Tre inchieste e un processo farsa che «condannò» le vittime

Furono tre le inchieste aperte dopo la tragedia di Marcinelle: la prima, interna, fu condotta dalla polizia della miniera. La seconda, governativa, fu portata avanti da una commissione di cui facevano parte anche tre lavoratori italiani, in ragione del tributo di vittime pagato nel dramma dell’8 agosto. La terza fu quella giudiziaria.
Scrive Ricciardi nel suo libro: «Il 28 giugno 1957 Roger Lefèvre, direttore della divisione di polizia della miniera del distretto di Charleroi-Namur, consegnando il rapporto concluse: “Nonostante i pozzi del Bois du Cazier siano vecchi, non erano comunque desueti e le loro caratteristiche generali non hanno giocato un ruolo nella catastrofe”». Per la commissione interna l’incidente fu causato dall’errata manovra compiuta da un operaio, Antonio Iannetta, il quale «inserì male i vagonetti e azionò il montacarichi provocando la rottura della condotta d’olio e dei cavi elettrici».
L’inchiesta giudiziaria, che si avvaleva di cinque esperti con competenze tecnico-scientifiche, fu condotta dalla polizia di Marcinelle e giunse a conclusioni molto diverse.
Il rapporto, consegnato il 7 agosto 1958, «rimarcò gravi inadempienze della direzione della miniera nell’organizzazione di un sito ormai vecchio, che veniva spremuto all’inverosimile». La magistratura belga rinviò a giudizio per omicidio colposo cinque dirigenti della miniera. Il processo, aperto il 18 marzo 1959, si concluse in modo beffardo sei mesi dopo, il primo ottobre, con una sentenza di assoluzione per tutti gli imputati e la condanna delle famiglie delle vittime al pagamento delle spese processuali. Il procuratore del re, le parti civili e i sindacati fecero appello e il 30 gennaio 1961, a quattro anni e mezzo dalla tragedia, «l’anello più debole del sistema», il direttore dei lavori del Bois du Cazier Adolphe Calicis, fu condannato a sei mesi con la condizionale. Tutti gli altri furono nuovamente assolti.