Stato è invece ancora fermo ad allacciarsi le scarpe». E il giornalista informatico ci fa un esempio: «La NASA è impegnata da 15 anni nella costruzione di un razzo con il quale tornare sulla Luna, ma continua ad accumulare ritardi e spese infinite. Nel frattempo SpaceX ha costruito lanciatori non più usa e getta ma riutilizzabili. Con questi costi e tempi di sviluppo sono tagliati di netto. È semplice: il commerciale ha una flessibilità che lo statale non può raggiungere».