Turismo, vaccini e speranze: la parola a Booking.com

Il turismo ha sofferto. E continua a soffrire. La pandemia, già. Ma chi lavora nel settore come vive questa crisi senza precedenti? E quali speranze ripone nel nuovo anno? Domande che abbiamo girato ad Andrea D’Amico, vice presidente e managing director per Europa, Medio Oriente e Asia di Booking.com.
Il 2020 è stato, indubbiamente, un anno complicato per il turismo. L’Organizzazione mondiale del turismo aveva stimato perdite per oltre 900 miliardi di dollari e 100 milioni di posti di lavoro a rischio: come ha vissuto questo sconvolgimento totale un’azienda come Booking.com?
«Siamo stati fortemente impattati. In generale, il turismo è il settore che è stato toccato di più. Nel nostro caso, se non hai domanda e se non hai prenotazioni, beh, non guadagni. È stato l’anno più duro da quando esiste Booking. Nel secondo trimestre del 2020 il calo si è avvicinato al 90% rispetto al 2019. Ci siamo un po’ ripresi nel terzo trimestre, grazie all’estate e al turismo domestico: banalmente, con i vari allentamenti decisi dai governi le persone hanno ricominciato a viaggiare. Quantomeno sulle corte distanze. Abbiamo preso misure che mai avremmo voluto prendere, come una riduzione del 25% del nostro staff a livello globale. Misure, queste, che neppure nei momenti più complicati del passato, come la crisi economica del 2008, avevamo preso. Stavolta, era impossibile non intervenire».
È una questione di prospettive, anche: nessuno sa con certezza quando usciremo dalla crisi.
«Se fosse stata solo una fase transitoria avremmo tenuto duro. Qui, invece, la domanda tornerà soltanto se buona parte della popolazione verrà vaccinata. Detto della salute, ci sarà anche un problema economico a fine pandemia: molte persone hanno perso la loro fonte di guadagno, quindi avranno meno possibilità di viaggiare. Ci vorranno forse uno, due anni prima di tornare ai livelli pre pandemia».
Alcuni dati, trapelati a giugno, parlavano di una perdita pari a 700 milioni di euro nel primo trimestre del 2020 e un -85% a livello di prenotazioni: come sta, oggi, Booking.com e quanti e quali aiuti ha potuto ricevere?
«Le cifre sono quelle. D’altronde i costi, molti, sono rimasti in essere. Quanto agli aiuti, noi abbiamo aderito a quelli offerti dal Regno Unito, dove abbiamo la maggior parte dei nostri dipendenti, e dall’Olanda visto che la nostra sede è ad Amsterdam. Ci siamo mossi in questa direzione per guadagnare tempo e, soprattutto, per non prendere decisioni affrettate. Grazie agli aiuti abbiamo potuto aspettare qualche mese prima di implementare le misure di cui parlavo prima».
Premesso che, al momento, è impossibile fare previsioni circa l’andamento della pandemia, ma quali sono i vostri piani e le vostre stime per il 2021? Ci sarà effettivamente un ritorno, piccolo o grande che sia, dei flussi turistici?
«Crediamo che il 2021 sarà migliore del 2020. D’accordo, non è difficile dirlo ma allo stesso tempo sappiamo che ci aspettano risultati ben lontani da quelli del 2019. Il virus sembra fare meno paura durante la stagione estiva e, parallelamente, i governi sembrano più inclini ad allentare le misure. In questo senso sarà un po’ come nel 2020. Ci aspettiamo un aumento della domanda per le destinazioni domestiche o comunque vicine, per le quali non serva l’aereo. Il 2021 sarà l’anno della ripresa, sì, tuttavia ci vorrà del tempo per avere il livello pieno. Mancano i viaggi internazionali anche perché le compagnie aeree hanno ridotto l’offerta, c’è la questione dei tamponi che scoraggia e mancano quasi del tutto i collegamenti intercontinentali. Penso all’importanza del mercato asiatico per la Svizzera, ad esempio. La ripresa, di fatto, sarà sul 2020».


Diversi media hanno riportato casi piuttosto curiosi, legati a lavoratori che, visto l’obbligo o l’invito a lavorare in smart working, hanno scelto luoghi di vacanza come le Canarie per svolgere la loro attività in remoto. Una sorta di vacanza-lavoro. Ecco, questa tendenza se confermata può rappresentare un’ancora di salvezza per voi?
«Può aiutare, sì, ma non basta per compensare. Le soluzioni alternative, appartamenti, ville e via discorrendo, c’erano anche prima della pandemia. Nel 2019 rappresentavano il 21% delle entrate. Una percentuale che sale al 40% se consideriamo il secondo trimestre del 2020. Da un lato c’è il desiderio di evitare le grandi città. Dall’altro, è vero, c’è un altro tipo di desiderio. Quello di abbinare una bella location alla possibilità di lavorare in remoto. È qualcosa che nel frattempo anche gli hotel hanno allestito, ad esempio offrendo la prenotazione per il giorno così uno può lavorare da lì. Sono trend, questi, che potrebbero rimanere. Io non credo che, quando sarà tutto finito, torneremo al 100% alla vita di prima».
Appartamenti o case in affitto. Un settore nel quale siete entrati anche voi, seppur in ritardo rispetto ad altri competitor come Airbnb. In futuro concentrerete ulteriormente i vostri sforzi in questo ambito?
«Noi, ovviamente, siamo nati come piattaforma per hotel. Ora, però, offriamo tutto. Il vantaggio? Su Booking ci sono circa trentamila elenchi con trenta tipologie di strutture differenti. È un grande vantaggio, soprattutto considerando che altri concorrenti si concentrano o sugli alberghi o sugli appartamenti. Ovvio, il trend è quello di soluzioni alternative. Ma la nostra idea è quella di offrire qualsiasi tipo di alloggio in qualsiasi angolo di mondo».
Booking.com era famosa, prima della pandemia, per la politica di cancellazione gratuita applicata praticamente ovunque nella proposta di tariffe. È un servizio che potrete ancora concedere in futuro o, vista la necessità di rientrare al più presto dalle perdite, ci sarà un giro di vite?
«Ai partner abbiamo fatto capire, negli anni, il beneficio di dare maggiori opzioni al cliente. Fra cui la possibilità della cancellazione gratuita. Ma la flessibilità è data dai partner, se un albergo non vuole concedere questo servizio noi non possiamo farci nulla. Crediamo, però, che la cancellazione gratuita sia positiva per il singolo albergo e per la destinazione di riferimento. Certo, comporta una complessità maggiore per l’operatività dell’hotel tuttavia il risultato finale è sempre lo stesso: maggiori sono le prenotazioni, maggiori saranno anche i pernottamenti. Se tutti prenotassero e pagassero subito, senza mai ricorrere alla cancellazione, il sistema sarebbe di sicuro migliore. In ogni caso, abbiamo implementato alcuni accorgimenti. Ad esempio, se un cliente prenota più sistemazioni nella stessa data noi glielo segnaliamo onde evitare che uno giochi troppo con la possibilità di cancellare gratuitamente. Per prenotare, comunque, bisogna lasciare dati e carta di credito. Non è una cosa che si fa a cuor leggero, di solito è una manifestazione di reale interesse».


Il settore alberghiero, il vostro core business, spesso lamentava commissioni troppo generose da versare a Booking.com e riteneva il vostro servizio un «male necessario»: da una parte l’albergo di turno aveva visibilità, dall’altra però la sua fetta di guadagno era ridotta. Quali sfide vi attendono in questo senso?
«Tutti vorrebbero utilizzare un servizio e pagarlo poco. La nostra commissione media è del 15%. Ed è competitiva, soprattutto se penso che prima gli alberghi si interfacciavano con i grossisti, i tour operator e le agenzie. Il 15% poi è una quota inferiore rispetto a quello che chiedono altre piattaforme. Di più, le strutture su Booking.com possono registrarsi gratuitamente. Noi traduciamo la pagina di un determinato albergo in oltre quaranta lingue, facciamo da tramite, ci occupiamo del marketing e ci prendiamo soltanto il 15%, che chiediamo fra l’altro solo se il cliente effettivamente sfrutta la prenotazione. Non c’è altro. Se un hotel facesse marketing al posto nostro avrebbe più costi e più rischi. Noi, ad esempio, paghiamo Google per figurare in cima alle ricerche. Ci piace farlo? No, ma ci porta clientela. E allora siamo ben contenti di pagare un costo del genere. Ritengo che il nostro rapporto qualità-prezzo sia competitivo».
Sempre di più, però, gli alberghi propongono tariffe alternative e, diciamo così, ufficiali sul loro sito. Vi arrabbiate se succede?
«No, anzi. Ai nostri partner chiediamo solo di fornirci tariffe competitive. Sui prezzi non abbiamo controllo, sono i partner appunto a stabilirli. Detto ciò, è vero: se a noi fornisci una tariffa non competitiva in un certo senso lavoriamo per niente. Diventiamo una vetrina gratuita. Danneggia noi, è evidente, ma non giova nemmeno all’hotel».
In Svizzera come in altri Paesi si discute l’obbligo o meno di vaccinarsi per tornare a viaggiare. Voi da che parte state?
«È una questione complicata, preferiamo non entrare nel merito. Ci interessa, questo sì, che sempre più persone vengano vaccinate nel minor tempo possibile. Dobbiamo creare i presupposti affinché la pandemia non torni».
Ryanair, in maniera aggressiva, ha puntato sull’effetto vaccino ribadendo che presto tutto tornerà come prima. Booking.com quando potrà dire che tutto sarà come prima?
«Quando sarà nuovamente possibile viaggiare e quando tornerà la domanda. Allora, solo allora, faremo campagne pubblicitarie. Farle adesso, in un momento di restrizioni annunciate più o meno ovunque dai governi, potrebbe essere controproducente. Quello che possiamo e dobbiamo fare è seguire la domanda e focalizzarci su determinate destinazioni, come potrebbero essere i laghi svizzeri. Destinazioni vicine. Il nostro messaggio, attualmente, è questo: il mondo tornerà ad essere esplorabile, ma bisogna aspettare».
