Niente pettegolezzi

Tranquillo, Sanremo sarà sempre Sanremo

Mezza Italia è con il fiato sospeso per la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della regione Liguria, ma siamo sicuri che un Festival extra Rai sia davvero la soluzione migliore?
© CLAUDIO ONORATI
Carlo Tecce
07.12.2024 12:00

Ci corre l’obbligo morale, deontologico, patologico di informare i lettori, extramoenia e intramoenia, che mezza Italia è col fiato sospeso, come dicono nelle trasmissioni dei casi irrisolti, per la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della regione Liguria. Una botta insostenibile alle nostre residue convinzioni. Insomma il Tar ha dichiarato illegittima l’assegnazione alla televisione pubblica Rai dell’ultima edizione su settantacinque edizioni del Festival di Sanremo, precisamente del marchio «Festival della canzone italiana». Secondo il giudice Tar, che ha accolto il ricorso di Just Entertainment di Sergio Cerruti, ex presidente e attuale commissario per gli affari legali nonché per i rapporti istituzionali dell’Associazione fonografici italiani, il Comune di Sanremo dovrebbe indire un bando per i diritti televisivi del Festival della canzone italiana come se fossero i mondiali Fifa di calcio o le finali Atp di tennis. Un bando europeo aperto alle emittenti italiane e straniere, digitali, satellitari, via cavo, via fibra. A chiunque.

Se papa Francesco avesse annunciato il ritorno della sede papale ad Avignone non se ne sarebbe accorto nessuno. Invece la notizia sul Festival, che avrà una seconda notizia, un appello, un’altra sentenza, una terza notizia e così andando, attizza polemiche, interviste, riflessioni, malinconie, scenari destinati a durare settimane, mesi, anni. Non per affondare nel benaltrismo tipico dei politici che sfuggono alle domande cogenti, davvero si fa fatica ad argomentare. La Rai ha già minimizzato, precisato e annunciato la sua reazione legale. Il Festival di Sanremo si tiene ogni anno a Sanremo e sul primo canale Rai dal 1951. Quando non c’erano bandi europei e concorrenti della televisione pubblica. E lo si tiene al teatro Ariston della famiglia Vacchino che, da generazioni, rinnova la tradizione e l’incasso milionario per l’uso del suo stabile. Come il Milan e l’Inter spingono per rifare San Siro e abbattere la storia con le ruspe, così di volta in volta si è parlato di non fare a Sanremo il Festival di Sanremo per avere un teatro più comodo e ampio dell’Ariston. Ovviamente la famiglia Vacchino non sarebbe d’accordo e potrebbe impegnare seriamente il Tar e tutti gli altri tribunali a seguire. Non è neanche detto che dichiarare contendibile il Festival della canzone italiana, dopo tre quarti di secolo e tre quarti di nobilità, lo renda sostenibile per le finanze di Mediaset o di Comcast o di Amazon o di Netflix. Peraltro è fuori di dubbio che il formato televisivo del Festival della canzone italiana, la sua trasposizione in video, sia una proprietà intellettuale della Rai. 

Oggi il Festival di Sanremo, e non ne facciamo un discorso di gusti musicali, ciascuno ha il palato che si merita, è l’unico evento nazionale e fra i pochi europei con una grande visibilità. Vi ricordate il Festivalbar? Sepolto. Per la Rai è l’evento che incide di più sulla raccolta pubblicitaria. Le stime parlano di almeno 65 milioni di euro di introiti (oltre il 12 per cento di un fatturato anno), riconducibili ai 5 giorni di messa in onda e costi alti, certo, ma che lasciano un guadagno netto alla televisione pubblica. Lo scorso anno la serata finale ha sfiorato il 65 per cento di share con oltre 15 milioni di spettatori. Le case discografiche Sony, Warner, Universal, le multinazionali del settore che il prossimo febbraio porteranno al Festival 24 artisti su 30, domanda, preferiscono la platea Rai o qualche esperimento magari in streaming con la dorsale italiana che collassa? Per non parlare delle questioni di ordine pubblico: vi immaginate la lotta con le cesoie fra vicini per staccarsi la fibra ottica l’un con l’altro? Un qualsiasi bando europeo, per provare a restare seri, dovrebbe valutare le capacità di organizzazione del Festival. Siccome la Rai ne ha organizzati 75 su 75, sarebbe leggermente in vantaggio su altri. Si conciona parecchio sulla crisi della democrazia. Qualcuno propone una «epistocrazia», che sarebbe la democrazia dei competenti. Esagerato. Basta il buon senso. E un bel ritornello.