Strage di Örebro: «La maggior parte delle vittime aveva origini straniere»
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Una tragedia da cui la Svezia ancora non si è ripresa. Da cui, è evidente, si rialzerà a fatica. È passata ormai una settimana dalla strage avvenuta in una scuola per adulti di Örebro. Strage ormai classificata come la sparatoria di massa più mortale mai avvenuta nel Paese scandinavo. Undici, in totale, i morti. Tra di loro, anche colui che ha aperto il fuoco, la cui identità è stata confermata nelle scorse ore.
Come confermato dalla procuratrice Elisabeth Anderson, lo sparatore si chiamava Rickard Andersson. Era un uomo svedese, 35.enne, che i media avevano descritto come «persona con gravi problemi di salute mentale». Andersson era disoccupato da anni e non aveva rapporti sociali con altre persone. Soprattutto, possedeva legalmente quattro armi, di cui tre usate nell'attacco alla scuola di Örebro. Anni prima, era persino stato uno studente della scuola attaccata, il Campus Risbergska. Luogo dove si tenevano diversi corsi per adulti che non avevano completato gli studi e per stranieri arrivati in Svezia da poco.
È ancora mistero, però, sulle ragioni che hanno portato il 35.enne ad aprire il fuoco. Nel frattempo, però, gli agenti stanno cercando di rimettere insieme i pezzi, per trovare una risposta. E, dalle prime indagini, è emerso un comune denominatore che potrebbe aiutare a far chiarezza. Come dichiarato dalla polizia svedese nelle scorse ore, gran parte delle vittime aveva origini straniere. Tra le persone uccise nella sparatoria figurano infatti due uomini siriani, una donna eritrea, una donna iraniana e un'insegnate curda.
«La maggior parte delle vittime della sparatoria nella scuola aveva origini straniere. L'etnia è una circostanza che la polizia ha preso in considerazione fin dall'inizio delle indagini, quando ha iniziato a valutare un possibile movente», ha spiegato Niclas Hallgreen, vicecapo della polizia regionale di Bergslagen, a SVT. Tuttavia, però, sarebbe ancora «troppo presto per dichiarare se ci sia una ragione specifica dietro l'atto». Secondo quanto emerso da un video pubblicato dall'emittente svedese TV4, l'attentatore avrebbe verosimilmente gridato «Dovete andare via dall'Europa!», mentre sparava.
Nel frattempo, però, la Svezia è (ancora) un Paese distrutto dalla tragedia. Ieri sera, in un discorso televisivo, il primo ministro Ulf Kristersson ha dichiarato che domani, martedì, a una settimana precisa dall'attacco, si terrà un minuto di silenzio nazionale. «La Svezia è un Paese in lutto», ha dichiarato rendendo omaggio alle vittime, sette donne e tre uomini. «Venivano da posti diversi del mondo e avevano sogni diversi. Erano a scuola per mettere le basi del loro futuro, che ora è stato spazzato via».
Pur avendo identificato tutti i corpi, la polizia non ha ancora reso noti, ufficialmente, i nomi delle vittime. Ma tra quelli citati dai media locali, compare quello di Salim Iskef, 28.enne, rifugiato siriano, che stava studiando per ricevere assistenza. L'uomo, secondo quanto emerso dalle prime indagini, aveva telefonato alla fidanzata pochi istanti prima di morire per dirle che era stato colpito e che la amava. Tra le vittime, anche Elsa Teklay, 32.enne e madre di quattro figli. La donna lavorava nelle scuole e nel campo dell'assistenza per anziani e si era trasferita, con la sua famiglia, dall'Eritrea alla Svezia. Bassam Al Sheleh, 48 anni, anche lui siriano, era un fornaio e padre di famiglia, iscritto alla scuola di Örebro per migliorare il suo svedese. Infine, tra le identità note c'è quella di Aziza, 68.enne arrivata in Svezia dal Kurdistan negli anni '90. Era un'insegnante di matematica nel centro colpito e si era trasferita nel Paese nordico per «essere al sicuro».