Tra diritto di cronaca e pornografia del dolore

Prima il malore di Christian Eriksen trasmesso in diretta tv, con le immagini che indugiano sul volto del giocatore danese mentre, steso a terra, combatte tra la vita e la morte. Poi, il video della telecamera di sorveglianza della funivia del Mottarone pubblicato dai principali telegiornali e siti d’informazione italiani. Immagini che mostrano il drammatico salto nel vuoto oltre il colle. Prima la cabina che si avvicina lentamente alla stazione di arrivo. Il cavo che si spezza e poi gli ultimi terribili secondi prima dello schianto finale costato la vita a 14 persone. Un video che molte testate hanno deciso di riprendere, alcune cercando anche di spiegarne i motivi, e che invece altre non hanno condiviso per non alimentare la «pornografia del dolore».
Due casi diversi che sollevano la medesima questione: l’opportunità di diffondere certe immagini. Due casi che mettono a fuoco, una volta di più, il confine - a volte opaco, ma su cui è opportuno riflettere - tra diritto di cronaca e privacy. Tra la necessità di informare e quella di tutelare una persona, per esempio, stesa a terra, mentre lotta tra la vita e la morte.
Vedere senza immagini
Si dice che un’immagine vale più di mille parole. Nelle Lezioni americane Italo Calvino - tra i concetti che decise di traghettare oltre il nuovo millennio - individuò, accanto ad altri, la Visibilità. «Se ho incluso la Visibilità nel mio elenco di valori da salvare è per avvertire del pericolo che stiamo correndo di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di pensare per immagini». Era il 1984. Quarant’anni dopo come non dare ragione a Calvino. Travolti dall’onnipresente bulimia di immagini postate e condivise – forse – abbiamo davvero perso la capacità di «far scaturire colori e forme dall’allineamento di caratteri alfabetici neri su pagina bianca». Senza immagini sappiamo ancora vedere? Che poi significa commuoversi e capire.
Scatti che restano
Eppure, certe immagini vanno mostrate. Salto nel tempo: 2015. Componiamo l’immagine con poche parole. Maglietta rossa che lascia scoperto il piccolo ventre. Pantaloncini blu. Scarpette nere e un piccolo corpo abbandonato sulla spiaggia. Il volto appoggiato sulla sabbia. La morte di Alan Kurdi, il bambino siriano di tre anni ritrovato senza vita sulla spiaggia di Bodrum in Turchia, spezza il respiro di chi guarda. Il corpo del piccolo fu scoperto da un barista in servizio presso un hotel di fronte alla spiaggia. Più tardi, venne fotografato dalla reporter turca Nilüfer Demir. «C’è qualcosa in quell’immagine. Dio ha acceso la luce su di essa per svegliare il mondo». Così la zia di Alan, Tima Kurdi, in un servizio della BBC diffuso qualche mese dopo. È vero: con uno scatto il mondo capì cosa stesse accendo tra la Siria e l’Europa.
Altro salto nel tempo. Altro fotografo: 12 giugno 2021, a bordo campo, al Parken di Copenaghen, c’è anche il danese Lars Ronbog. Quando il beniamino di casa Christian Eriksen cade a terra, lui, si trova a 15 metri. Di riflesso impugna la camera e senza pensare scatta a raffica: il giocatore dell’Inter da solo sull’erba; i giocatori in ginocchio attorno a lui; l’arrivo della barella; il massaggio cardiaco del dottore; gli elettrodi; i compagni che piangono; la faccia terrorizzata della fidanzata. «Ho scattato panoramiche e primi piani, le foto dei giocatori danesi, dei medici e della famiglia reale seduta in tribuna». Nei giorni seguenti, Ronbog racconterà ai media danesi la sua esperienza. Dal pilota automatico inserito nell’azione del fotografo che a bordo campo cattura il momento, a quello in cui a mente fredda riflette su cosa sia opportuno rendere pubblico, e cosa no, fino alla scelta di inviare solamente alcune immagini. «Ero nel dubbio riguardo alla foto della compagna di Eriksen insieme a Kjaer e Schmeichel. Alla fine, ho optato per un’immagine in cui non si vedesse il volto della donna». Ecco il dilemma con cui i media si trovano a dovere fare i conti. Come raccontare un episodio? Che cosa mostrare? Che cosa nascondere, omettere o sottacere? Dove introdurre, insomma, il confine tra ciò che è opportuno o meno mostrare.
Altri confini
Ci sono poi altri confini, che invece per legge non vanno oltrepassati. E non parliamo della soglia del dolore altrui o del rispetto della sacralità della morte. Altro salto nel tempo. Altra situazione: 16 giugno 2021. La Rai diffonde le immagini della tragedia del Mottarone, suscitando l’indignazione di chi sostiene che è stato oltrepassato il limite della decenza. Al polverone segue una nota della Procura di Verbania che - oltre a sottolineare «l’assoluta inopportunità della pubblicazione per il doveroso rispetto che tutti siamo tenuti a portare alle vittime, al dolore delle loro famiglie e al cordoglio di un’intera comunità»- ricorda che «ai sensi dell’art. 114 comma 2 ccp è vietata la pubblicazione parziale, trattandosi di atti che, benché non più coperti dal segreto, in quanto noti agli indagati, sono relativi a procedimento in fase di indagini preliminari». Diritto di cronaca o voyeurismo? Documento giornalisticamente rilevante o mero strumento di audience?
«I media sono protagonisti e prigionieri di questo scenario»
«È un po’ come se in ambito musicale contasse più il volume della qualità canora». Per evocare il contesto entro cui leggere l’intera questione giuridica Edy Salmina si affida (guarda caso!) a un’immagine, «perché il Diritto - prosegue l’avvocato esperto di media - va inserito in un contesto più ampio, socioculturale: pare infatti che oggi suscitare attenzione sia spesso più importante che fornire informazione». Lapidario ma esaustivo. C’è poi un secondo livello da tenere presente nella questione pubblicare o meno. Ancora Salmina: «I media sono stati a lungo i soli detentori del megafono . Per molto tempo hanno deciso loro se divulgare. Poi sono arrivati i social, che hanno trasformato ogni persona con un telefonino in un potenziale mass media. Con una conseguenza: in molti credono che ogni persona possa trasformarsi anche in giornalista». I media «sono protagonisti e al contempo prigionieri di questo nuovo scenario». Questo, insomma, il contesto in cui inserirsi. «Sa perché lo ricordo? Perché le norme non nascono dalle norme. Ma dalla realtà, dalle idee, e dal confronto». Come dire: sarebbe un errore pensare di trovare tutte le risposte nei codici o pensare che i codici si applichino nel vuoto. La legge fissa i parametri, ma la giustizia è limitata specialmente verso la comunicazione, dove tutto è molto più fluido e mutevole che nelle procedure legali. «Premessa chiusa. Ma ci tengo. Per me è fondamentale». Fatto.
Ma quindi che cosa possiamo pubblicare? Che cosa è opportuno omettere? Entrando nella Legge, una delle porte da imboccare, in questo caso, è il Codice civile: «La regola fondamentale è la seguente: è vietata ogni lesione illecita della personalità. E’ illecita ogni violazione della personalità che non sia giustificata dal consenso dell’interessato; o da un interesse pubblico o privato prevalente; o dalla legge». Andiamo con ordine e facciamo un esempio: il video del Mottarone. Se indossiamo gli occhiali del diritto svizzero che cosa vediamo? «L’illiceità della pubblicazione di quel filmato mi sembrerebbe manifesta». Salmina ci aiuta ricostruire i passi. Punto primo: la pubblicazione non è giustificata dal consenso degli interessati. «In questo caso, infatti, non c’è credo stato alcun ok da parte delle persone, né per altro poteva esserci visto che sono purtroppo defunti. Punto secondo: non vedo alcun interesse pubblico prevalente nel mostrare queste immagini. Punto terzo: nessuna legge o norma prevede la pubblicazione di simili immagini.
Come dicevamo, però, da sola le Legge non basta per fare il mestiere del giornalista, specialmente nel contesto contemporaneo che privilegia volentieri il volume sonoro alla qualità della musica. Ecco allora venire in soccorso la deontologia, cioè quelle regole che disciplinano una determinata professione. «Ipotizziamo che una vittima - ad esempio per un bisogno compensatorio o di socializzazione - dia il proprio consenso alla diffusione di immagini scioccanti. In questo caso, la legge direbbe sì, ma il la domanda sull’opportunità della pubblicazione dal profilo deontologico rimane».
Salmina, insomma, ci invita a guardare oltre il Codice civile. In questo caso le domande da porsi sono altre: «C’è un reale interesse pubblico (e non una curiosità collettiva) alla divulgazione?». E ancora: «Per la notizia che interessa, questa o quella immagine forte costituisce anche un vero valore aggiunto informativo per il pubblico? E se sì, c’è un qualche motivo di protezione della dignità della persona che vale ancora di più?». Ecco le domande. «Quando ci si pongono le domande giuste, si possono dare risposte sbagliate. Ma si evita la maggior parte delle risposte sbagliate».