Un anno fa moriva Mahsa Amini, tensione alle stelle in Iran
Un anno fa la morte di Mahsa Amini, oggi arresti a tappeto in parte dell’Iran, proprio alla vigilia dell’anniversario di quel tragico fatto. La donna morì a soli 22 anni mentre era sotto la custodia della polizia morale per non aver indossato il velo in modo corretto. Stando a Iran international, forze militari armate controllano Saqqez, città originaria di Mahsa Amini, dove il 6 settembre scorso venne arrestato Safa Aeli, lo zio della giovane uccisa un anno fa. E non solo: telecamere di sicurezza sono state disseminate anche attorno alla tomba della donna, mentre la sua famiglia ha subito pressioni per cancellare una commemorazione «religiosa e tradizionale» che i parenti avrebbero voluto tenere domani. Il padre Amjad - riferiscono i media - è stato convocato da funzionari dell'intelligence che gli hanno intimato di non rilasciare dichiarazioni, mentre un'auto, nei giorni scorsi, ha iniziato a seguire i suoi movimenti. Intanto squadre di agenti armati delle Guardie della Rivoluzione stanno pattugliando in moto i quartieri centrali di Sanandaj, nel Kurdistan iraniano, e hanno minacciato di esser pronti a reprimere eventuali proteste dei residenti, anche sparando per uccidere. Lo ha fatto sapere la ONG con sede in Norvegia Hengaw secondo cui le misure di sicurezza, con lo schieramento di soldati e veicoli militari, sono state rafforzate anche in altre città del Kurdistan iraniano.
Non è mancata la denuncia della ONG Human Rights Watch (HRW), che quest’oggi scrive: «Le autorità iraniane hanno intensificato la repressione del dissenso pacifico e della libertà di espressione attraverso intimidazioni, arresti, procedimenti giudiziari e processi contro attivisti, artisti, dissidenti, avvocati, accademici, studenti e famigliari di coloro che sono stati uccisi durante le proteste del 2022. Hanno anche risposto alla diffuse proteste contro l’obbligo di indossare l’hijab, intensificando gli sforzi per imporre il codice di abbigliamento alle donne, utilizzando una serie di tattiche, tra cui azioni legali, nuove iniziative legislative e una crescente pressione sulle imprese private per imporre le regole dell’hijab».
Tara Sepehri Far, ricercatrice esperta sull'Iran presso HRW, ha sottolineato che «le autorità iraniane stanno cercando di reprimere il dissenso per impedire la commemorazione pubblica della morte in custodia di Mahsa Amini, che è diventata il simbolo dell'oppressione sistematica delle donne, dell'ingiustizia e dell'impunità del Governo», aggiungendo: «Le autorità iraniane non possono cancellare la crescente frustrazione, le forti richieste di un cambiamento fondamentale, e la resistenza, nonché la solidarietà nella società iraniana di fronte alle repressioni».
Diversi gruppi per i diritti umani stanno indagando sull'uccisione di oltre 500 persone, tra cui 69 bambini, da quando sono iniziate le proteste. Oltre alla brutale repressione dei manifestanti, dall’inizio dell’estate le autorità iraniane hanno intensificato la pressione per far rispettare le leggi sull’hijab obbligatorio nel Paese. Le autorità hanno perseguito donne, comprese celebrità, per essere apparse in pubblico senza il velo, multato automobilisti che trasportavano passeggere senza hijab e chiuso attività commerciali, compresi bar e uffici del settore privato, per non aver rispettato le leggi.
Le autorità iraniane sono accusate di aver utilizzato una forza eccessiva, anche letale, e arrestato decine di migliaia di manifestanti. Human Rights Watch ha documentato un uso diffuso di violenza e maltrattamenti, comprese molestie sessuali, torture e gravi violazioni giuridiche contro gli arrestati, compresi i bambini. Senza contare le persone condannate e giustiziate in seguito a processi gravemente al di sotto degli standard internazionali.