L'intervista

«Un po' più di diplomazia avrebbe evitato la guerra»

A tu per tu con Benjamin Abelow, l'autore del libro «Come l'Occidente ha provocato la guerra in Ucraina»
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Maria Elisa Altese
11.03.2023 06:00

Mentre la guerra si sta avvitando in distruzioni senza fine, un saggio con un titolo che fa riflettere - Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina – dà un’altra lettura sulle cause del conflitto. In Svizzera  tedesca il libro ha fatto numeri da best seller: 340 mila copie (40 mila in supplemento alla Weltwoche, le altre 300 mila diffuse via Posta). Ora è disponibile in italiano (Fazi editore). Abbiamo intervistato l’autore, lo studioso americano Benjamin Abelow.

Nella prefazione all’edizione italiana del suo saggio, lo storico Luciano Canfora ricostruisce l’espansione verso est della NATO dopo il disfacimento del Patto di Varsavia (1991) e afferma che «l’impulso a stravincere innesca guerre. La lezione del dopo-trattato di Versailles non è servita». Pure Henry Kissinger ha suggerito che «l’Occidente non deve cercare la sconfitta della Russia». Che ne pensa?
«Molte persone vedono nel conflitto in Ucraina qualcosa di simile alla Seconda guerra mondiale. A me ricorda la Prima, quando l’Occidente si muoveva verso un conflitto di larga portata, ma senza dichiararlo. Io non credo che il presidente russo Putin si sia svegliato una mattina di febbraio credendosi Hitler o Stalin o il nuovo Zar, anche se alla fine è la versione hitleriana quella a essere maggiormente promossa dai media, almeno qui negli Stati Uniti. Le cose sono un poco più complesse».

Affrontiamole.
«Ogni esperto che sia onesto può ricostruire da sé l’espansione della NATO verso l’Europa orientale, dalla disgregazione del blocco comunista ad oggi. Mosca ha fatto nel tempo proposte specifiche agli Stati Uniti e alla NATO per modificare la situazione. Secondo me avrebbe fatto meglio a rivolgersi all’ONU, sottolineando la serietà delle proprie richieste. Mi sarebbe piaciuto vedere il presidente Putin fare di più per evitare lo scatenarsi del conflitto. E vedere gli Stati Uniti e l’Unione europea, naturalmente, fare di più».

Ad esempio, che cosa?
«Nel 2008 la NATO ha dichiarato che l’Ucraina sarebbe diventata un suo membro. George W. Bush voleva offrire un immediato ‘piano d’azione per l’adesione’. È stata l’irremovibile opposizione di Germania e Francia a fermare il progetto. Penso che l’UE - sia attraverso la NATO sia agendo per così dire individualmente - avrebbe potuto fare molto anche questa volta. Essere più assertiva nei confronti degli USA. Se un solo grande Paese NATO prendesse una posizione di principio a favore di una politica internazionale diversa, la situazione potrebbe cambiare».

Sforzi ne sono stati fatti. Nel marzo 2022 a Istanbul. Sul tavolo dei negoziati c’era la neutralità dell’Ucraina e un ritorno ai confini di prima del 24 febbraio.
«Vero. I territori del Donbass avrebbero avuto un certo grado di autonomia o forse  un alto grado di autonomia, e sarebbero rimasti all’interno dell’Ucraina. Non conosciamo i dettagli completi, ma pare che fossero questi gli accordi. L’allora premier del Regno Unito Boris Johnson, però, si presentò a Kiev e disse al presidente ucraino Zelensky: ‘Tu potrai essere pronto per la la pace, ma l’Occidente no’.  Parole riportate dall’Ukrainska Pravda e confermate nella sostanza nientemeno che da Foreign Affairs sul numero di settembre scorso».

C’era uno spiraglio di pace e non è stato valorizzato?
«Di recente anche l’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett ha raccontato di come le trattative per la pace in cui era coinvolto in prima persona a un certo punto siano state bloccate, pur essendo molto positive fino a un momento prima. La storia insegna, diciamolo con dolore, che gli esseri umani a volte non hanno come primo obiettivo l’immediato raggiungimento della  pace. Vi sono tante ragioni per questo, certamente finanziarie, e non ultima, nel caso specifico, la volontà americana di indebolire la Russia. Obiettivo dichiarato apertamente dal segretario alla Difesa americano Austin, con il segretario di Stato Blinken al suo fianco».

Mi permetta di fare un esercizio di simulazione. Gli USA praticano da sempre la dottrina Monroe: i loro potenziali oppositori non sono autorizzati a spostare le loro forze militari nell’emisfero occidentale, e certamente non sono autorizzati a spostarle vicino al confine degli Stati Uniti

Passo indietro. L’Ucraina è ben libera di scegliere se allinearsi e a chi, oppure non lo è?
«Mi permetta di fare un esercizio di simulazione. Gli USA praticano da sempre la dottrina Monroe: i loro potenziali oppositori non sono autorizzati a spostare le loro forze militari nell’emisfero occidentale, e certamente non sono autorizzati a spostarle vicino al confine degli Stati Uniti. Ora immaginiamo la dottrina Monroe a parti inverse. Immaginiamo che la Russia abbia stretto un’alleanza con un Paese al confine degli Stati Uniti, mettiamo il Canada, e conducesse lì esercitazioni a 110 km dal confine americano, usando missili con un raggio di 300 km. Faccio questo esempio con siffatti armamenti perché è esattamente quanto è accaduto in Estonia, al confine con la Russia, durante un’esercitazione NATO, nel 2020».

Ebbene, che farebbero gli USA?
«Avremmo panico tra i militari e tra l’establishment politico. Semplicemente, avvertirebbero quelle operazioni militari come una minaccia. I cittadini americani reagirebbero con parecchia ansia: basta vedere come hanno vissuto la storia del pallone cinese. Washington chiederebbe non solo la cessazione delle esercitazioni, ma il ritiro delle forze militari. E se ciò non avvenisse, penso che gli Stati Uniti entrerebbero in guerra e che molti ‘canadesi’ morirebbero».

Difficile ritenere che gli Stati Uniti stessero perseguendo l’obiettivo di far esplodere una guerra, all’epoca delle esercitazioni in Lettonia.
«Mi lasci però dire che c’è stata una specie di cecità e forse di arroganza che ha accompagnato gli Stati Uniti e la NATO_nelle operazioni in Europa orientale. Un impero che è stato in una posizione dominante per decenni e che vede il proprio territorio protetto da alcuni fattori geografici - gli oceani su due lati - può avere una visione geopolitica diversa rispetto a quella dell’Europa, tale per cui gli Stati Uniti compirebbero azioni nei confronti della Russia che non tollererebbero mai se la Russia le facesse a loro».

Perché i Servizi russi non si sono accorti di quanto gli stava accadendo sotto il naso?
«Nel tempo Mosca ha fatto presente che la situazione andava affrontata con accordi che tenessero conto non solo delle preoccupazioni degli Stati Uniti e dell’Europa occidentale, centrale e orientale, ma anche di quelle russe circa la sicurezza. Analisti americani, su The Intercept, hanno spiegato come la Russia non abbia preso se non all’ultimo momento la decisione di invadere l’Ucraina. Le truppe dislocate al confine erano finalizzate a sollevare proprio tale questione con la NATO. Tra l’altro, questo è uno dei motivi per cui il controllo degli armamenti è così importante:_si pone un monitoraggio sull’unica cosa che si può veramente verificare, ovvero quali sono le armi e quali sono le effettive esercitazioni militari».

Troppo tardi per tirarsi indietro?
«Quello che sta succedendo è un classico. Ognuna delle parti dice ‘Dobbiamo alzare la posta. Cercheremo di forzare l’altro verso il basso’. Così si ha solo un’escalation continua. Si parla di una guerra umanitaria, ma ciò che sta realmente accadendo è che l’Ucraina  è sempre più distrutta. Se continua così non ci sarà più un’Ucraina. Molti edifici sono in macerie, decine di migliaia di civili uccisi. Centomila o centoventimila soldati ucraini sono morti. Probabilmente il doppio è stato mutilato o ferito. Stessa situazione da parte russa. Tutto questo non farà che peggiorare».

Soluzioni?
«Ammettere che non ci sarà un vincitore in questa guerra. Cessare il fuoco e negoziare. Non credo che la Russia voglia occupare tutta l’Ucraina, sarebbe un enorme onere per la sua economia. Alcuni territori - la Crimea no di certo - potrebbero tornare a Kiev mantenendo una autonomia reale, cosicché Mosca non sia spinta a occupare sempre più territorio per creare quel cuscinetto di sicurezza che ritiene necessario».

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