Il caso

Stessi prezzi (o superiori) e piatti più piccoli

In Francia, Germania e negli Stati Uniti molti consumatori si lamentano della cosiddetta sgrammatura o riduflazione: di che cosa si tratta?
Marcello Pelizzari
02.09.2022 13:30

Immaginate di ordinare il vostro piatto preferito nel vostro ristorante di fiducia. Quello che vi serve da sempre. Immaginate, ora, di pagare lo stesso prezzo – o qualcosa di più, addirittura – ma di ritrovarvi una porzione più piccola. Possibile? Sì. Il fenomeno ha un nome. Più di uno, invero: sgrammatura, riporzionamento, riduflazione volendo giocare con riduzione e inflazione. In inglese si parla di shrinkflation. È la strategia commerciale, leggiamo su Wikipedia, che consiste nel ridurre le dimensioni, la quantità o la qualità dei prodotti in vendita, mantenendo stabile il loro prezzo o, come detto, perfino aumentandolo di poco. Se ne iniziò a parlare nel Regno Unito negli anni Ottanta. Se ne sta parlando, di nuovo, in queste settimane complicate. Più o meno ovunque. 

Occhio ai fast food

Il problema, d’altronde, è noto. Da una parte il contesto internazionale e, va da sé, la guerra in Ucraina. Dall’altra impennate anche clamorose dei prezzi e problemi nella catena di approvvigionamento. Energia, trasporti, materie prime. 

Il fenomeno, dicevamo, riguarda più o meno tutti. I ristoratori francesi, riferisce La Tribune, hanno lamentato un aumento medio del 13% dei prezzi applicati  distributori nel secondo semestre del 2022. E hanno agito di conseguenza. Peraltro senza riuscire a sfruttare del tutto la sgrammatura, visto che secondo un’inchiesta il 40% dei professionisti del settore ha aumentato i prezzi sul menù da gennaio a oggi. Ahia. 

Negli Stati Uniti, per contro, la shrinkflation sarebbe stata applicata con successo dalla ristorazione rapida. Il motivo? I prezzi della carne di manzo e dell’olio di girasole. E l’impossibilità, di riflesso, di offrire piatti alternativi. Per dire: una catena di fast food non ha modo di andare oltre l’hamburger e le patatine. Burger King, fra gli altri, ha annunciato di voler diminuire le porzioni per far fronte all’inflazione galoppante mentre altre catene hanno deciso di aumentare i prezzi del prodotto finale. Ricordate la polemica sui kebab in Francia? Ecco. 

Maledetti orsetti gommosi

Trovarsi porzioni modeste e/o prezzi più alti, fronte cliente, non è certamente una bella cosa. Tant’è che negli Stati Uniti, tramite social, parecchi utenti si stanno facendo sentire. Eppure, c’è anche chi esulta. Facendo notare, ad esempio, che nei fast food in particolare si mangiava troppo o, meglio, le porzioni erano decisamente extra (con tutte le conseguenze del caso per la salute pubblica e il rischio di obesità). O, ancora, che il rischio di sprecare cibo – riducendo le porzioni – diminuisce. E pure parecchio. 

In Germania, scrive Bloomberg, le autorità per la tutela dei consumatori sono state sommerse di lamentele. Nella sola zona di Amburgo sono piovuti un centinaio di reclami in poche settimane. Un record. E ancora: l’elenco degli imballaggi bluff comprenderebbe prezzi più alti del 14% per gli orsetti gommosi e del 20% per le patatine. Alcune margarine sono salite del 25% complici «aumenti drammatici dei costi in tutta la catena di approvvigionamento, comprese le materie prime». Ah, le confezioni nel frattempo sono state ridotte.

I prezzi dei generi alimentari, va detto, sono il principale motore dell’inflazione tedesca dopo l’energia, con un aumento annuo del 14% a luglio, quasi il doppio rispetto all’indice generale. I bilanci delle famiglie a basso reddito evidentemente sono messi a durissima prova. 

Toccate anche le mense

La sgrammatura, nell’Esagono, sta toccando anche le mense scolastiche. Pena, l’aumento sconsiderato del menù offerto. I genitori degli allievi di un istituto della Senna Marittima, per dire, hanno accettato una proposta ridotta: piatto principale, cui si può aggiungere un antipasto, un formaggio o un dessert. Un modo per fare economia e, riallacciandoci a quanto scritto prima, evitare sprechi (qualcosa come 21 chili di cibo per allievo, ogni anno, andavano sprecati in quella scuola).

Basta dirlo, in fondo. Foodwatch, sempre in Francia, ha notato che alcune tavolette di cioccolata Lindt vengono vendute in formato ridotto con un peso inferiore del 20%. Con un aumento di prezzo, per tavoletta, del 4%. Lindt France, interrogata dall’AFP, ha specificato che l’operazione di lifting è stata suggerita dalla volatilità dei prezzi delle materie prime, nello specifico il cacao. Un’operazione legale, intendiamoci, a patto di indicare il peso del prodotto chiaramente nell’imballaggio per non sorprendere né fregare il consumatore finale.

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