Dopo il sisma

Terremoto in Myanmar: «La causa è stata il movimento tra due placche»

Con Silvio Seno, geologo e professore, proviamo a capire come si sia generata la scossa di magnitudo 7.7 che ha fatto tremare il sud-est asiatico nelle scorse ore – «L'area è conosciuta per essere molto sismica: i pericoli, però, sono dati dalla scarsa qualità degli edifici e dalla mancata applicazione di norme antisismiche»
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Federica Serrao
28.03.2025 19:10

Strade fortemente danneggiate. Case, ponti e grattacieli crollati. E un numero di vittime ancora indefinito. È questo il bilancio attuale del violento terremoto di magnitudo 7.7 che, nelle scorse ore, ha colpito il Myanmar. Il sisma ha avuto origine a 10 chilometri di profondità alle 7:20 svizzere, secondo quanto riferito dall'USFG, mentre l'epicentro è stato registrato a 16 chilometri a nord-ovest di Sagaing. La terra, però, ha tremato anche oltre i confini del Myanmar. In Thailandia, soprattutto, dove a Bangkok un grattacielo in costruzione è crollato, travolgendo diversi operai. Non solo: la scossa è stata avvertita anche nel Laos, in Vietnam e persino nella provincia cinese dello Yunnan. 

Il bilancio delle vittime, al momento, incerto, è destinato a essere importante. La giunta militare al potere in Myanmar ha lanciato un appello urgente alla comunità internazionale per intervenire con aiuti militari. Nel frattempo, è entrato in vigore lo stato di emergenza in sei delle aree più colpite, mentre gli aeroporti di Mandalay e della capitale Naypyidaw sono stati chiusi. La situazione, insomma, è tragica. Ma come ci spiega Silvio Seno, geologo e professore all’Università di Pavia, già direttore del Dipartimento ambiente, costruzione e design della SUPSI, non è la prima volta che questa zona del sud-est asiatico viene colpita da una scossa così potente. Al contrario, si tratta di una delle aree più sismiche del pianeta.

Il terremoto è stato generato dal movimento di due placche: quella indiana, a sud, e quella euroasiatica, che si trova a nord
Silvio Seno

Sismicità elevata

«Nella regione, anche in tempi recenti, si sono verificati diversi terremoti, anche di magnitudo maggiore di questo», spiega il professore. «Per esempio, nel 1912, a pochi chilometri di distanza da quello che ha colpito il Myanmar oggi, si era verificato un sisma di magnitudo 7.9, oltre ad altre scosse importanti tra gli anni trenta e cinquanta, fino ad anni ancor più vicini a noi». Per capire perché quest'area sia soggetta a terremoti così violenti è però necessario fare un passo indietro e parlare delle placche tettoniche, il cui movimento è il motore di tanti cambiamenti del nostro pianeta. «Le placche maggiori sono sette, con quelle minori si arriva a una cinquantina, e si muovono relativamente l'una all'altra. In questo caso, il terremoto è stato generato dal movimento di due placche: quella indiana, a sud, e quella euroasiatica, che si trova a nord». Un movimento che, come sottolinea l'esperto, in milioni di anni ha portato allo scontro dell'India, che si trovava più a sud. «Piano piano si è spostata verso nord, andando a schiacciare il continente euroasiatico. Questo movimento ha determinato la formazione dell'altopiano del Tibet e della catena himalayana, con alcune delle montagne più alte che ci sono sul pianeta». 

Un po' più lateralmente rispetto a questa regione centrale, però, avviene uno scorrimento, tra le due placche. «Non è frontale, ma è uno scorrimento laterale. Questo succede a est dell'India, come nel caso del terremoto di cui stiamo parlando, ma anche verso ovest, dalla parte del Pakistan. In questa situazione dobbiamo immaginare una specie di pistone, che è l'India, che piano piano entra in colllisione con la placca euroasiatica».

I meccanismi che hanno portato al sisma sono conosciuti. Purtroppo però la grande pericolosità si abbina ad una scarsissima qualità degli edifici e alla mancata applicazione di norme antisismiche
Silvio Seno

Come dimostra il terremoto odierno, questo movimento è ancora attivo e rende quest'area del sud-est asiatico una delle regioni più sismiche del pianeta. «Oggi, l'India si sposta ancora verso nord, fino a cinque centimetri all'anno». Un movimento che, a primo impatto, potrebbe sembrare minimo, ma non dal punto di vista geologico. «Se si considera lo spostamento nel corso di cent'anni, sono 500 centimetri. In mille anni, sono cinquanta metri di spostamento, che è tantissimo. Questo fa sì che in questa regione asiatica le rocce siano compresse o scorrano lateralmente. Quindi, si accumula energia che viene rilasciata improvvisamente». Ed è così che si verifica il terremoto. «Dal punto di vista della località, insomma, non c'è nulla di sorprendente: i meccanismi che hanno portato al sisma sono conosciuti. Purtroppo però la grande pericolosità si abbina ad una scarsissima qualità degli edifici e alla mancata applicazione di norme antisismiche», spiega il nostro interlocutore.

Tanto più grande è il terremoto, più grandi saranno le repliche, che poi, mano a mano, decresceranno nel tempo
Silvio Seno

Dopo la scossa principale

Dopo il terremoto di magnitudo 7.7, l'area è stata colpita dalle scosse di assestamento. «Succede perché c'è un grande volume roccioso che si deve riequilibrare, e ci vuole tempo. Per questo motivo, sono comuni una serie di scosse in proporzione a quella principale. Se quest'ultima è di magnitudo 7, quelle che seguono, chiamate «aftershock», possono essere di magnitudo 6, 5, 4, eccetera. L'intensità decresce nel tempo, anche se la terra può continuare a tremare per mesi e mesi», osserva il professore. In sismologia, questo fenomeno viene spiegato dalla legge di Omori, che definisce la decrescita del numero di scosse «aftershock» dopo un sisma importante. «Tanto più grande è il terremoto, più grandi e saranno le repliche, che poi, mano a mano, decresceranno nel tempo».

In questo caso, dopo la violenta scossa che ha fatto tremare il sud-est asiatico, si sono verificate in poche ore delle repliche «importanti». Scosse che, va da sé, portano a non sottovalutare i rischi ancora presenti nell'area colpita. «Abbiamo visto immagini impressionanti, di edifici che crollano su loro stessi. Altri, nonostante i danni, sono rimasti in piedi. Le scosse successive, però, possono dare il colpo finale. Per questo motivo, è molto pericoloso aggirarsi in queste aree quando ci sono strutture ancora parzialmente integre, ma danneggiate. Scossa dopo scossa, possono indebolirsi, fino a crollare». Un aspetto, questo, particolarmente importante nella zona devastata dal sisma delle scorse ore, dove i danni subiti da tutti gli edifici sono stati ingenti, sia per templi e chiese che per strutture come aeroporti e ospedali. Lo stesso discorso vale per strade, collegamenti e ponti della zona, anch'essi fortemente danneggiati dal terremoto. 

Un altro fenomeno pericoloso è ciò che viene chiamato liquefazione. A causa dello scuotimento prodotto dal terremoto, il terreno tende a liquefarsi, come dice la parola stessa
Silvio Seno

La liquefazione del terreno

Ma non è tutto. A preoccupare, ora, in Myanmar, è anche lo stato delle dighe su larga scala. «Ci sono due problematiche», chiarisce il professor Seno. «Una è quella della tenuta dello sbarramento. In genere, però, le dighe sono costruite con un criterio di cautela molto superiore a quello che si applica agli edifici. Però se in prossimità di una diga il terreno si spacca in modo importante, anche la diga stessa può essere lesionata. Nelle zone montuose o collinari c’è anche un pericolo legato alle frane che possono essere innescate dai terremoti, a causa dello scuotimento del terreno, e scendere nel bacino idroelettrico. Magari il manufatto, resiste, ma può verificarsi un'onda che supera la barriera della diga». Non solo. «Un altro fenomeno pericoloso, che probabilmente si vede anche nei video diffusi nelle scorse ore, di palazzi che collassano istantaneamente, è ciò che viene chiamato liquefazione. È uno dei cosiddetti effetti di sito: un fenomeno confinato in aree circoscritte in cui le onde sismiche vengono amplificate e, a causa dello scuotimento prodotto dal terremoto, il terreno tende a liquefarsi, come dice la parola stessa». In altre parole, il suolo perde la capacità di sostenere ciò che ha sopra, motivo per cui gli edifici collassano, creando ulteriori danni. «Dunque, oltre a un effetto regionale, milioni di persone fino a centinaia di chilometri hanno percepito le scosse, ci son anche degli effetti locali che possono aumentare ancor di più la pericolosità e i danni».

 

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