Torna la caccia alle balene in Islanda: «Uccisioni "più umane"? È una bugia»

Dopo oltre due mesi di sospensione, l'Islanda ha dato il via libera alla ripresa della caccia alle balene. Da oggi, la pratica vietata in gran parte del mondo, prevede nuove regole considerate «più rigorose». Tradotto: i cetacei dovranno essere uccisi in maniera «più umana». Un ossimoro, questo, che non è piaciuto agli attivisti: nel Paese nordico sempre più persone, infatti, si oppongono alla mattanza di cetacei. Ieri il ministro dell'Alimentazione, dell'Agricoltura e della Pesca, Svandis Svavarsdottir, ha dichiarato di comprendere il punto di vista della maggior parte degli islandesi, ma ha comunque deciso di rispettare le licenze concesse all'inizio dell'anno dal suo predecessore. Anche per Norvegia e Giappone la sanguinosa caccia negli oceani non è vietata, ma solo l'Islanda permette l'uccisione delle balenottere maggiori, come sottolineato dallo stesso ministro islandese alla BBC: «Siamo l'ultima nazione al mondo a pescare grandi balene in questo modo, e c'è solo un'impresa rimasta a farlo».
«Uccisioni più umane? È una bugia»
La caccia alle balene non ha implicazioni solamente dal punto vista etico, sull'onda di una sensibilità sempre maggiore verso il mondo animale, ma pure ambientale: va infatti a compromettere la salvaguardia di mari e oceani. Una questione, questa, che riguarda tutti, pure il nostro Paese, come evidenzia Natalie Maspoli Taylor, direttrice di Sea Shepherd per la Svizzera: «Il fatto di uccidere gli animali in modo “più umano” è una bugia, perché le balene spesso muoiono dopo 10-15 minuti di agonia, provando un dolore che non si può descrivere. Anche in Giappone, o nelle Isole Faroe (tristemente note per la mattanza di delfini, ndr), dicono di uccidere i mammiferi marini in modo “umano”, ma non è affatto vero. Noi abbiamo le prove sui metodi utilizzati da entrambi i Paesi: queste povere creature vengono uccise molto lentamente e agonizzano».
Natalie Maspoli Taylor prosegue: «Il problema principale è che a volte, i cacciatori di balene, non riescono a mirare nel punto giusto: è già successo e lo abbiamo documentato. Dopo esser stati arpionati i cetacei non muoiono subito, ma ci vogliono diversi minuti». Proviamo ad immaginare di essere su una di queste navi della morte: in mare, spesso mosso, con gli animali che nuotano veloci, senza macchinari tecnologici che facciano il lavoro sporco. «I cacciatori le uccidono con l’arpione, magari con le acque agitate e mentre le balene sono in fuga, perché sentono il pericolo. Non è per niente facile mirare nel punto giusto», evidenzia la direttrice di Sea Shepherd per la Svizzera.
Le balene come 4 foreste amazzoniche
Ma gli islandesi non possono proprio farne a meno? In realtà potrebbero eccome, visto che sull’isola la carne di balena non viene praticamente consumata: viene venduta soprattutto al Giappone - dove sempre meno persone la mangiano - o servita ai curiosi turisti in qualche ristorante di Reykjavík. «È un’assurdità!», sentenzia Natalie Maspoli Taylor, evidenziando l’importanza di questi mammiferi per il pianeta: «Dal punto di vista ambientale le balene valgono come quattro foreste dell'Amazzonia. Sono molto importanti anche per noi in Svizzera, che non ci troviamo vicino al mare. Abbiamo bisogno degli oceani sani e le balene giocano un ruolo vitale per la biodiversità marina: vanno protette».
Secondo uno studio pubblicato a dicembre del 2019 sul sito del Fondo monetario internazionale, l’ecosistema degli enormi cetacei sarebbe in grado di assorbire anidride carbonica quanto 1.700 miliardi di alberi, ossia l’equivalente di 4 foreste amazzoniche, grazie alla formazione del fitoplancton, cioè gli organismi autotrofi fotosintetizzanti responsabili della produzione del 50% dell’ossigeno presente nell’atmosfera. La balena stessa, nell’arco dei suoi circa 60 anni di vita, è in grado di assorbire in media 33 tonnellate di CO2 (un albero circa 22 kg all’anno) e quando muore la sua carcassa porta con sé il CO2 sul fondo dell’oceano, dove resta per secoli. E non solo, gli escrementi di balena sono ricchi di ferro e azoto, elementi fondamentali allo sviluppo del fitoplancton: con gli spostamenti acquatici del cetaceo questi minerali possono arrivare in superficie ed essere disseminati per i mari. Le enormi concentrazioni di fitoplancton che vengono a crearsi rappresentano il più efficiente «risucchiatore» di anidride carbonica.
Anche la Svizzera può fare qualcosa
Gli islandesi sono consapevoli dell’importanza di questi animali, evidenzia Natalie Maspoli Taylor: «Nel Paese c'è un movimento di attivisti molto forte e tanti abitanti dell’isola, invece della caccia alle balene, organizzano il whale watching. Ci sono tantissimi islandesi che, da anni, combattono contro il volere di una sola persona. Va detto: c’è solo un’impresa che svolge questa attività, a cui quasi tutti si oppongono. Recentemente un gruppo di attori, tra cui Leonardo Di Caprio, ha fatto sapere che non andrà mai più a girare film in Islanda finché la caccia non verrà abolita». Inutile dire che gli interessi economici in gioco sono importanti, anche se la carne del mammifero sembra ormai un vezzo per pochi, visto che in Giappone - specialmente i giovani attenti all'ambiente - stanno sempre più prendendo le distanze. «Onestamente non so quanto si possa ricavare dalla vendita di carne di balena, però, visto il numero di imbarcazioni, sempre più moderne, e il personale attivo nella caccia (una cinquantina di persone, ndr), posso supporre che ci sia un guadagno molto elevato», constata Natalie Maspoli Taylor.
La direttrice di Sea Shepherd per la Svizzera conclude: «È molto importante informarsi, conoscere i rischi e le minacce per gli oceani, perché anche noi, nel nostro piccolo, qualcosa lo possiamo fare, sostenendo gli attivisti locali o boicottando determinati prodotti. In Svizzera importiamo tantissimo pesce dalle Isole Faroe: per diversi anni alcune catene di supermercati, in Germania, non hanno più comprato pesci che arrivassero da lì. La mattanza di cetacei è vietata dal 1986, ma Islanda, Giappone e Norvegia non fanno parte della Commissione internazionale per la caccia alle balene. A livello internazionale non si può fare granché, non è come per la guerra, per cui si decide di adottare sanzioni contro un determinato Paese. Devono agire i Governi, ed è assurdo che non pongano fine a questa mattanza». Ad oggi non ci sono numeri precisi sul numero di balene esistenti, ma si stima che vi siano circa 1,3 milioni di esemplari, ossia meno di un quarto di quante popolavano gli oceani prima dell’industrializzazione.