Tra Cina e USA guerra fredda 2.0: «Necessario evitare lo scontro»
Tre ore di faccia a faccia. Seduti - l’uno di fronte all’altro - a qualche metro di distanza. Ciascuno accompagnato dai propri consiglieri, ordinatamente accomodati lungo ampi tavoli coperti da spesse tovaglie azzurro mare. Tavoli separati tra loro da un’improbabile collinetta di erba e fiori, ricostruita su una moquette di damascato grigio nel mezzo di un salone gigantesco e, inevitabilmente, muto. Se le scenografie dei grandi summit hanno un significato, quella messa in scena oggi nel più lussuoso albergo di Bali, in occasione dell’incontro tra il presidente degli USA Joe Biden e il leader cinese Xi Jinping - il primo dopo molti anni -, testimoniava nello stesso tempo diffidenza e aspettativa, voglia di pace e distanza incolmabile.
Non può e «non deve esserci alcuna nuova guerra fredda con la Cina», ha detto Biden nella conferenza stampa seguita al vertice. Ma tutti hanno distintamente avvertito l’atmosfera di tensione e di reciproco sospetto che ha caratterizzato le tre ore di colloquio tra i capi delle due superpotenze mondiali, giunti in Indonesia per partecipare al G20. Il punto è che Stati Uniti e Cina sanno di essere chiamati a gestire potenziali conflitti e, per questo, tentano in ogni modo di trovare un terreno comune. Lasciando da parte le questioni più spinose o quelle irrisolvibili: dai diritti umani a Taiwan ai rapporti con il dittatore nordcoreano Kim Jong-un. «Le nostre relazioni non dovrebbero essere un gioco a somma zero, in cui una parte supera la competizione o prospera a spese dell’altra - ha affermato Xi Jinping -. I successi dei nostri Paesi sono piuttosto opportunità, non sfide. Il mondo è abbastanza grande perché ciascuno possa svilupparsi e prosperare».
«Come leader delle principali economie del mondo, dobbiamo gestire la competizione tra i nostri due Paesi - ha risposto Biden - e trovare un modo di lavorare insieme per evitare che la rivalità tra le due potenze sfoci in uno scontro».
Il timore del caos
Tutto giusto. Parole in apparenza molto concilianti. Dietro le quali, però, rimangono differenze abissali. Incontrandosi, stringendosi la mano, Biden e Xi hanno per il momento soltanto voluto evitare che le tensioni esplodessero in una crisi. Entrambi sanno di non poter reggere un’ennesima stagione di caos economico. Qualcosa di simile, cioè, a quanto sta accadendo a causa dell’invasione russa in Ucraina. «Quello di oggi, in un certo senso, è stato il primo vertice delle superpotenze della guerra fredda versione 2.0 - ha detto al New York Times Evan S. Medeiros, docente alla Georgetown University e, in passato, principale consigliere di Barack Obama per gli affari dell’Asia e del Pacifico -. Entrambi i leader hanno discusso i termini della convivenza nella concorrenza e deciso, per adesso, di non liberare i cani della rivalità sfrenata. In ogni caso, questa non sarà mai una replica della guerra fredda con i sovietici; le notevoli capacità economiche e tecnologiche della Cina e la portata globale fanno di questo confronto una sfida molto più impegnativa della precedente».
Una cosa è chiara. La partita si gioca a carte scoperte. Gli Stati Uniti, ad esempio, sono perfettamente consapevoli della gigantesca portata della sfida. Il mese scorso la Casa Bianca ha reso note le 48 pagine del nuovo documento strategico di sicurezza nazionale, rapporto concentrato molto più sulla Cina di Xi che sulla Russia di Putin. Nel rapporto Biden ha chiarito di essere, a lungo termine, decisamente più preoccupato per le mosse cinesi verso una «governance autoritaria stratificata con una politica estera revisionista» che per una Russia in declino e maltrattata. «La Russia e la Repubblica Popolare Cinese pongono sfide diverse - ha scritto Biden -. Mosca rappresenta una minaccia immediata per il sistema internazionale libero e aperto, poiché viola incautamente le leggi fondamentali dell’ordine internazionale, come dimostra la brutale guerra di aggressione contro l’Ucraina. Ma Pechino persegue l’intento di rimodellare l’ordine internazionale e, sempre più, il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per portare avanti tale obiettivo. Motivo per cui rimane il nostro concorrente decisivo e più importante per i prossimi decenni».
Una «rivalità strategica»
E allora, il summit di Bali, preceduto da mesi di lunghi e certosini negoziati tra gli sherpa delle due diplomazie, è servito alla fine per tracciare le rispettive «linee rosse» nell’ambito di relazioni sempre più complesse e orientate alla «gestione di una rivalità strategica». In questo senso, vanno letti sia la promessa di mantenere sempre aperto un canale di comunicazione tra la Casa Bianca e la Città proibita, sia il giudizio senza appello sulla guerra in Ucraina, il cui sviluppo sta mettendo la Cina in una situazione particolarmente difficile. Mentre Mosca appare sempre più isolata, una fonte cinese, proprio oggi, ha confidato al Financial Times che «Putin non disse la verità a Xi Jinping sull’imminente inizio della guerra», facendo capire che, in caso contrario, Pechino avrebbe sconsigliato l’azione militare. «La Cina - ha detto Xi dopo il vertice con Biden - è estremamente preoccupata per l’attuale situazione. I conflitti non producono vincitori. Non ci sono soluzioni semplici a questioni complesse e il confronto tra i principali Paesi deve essere evitato». Soprattutto, hanno affermato congiuntamente i due leader, in Ucraina «non si devono usare le armi nucleari».
Intransigenza cinese
Sullo sfondo, come detto, restano intatte le questioni divisive. La più importante delle quali riguarda sicuramente il futuro dell’isola di Taiwan. Su questo, Pechino è intransigente. E nulla conta il fatto che la popolazione taiwanese veda il proprio Paese come una società distinta e orgogliosamente democratica, uno Stato autonomo che non potrebbe mai sopravvivere sotto il tallone dell’autoritarismo cinese. Vero è che, assecondando la cosiddetta politica della «Cina unica», le amministrazioni USA hanno sin qui di fatto riconosciuto la pretesa di Pechino su Taipei. Ma ancora oggi Biden ha confermato di volersi opporre «a qualsiasi modifica unilaterale dello statu quo da entrambe le parti» e ha criticato le «azioni coercitive e sempre più aggressive della Cina nei confronti di Taiwan».
La risposta di Xi Jinping è stata gelida. «Ci siamo sempre adoperati per mantenere la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan, ma l’indipendenza di Taiwan è incompatibile come il fuoco e l’acqua». Insomma, una «linea rossa» che, nelle relazioni Cina-USA, non potrà mai essere varcata.