Sui fogli bianchi i primi tratti dei traumi taciuti

La guerra raccontata dai bambini non ha eroi né lieto fine. C’è un solo modo per esplorare gli abissi del cuore e gli incubi nella testa: farseli disegnare. E più il conflitto va avanti «e più noto un aumento dei colori scuri e di scene strazianti», dice un volontario UNICEF in Ucraina.
Sarà questa la ricostruzione più difficile. Più dei ponti polverizzati e delle case in rovina. Un atto d’accusa che da solo varrebbe un processo per l’infanzia rubata. Bisogna andare nelle “Scuole della pace” della Comunità di Sant’Egidio per farsi raccontare la verità che solo i bambini sanno dire. O nei centri UNICEF dove ti spiegano che quelli non sono semplici tratti di matite colorate, ma il tormento silenzioso del conflitto e delle sue ricadute sull’Ucraina del domani.
Come Nazar Shevchenko, 4 anni, ferito durante uno dei brutali bombardamenti sulle abitazioni civili di Kharkiv. «Le sue ferite fisiche sono guarite rapidamente - raccontano i volontari di UNICEF -, ma le ferite psicologiche sono molto più difficili da superare». Durante le esplosioni, un bicchiere è andato in pezzi e i frammenti hanno trapassato la gamba destra del bambino. Le cicatrici non gli fanno più male. Nazar si è ripreso in fretta. Almeno in apparenza. «La cosa peggiore è iniziata dopo», racconta Nataliya, la madre. «Mio figlio, che è sempre stato molto indipendente, ha iniziato ad avere paura di tutto. Se qualcuno solo sposta una sedia, Nazar si spaventa e urla. Ora ha paura del buio e non vuole mai andare in bagno da solo». Il lavoro degli psicologi non sarà breve, ma nessuno come una madre sa cogliere i passi in avanti e vedere le ombre che nessuno sa scorgere. Nataliya, nonostante tutto, è ottimista. «Mio figlio ha ricominciato a giocare da solo grazie allo psicologo. Trascorre molto tempo con lui e disegna molto». Il peggio per ora è passato: «Adesso io posso lavorare con calma in una stanza e Nazar gioca in un’altra».
Ponti distrutti e carri armati
L’agenzia ONU per l’infanzia ha pensato alla creatività per raccontare non solo a parole le paure dei bambini. Iryna, un’insegnante fuggita dal Donbass a Zaporizhia insieme alla figlia di 10 anni, ora fa la volontaria in un centro UNICEF. «Dallo scoppio della guerra -racconta - ho notato un aumento dei colori scuri e di scene strazianti». Anche gli operatori della Comunità di Sant’Egidio in Ucraina osservano la stessa tendenza. A Leopoli, a Kiev e in altre regioni si trovano quei centri che guardano al domani provando a elaborare le ferite dell’oggi. Si parla di bombe, di missili, di aerei, di morti. Perché adesso che arriva il secondo carnevale sotto le bombe, c’è chi avrà voglia di indossare le maschere colorate, ma non si può certo camuffare il dolore a cui occorre saper dare un nome. Appaiono così, dai fogli lisci e bianchi, i primi tratti dei traumi taciuti: il ponte distrutto di Irpin, bombardato mentre i profughi lo attraversavano per fuggire dall’assedio; i carri armati che sparano sui palazzi abitati; un passeggino di fronte a un blindato, un morto sulla strada, un bombardiere che sgancia il carico di morte sul centro abitato. Non sono fantasticherie di bimbi spaventati, ma immagini che hanno visto e subìto.
«Tutti noi, adulti e bambini, siamo cambiati in modo significativo dall’inizio della guerra», dice Iryna dalla scuola rifugio di Zaporizhia, non il posto più sicuro dell’Ucraina, con la centrale nucleare più grande d’Europa occupata dai russi che ne hanno fatto una bomba a orologeria. «È difficile per tutti noi - ripete -, ma abbiamo tutti bisogno di sostegno e sollievo».
A scuola nonostante tutto
Il lavoro dei volontari è faticoso, perché chiunque stia qui deve fare i conti con la propria paura. «Ma quando si aiutano gli altri, si scopre il senso della vita e della libertà - osserva Yuri Lifanse, uno dei coordinatori delle attività di Sant’Egidio in Ucraina -. Aiutare i più fragili è la libertà più grande perché, sostenendoli, si comunica direttamente con tanti tipi di persone diverse: dai senzatetto ai ministri e ai sindaci. E si fa l’apparentemente impossibile». Come andare a scuola nonostante tutto. Anche se in modo diverso dal solito. Gli scolari ucraini, come quasi chiunque in Europa, l’avevano già sperimentato durante i due anni di pandemia. E si deve adesso alle loro maestre, molte rimaste nel Paese, se il programma scolastico può andare avanti. La maggior parte non ha libri con sé. Ma grazie alla tecnologia si può sopperire. Tablet e telefonini diventano lo strumento non solo per insegnare, ma per tenere insieme la scolaresca. C’è chi si collega dall’Italia, chi dalla Francia, o dalla Spagna. Molti sono in Romania e tanti in Ucraina, magari scappati in una casa di campagna dove si spera che i missili non abbiano ragione d’essere tirati.
UNICEF tiene traccia delle tante iniziative. E non ha buone notizie: «Recentemente - si legge in una nota di pochi giorni fa - il numero di bambini che necessitano di correzione dello sviluppo è in aumento». Oltre ai piccoli provenienti da famiglie in condizioni di vita difficili e a quelli con disabilità fisiche e mentali, «c’è bisogno di aiuto per tutti i bambini colpiti dalla guerra». E «tutti» vuol dire quasi 8 milioni di bambini e adolescenti, di cui oltre la metà sfollati o profughi all’estero.