Un militare che scortò le bare di Bergamo: «È come se mi avessero tolto una parte di cuore»

Era il 18 marzo scorso quando, nel pieno dell’emergenza sanitaria in Italia, una colonna di mezzi militari attraversava il cuore di Bergamo, dal cimitero monumentale fino all’autostrada, con a bordo i feretri dei contagiati da coronavirus deceduti che il camposanto bergamasco non riusciva più a gestire. Le attese per le cremazioni avevano ormai superato la settimana. I feretri, collocati su una trentina di camion dell’Esercito, erano diretti verso altre città italiane.
Tra coloro che non dimenticheranno mai quelle immagini c’è Tomaso Chessa, uno dei militari che guidava i mezzi trasformati in carri funebri. In una lettera inviata all’Eco di Bergamo, Chessa ricorda quei momenti: «Arrivi lì alla fine del tuo viaggio, dove ti ritrovi ad abbandonare 'il tuo carico', oramai fa parte di te, come se ti togliessero una parte di cuore, ed è lì che cerchi di capire l'identità del tuo compagno di viaggio».
«Tu guidi - ha scritto ancora - scambi due chiacchiere con il collega alla parte opposta della cabina, ma quando per forza di cose, per un istante, il silenzio rompe la tua routine il tuo pensiero si posa su di loro, realizzi che dentro quel camion non siamo in due, ma in sette ... cinque dei quali affrontano il loro ultimo viaggio». E allora «ogni buca, ogni avvallamento sembra una mancanza di rispetto nei loro confronti». Ad accompagnare il militare anche un doloroso desiderio: «Pagherei oro per conoscere tutti i parenti delle otto persone».