Tragedia Air France, che cosa resta dopo quasi 14 anni?

Sono passati quasi quattordici anni dalla tragedia del volo Air France AF 447, partito da Rio de Janeiro e mai arrivato a Parigi. L’aereo, un Airbus A330, si schiantò nell’Atlantico trascinando con sé le 228 persone a bordo fra equipaggio e passeggeri. Oggi, lunedì 17 aprile 2023, il tribunale di Parigi ha assolto tanto il costruttore quanto la compagnia aerea, a processo per omicidio colposo.
L’incidente, il più grave nella storia dell’aviazione francese, non è insomma ascrivibile ai due protagonisti principali. Se degli «errori» sono stati commessi, «nessun legame certo di causalità» con l’incidente è stato «dimostrato».
La decisione, va da sé, ha lasciato di stucco molti parenti delle vittime. Il silenzio, in aula, era pesantissimo. «Ci aspettavamo un giudizio imparziale, non è stato così. Siamo disgustati», ha reagito Danièle Lamy, presidente dell’associazione Entraide et Solidarité AF447, ai microfoni dell’agenzia di stampa AFP. «Di questi 14 anni di attesa non restano che disperazione, costernazione e rabbia».
Alain Jakubowicz, uno degli avvocati dell’associazione, ha aggiunto: «Ci viene detto: responsabili ma non colpevoli. E noi, è vero, stavamo aspettando la parola colpevole».
Air France, dal canto suo, «prende atto della sentenza», si può leggere in un comunicato diffuso dal vettore transalpino. «L’azienda ricorderà sempre la memoria delle vittime di questo terribile incidente ed esprime il suo più profondo cordoglio a tutti i loro cari».
Airbus, per contro, ha ritenuto che questa decisione fosse «coerente» con l’archiviazione pronunciata al termine delle indagini, nel 2019. Il costruttore europeo «esprime» anche la sua «compassione» ai parenti delle vittime e «riafferma il totale impegno in materia di sicurezza aerea».
I fatti
Uscendo dal politichese e dal linguaggio dei comunicati, restano i fatti. Il 1. giugno del 2009 il volo AF 447 da Rio de Janeiro a Parigi si schiantò nell’Atlantico nel cuore della notte, poche ore dopo il decollo. L’incidente provocò la morte di 216 passeggeri e 12 membri dell’equipaggio. A bordo dell’A330 si trovavano persone di 33 nazionalità diverse.
Quest’ultima decisione, leggiamo, era attesa con molta ansia e trepidazione. Al termine del processo per omicidio colposo, infatti, era stato chiesto il proscioglimento di Airbus e Air France, dato che la loro colpevolezza era «impossibile da dimostrare».
I primi detriti del volo AF 447 e alcuni corpi vennero ritrovati nei giorni successivi allo schianto. Il relitto, tuttavia, fu individuato solo due anni più tardi, dopo una lunga ed estenuante ricerca, a quasi 3 mila metri di profondità.
Le scatole nere rilevarono una certa confusione da parte dei piloti, provocata in parte dal malfunzionamento dei tubi di Pitot – i sensori per la determinazione della velocità macroscopica rispetto all’aria – mentre l’aereo volava in una zona meteorologicamente complicata, vicino all’equatore, nota come Doldrums. L’avaria spinse uno dei piloti a adottare una traiettoria ascendente, provocando ulteriori incomprensioni in cabina con gli altri due piloti e portando l’aereo in stallo.
Che cosa hanno detto i giudici
Secondo il tribunale, ad ogni modo, Airbus commise «quattro imprudenze o negligenze». In particolare, non imponendo la sostituzione di un particolare modello di tubi di Pitot che nei mesi precedenti all’incidente si rivelò troppo sensibile alle temperature estreme. Airbus si macchiò anche di una sorta di «trattenuta informativa» non aggiornando le compagnie in merito alla corretta procedura di stallo sull’A330 e non prevedendo un messaggio di errore sulla schermata principale dell’aereo in caso di malfunzionamento dei tubi di Pitot.
Air France, invece, a detta del tribunale non ha informato correttamente i suoi equipaggi in seguito al moltiplicarsi di eventi simili a quello del volo AF 447 dall’inizio degli anni 2000, con un picco nel 2008. E non avrebbe addestrato a dovere i piloti per situazioni con letture di velocità chiaramente errate.
Sul piano penale, tuttavia, non è stato possibile dimostrare «un certo nesso di causalità» con l’incidente ha spiegato la presidente della corte Sylvie Daunis. «Nel caso specifico, per quanto riguarda le colpe, non è stato possibile dimostrare alcun nesso causale certo».
Airbus e Air France avevano già beneficiato nel 2019 di un non luogo a procedere, ma due anni più tardi la vicenda si era riaperta in seguito a un appello interposto dalle parti civili.
Parti civili che, concludendo, hanno ottenuto una vittoria parziale. Il tribunale ha infatti stabilito che il costruttore e la compagnia sono civilmente responsabili del danno e sono tenuti a una compensazione. Jakubowicz, al riguardo, ha colto la palla al balzo affermando che «questo incidente poteva essere evitato e non era colpa dei piloti» o, meglio, non solo colpa loro. «In fin dei conti, va ricordato che Airbus e Air France sono responsabili di questa tragedia, anche se civilmente e non penalmente».
Risarcimenti e danno reputazionale
Questa ammissione da parte del tribunale apre, appunto, alla possibilità di un risarcimento sebbene un’ampia fetta di transazioni, in questo senso, sia già stata risolta secondo i principi della Convenzione di Montréal.
In quanto persone giuridiche, Airbus e Air France non hanno rischiato alcuna pena detentiva, ma solo una multa di 225 mila euro. Date le dimensioni di queste aziende, l’unico vero danno era ed è quello reputazionale. Le parti civili avevano comunque fatto della loro condanna il punto centrale del processo, anche a costo di assolvere i piloti da ogni colpa. Rispetto a Air France, Airbus è stata accusata dai familiari delle vittime di poca empatia dopo la tragedia. L’emozione, sincera, del presidente esecutivo del costruttore, Guillaume Faury, durante l’apertura del processo lo scorso ottobre non è stata sufficiente per smorzare questo forte, fortissimo risentimento.