Svolta europea per i rider, «ma da noi la situazione rimane inaccettabile»

Per i "gig worker" siamo di fronte a una vera e propria svolta. Lunedì gli Stati membri dell'Unione europea hanno raggiunto l'atteso accordo a tutela di una fascia che, nel blocco dei 27, conta oltre 28 milioni di lavoratori. Fattorini, rider di Deliveroo o Glovo, autisti di Uber e tanti, tanti altri rappresentanti del lavoro "su chiamata". «La gig economy ha portato molti benefici alle nostre vite, ma non deve andare a scapito dei diritti dei lavoratori», ha dichiarato Paulina Brandberg, ministro svedese per l'uguaglianza di genere e la vita lavorativa, che ha presieduto le discussioni in Lussemburgo. «L'approccio del Consiglio rappresenta un buon equilibrio tra la protezione dei lavoratori e la certezza del diritto per le piattaforme che li impiegano». Ma che cosa cambierà, in sostanza? Tra i punti principali dell'accordo v'è l'inquadramento, secondo determinati criteri, dei lavoratori della gig economy come dipendenti, e non più come autonomi. Un cambio di definizione che avrà enormi implicazioni, appunto, per aziende come Uber e Deliveroo, che saranno tenute a pagare per prestazioni lavorative come il congedo parentale e la previdenza sociale.
Ma i rider europei non sono gli unici a gioire. A New York, il consiglio comunale ha approvato ieri un pacchetto di leggi che punta a migliorare le condizioni di questa categoria di lavoratori: dal 12 luglio potranno contare su un salario minimo di 17,96 dollari l'ora, mance escluse. Una prima statunitense.
Le difficoltà affrontate giornalmente da fattorini e rider sono state, negli scorsi anni, tema di discussione anche in Ticino e Svizzera. Qual è, da noi, la situazione attuale? Ne abbiamo parlato con Giangiorgio Gargantini, segretario regionale UNIA.
Da autonomi a dipendenti
Gargantini saluta positivamente la decisione europea: «Si tratta di un passo importante: la gig economy è una parte di mercato in grande espansione. Lo era già prima del COVID, ma l'arrivo della pandemia ha portato a una crescita esponenziale dell'economia di piattaforma». Costretti a non uscire, perché non ordinare — ad esempio — del cibo e farselo portare proprio sull'uscio di casa? «Lo smart working ha favorito queste nuove forme di lavoro che sono, dal punto di vista del sindacato, potenzialmente molto pericolose». Innumerevoli, secondo Gargantini, «le possibili derive. Una è proprio quella di considerare i lavoratori come autonomi e indipendenti, quando evidentemente non lo sono». E qui, il segretario regionale UNIA cita il caso di Uber, il servizio di trasporto automobilistico privato che collega direttamente cliente e autista. «Due decisioni importanti su Uber sono state prese dai tribunali cantonali di Ginevra e Vaud: l'azienda, ha confermato anche il Tribunale federale, dovrà considerare i propri autisti come dipendenti e non come autonomi». La questione in breve: «Sino a questa decisione, Uber poteva chiudere a proprio piacimento, agli autisti, l'accesso alla piattaforma. E quindi licenziare. Se invece il lavoratore era infortunato o in malattia, e quindi non poteva lavorare, non aveva diritto a nessun tipo di indennità o riconoscimento. Si tratta di uno scarico di responsabilità grave da parte del datore di lavoro». Ora, dicevamo, la giustizia ha deciso altrimenti. Ma solo per i due cantoni implicati. «Ora ci vorrebbe una presa di posizione politica che porti a una regolamentazione valida per tutto il Paese. Altrimenti, risolvere il problema ricadrà sempre sulle spalle dei lavoratori, costretti ad assumersi costi e tempi del percorso giudiziario, oltre alle pressioni sul lavoro».
Il caso di Divoora
Fra 2021 e 2022, poi, si era parlato di Divoora. La piattaforma di food delivery era finita al centro di una polemica: i driver avevano protestato in Piazza Riforma, a Lugano, chiedendo la retribuzione di tutto il tempo di lavoro (e non solo quello di consegna), il il rimborso spese (tra cui quelle dei veicoli) e l’introduzione di un’assicurazione di indennità per perdita di guadagno in caso di malattia. Il tentativo di conciliazione tra azienda e sindacati UNIA e OCST era naufragato nell'aprile dello scorso anno e il caso era finito sotto la lente dell'Ufficio dell'ispettorato del lavoro. «La situazione, con Divoora, è diversa da quella di Uber. Come Smood (l'altra principale piattaforma di food delivery, ndr), Divoora riconosce lo status di dipendente ai propri rider. Il punto centrale della protesta, quindi, riguarda il pagamento del tempo in attesa fra una consegna e l'altra, al momento non concesso da Divoora». Il parallelo con Uber è dunque un altro: «Ancora una volta la politica, il questo caso il Consiglio di Stato, non ha avuto il coraggio di prendere in mano la questione». A cosa ha portato l'indagine dell'Ufficio dell'ispettorato del lavoro? «Sappiamo che la procedura ha portato a documentazione con conseguente presa di posizione da parte dell'Ispettorato, ma questa non è stata resa pubblica»
La situazione, insomma, non è cambiata. «Oggi, la contrattualistica rimane quella denunciata già due anni fa, con condizioni di lavoro che noi continuiamo a considerare inaccettabili. I lavoratori, aiutati dal sindacato, hanno denunciato l'azienda e alcuni di loro stanno già seguendo le procedure giuridiche. Il tribunale prenderà una sua decisione. Ma non ci si può basare unicamente sulle procedure individuali dei lavoratori per creare una giurisprudenza su cui poi basare le misure. Politica e società hanno la responsabilità di intervenire su queste situazioni eticamente insopportabili. Serve una presa di coscienza di cosa significhi oggi il lavoro di piattaforma e quali sono i rischi per l'intero mercato del lavoro se questo tipo di contrattualistica dovesse essere preso come esempio in altri ambiti».
Gargantini chiude con un paragone amaro: fra 2021 e 2022, «sono state due le grosse vertenze che hanno implicato anche un controllo dell’ispettorato, quella di Divoora e quella del sindacato TiSin. Nel caso TiSin, visto che la questione era diventata così prepotentemente di dominio pubblico, le aziende sono state costrette a compiere un passo indietro, hanno riconosciuto la legge sul salario minimo, si sono adeguate e hanno pagato le differenze salariali. Il tentativo di TiSin si è sciolto come neve al sole. Per i lavoratori di Divoora invece, c'è stato meno interesse».