Guerra

Tra tensioni, dubbi e incertezze anche qualche spiraglio di pace

I mediatori alla ricerca di un’intesa per liberare gli ostaggi a Gaza e dare il via libera a una tregua, nonostante l’assenza di Hamas al tavolo delle trattative, si sono detti soddisfatti del primo «round» negoziale in Qatar - Gli USA in pressing su Israele per accettare l’accordo
©HAITHAM IMAD
15.08.2024 21:00

Buona la prima. I mediatori che stanno cercando di trovare un accordo che liberi gli ostaggi israeliani reclusi a Gaza e che fornisca una tregua alla guerra si sono dichiarati soddisfatti della prima giornata di lavoro. Domani si rincontreranno, sempre gli stessi mediatori, per tentare di chiudere l’accordo. Ma, va detto, sul tavolo ci sono ancora molti dubbi e incertezze.

Un’assenza importante

Dubbi e incertezze, si diceva. A cominciare dalla volontà di Hamas. Che ha deciso di non partecipare a questo «round» di colloqui a Doha, nel Qatar. Dopo aver annunciato l’assenza al tavolo negoziale, dopo aver chiesto di liberare da Israele pezzi da novanta come Marwan Barghouti, dopo aver detto di partecipare a condizione di accettare le condizioni già avanzate a luglio, un paio di giorni fa Yahya Sinwar, il leader politico di Hamas, ha infatti avanzato un’altra richiesta: si sarebbero seduti al tavolo delle trattative solo se Israele, preventivamente, non avrebbe attaccato Gaza, smettendo i bombardamenti. Cosa assai improbabile, anche perché la Striscia resta un territorio molto «caldo» su questo fronte. Alcuni giorni fa, ad esempio, da Gaza sono stati lanciati due missili verso Tel Aviv: uno ha raggiunto il mare al largo della città costiera, l’altro è caduto nella Striscia. Situazione ripetuta anche oggi, con un razzo partito da Gaza e caduto in area non abitata del sud di Israele.

«Un inizio promettente»

I razzi dalla Striscia, tuttavia, non hanno sfiduciato i mediatori, decisi ad andare avanti. La settimana scorsa il terzetto di presidenti che si sono presi carico della mediazione per terminare la guerra e riportare gli ostaggi a casa (Joe Biden per gli USA, Abdel Fattah al-Sisi per l’Egitto e l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani per il Qatar), hanno diffuso un comunicato nel quale invitavano le due parti in guerra a una necessaria ripresa dei colloqui, in un luogo da decidere tra Egitto e Qatar, il 15 agosto. Israele ha accettato subito e oggi al tavolo in Qatar c’erano i suoi pezzi da novanta: il capo del Mossad David Barnea e quello dello Shin Bet Ronen Bar a guidare la delegazione, composta anche dal maggiore generale (in pensione) dell’esercito Nitzan Alon, che guida la forza speciale in carica per gli ostaggi israeliani a Gaza e il consigliere senior di Netanyahu Ophir Falk. Gli americani hanno schierato il direttore della CIA William Burns e l’inviato statunitense per il Medio Oriente Brett McGurk, mentre i padroni di casa dell’emirato del golfo sono stati rappresentati dal primo ministro Sheikh Mohammed bin Abdulrahman Al Thani. A chiudere il tavolo, il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel. Sono questi due che, come fatto fino ad ora, riporteranno ad Hamas le decisioni. Dopotutto, il gruppo che controlla Gaza, anche negli altri «round» di colloqui, non si è mai seduto al tavolo insieme agli altri, per non avere negoziati diretti con gli israeliani.

Il portavoce della Casa Bianca John Kirby, al termine della giornata, ha detto che i negoziati per il cessate il fuoco e l’accordo sugli ostaggi hanno avuto «un inizio promettente», spiegando che «siamo a un punto che è generalmente accettato, dove le lacune sono nell’esecuzione dell’accordo, nei singoli movimenti muscolari che accompagnano la messa in atto dell’accordo».

Il punto di partenza

Il punto di partenza è quella proposta in tre fasi che il presidente Biden ha annunciato lo scorso 31 maggio.

Nella prima fase, in un tempo di circa sei settimane, ci sarebbe un cessate il fuoco su tutta la Striscia, con i militari israeliani che si ritirano dalle aree abitate di Gaza. Durante questo periodo, ci sarebbe il rilascio di almeno 33 ostaggi «per scopi umanitari», tra i quali donne, anziani e feriti, in cambio della liberazione di centinaia di prigionieri palestinesi. Ai civili di Gaza, in questo periodo, sarebbe concesso di tornare nelle loro case e vi sarebbe pure l’aumento degli aiuti umanitari fino a 600 camion al giorno, così come l’ingresso e la realizzazione di abitazioni temporanee. Nella prima fase, si dovrebbero poi gettare le basi tra le parti per una discussione sul cessate il fuoco permanente.

Nella proposta di Biden, la seconda fase dovrebbe inoltre coincidere con la fine delle ostilità. Durante questo periodo, Hamas libererebbe tutti gli ostaggi ancora in vita, compresi i soldati, mentre l’esercito israeliano dovrebbe lasciare la Striscia.

L’ultima fase dovrebbe infine rappresentare l’inizio del piano di ricostruzione della Striscia e Hamas, in questo periodo, dovrebbe restituire a Israele i corpi degli ostaggi uccisi.

Dalla piazza ai partiti

Per Kirby «entrambe le parti hanno avuto l’opportunità di esaminare il testo raccomandato e apportare modifiche man mano che le negoziazioni proseguivano». L’esponente dell’amministrazione Biden ha anche detto che Israele ha inferto colpi significativi ad Hamas e, pur non avendo certamente eliminato la minaccia militare del gruppo che controlla Gaza, «da una prospettiva militare ha sicuramente raggiunto la stragrande maggioranza dei suoi obiettivi». Ciò, in termini diplomatici, significa che per gli USA Israele deve accettare l’accordo. Cosa che a Netanyahu hanno chiesto, anche quest'oggi, non solo la piazza, ma pure i partiti, a cominciare da quello dell’ex membro del gabinetto Benny Gantz.

Qualche spiraglio per la pace, se Hamas lo vorrà e non si tirerà indietro, si sta dunque aprendo. Mentre alla finestra restano Teheran e gli Hezbollah, pronti sia ad abbassare le armi in caso di accordo, sia ad attaccare se non si dovesse raggiungere l’intesa.

La preoccupazione, inoltre, non è solo quella che Hamas accetti, ma anche che rispetti l’accordo, visto che a novembre dopo una settimana di tregua aveva rotto l’intesa e ripreso i combattimenti.

L'ALTRO FRONTE - Cerca consensi esterni il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen. Dal momento in cui la sua popolarità è ai minimi termini in Cisgiordania, per non parlare di Gaza, e visto che in entrambe le aree palestinesi Hamas ha preso sempre più consensi tra la popolazione, Abu Mazen vuole quindi sottolineare come sia l’Autorità Nazionale da lui guidata l’unica legittimata a gestire i Territori e rappresentarli e l’OLP a parlare per i palestinesi. Organizzazione la cui polizia ha detonato a Jenin degli ordigni destinati a militari israeliani e piazzati da miliziani vicini ad Hamas. Ciò ha fatto si che il gruppo che controlla Gaza parlasse di tradimento. Per ribadire la sua leadership, Abu Mazen è dunque volato a Mosca e ad Ankara. Nella capitale russa, l’incontro con l’omologo Vladimir Putin. La Russia è uno dei maggiori sostenitori della causa palestinese e, non a caso, Abu Mazen è anche tra i pochi leader mondiali a non aver condannato l’invasione russa dell’Ucraina. A Mosca, alla fine di febbraio tutte le fazioni palestinesi, in rotta dalla guerra civile della fine del 2006, si sono riunite per un tentativo (fallito) di riunificazione. Abu Mazen ha più volte mostrato la sua insofferenza per Hamas criticando la decisione di condurre il massacro del sette ottobre che avrebbe minato non poco l’esistenza stessa dei palestinesi. Anche in Turchia, Fatah e Hamas si erano incontrate per riunirsi. Il presidente Erdogan aveva anche ospitato ad aprile l’ex capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh. Il «sultano» di Ankara gli aveva offerto di trasferire il suo quartier generale in Turchia, quando sembrava che il Qatar, su pressioni americane, stesse decidendo di allontanare i palestinesi. Dopotutto Erdogan negli ultimi tempi si è più volte accreditato come il maggior difensore della causa palestinese, arrivando anche a minacciare di guerra Israele e associandosi al Sudafrica nell’accusa di genocidio a Gaza dinanzi alla Corte internazionale. Ad Ankara, Abu Mazen ha parlato al Parlamento riunito per l’occasione. Quasi in risposta al discorso che Netanyahu ha avuto il mese scorso al Congresso americano. Ha detto che andrà nella Striscia con la leadership palestinese. Per ribadire chi comanda.