«Un po' più di diplomazia avrebbe evitato la guerra»
Mentre la guerra si sta avvitando in distruzioni senza fine, un saggio con un titolo che fa riflettere - Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina – dà un’altra lettura sulle cause del conflitto. In Svizzera tedesca il libro ha fatto numeri da best seller: 340 mila copie (40 mila in supplemento alla Weltwoche, le altre 300 mila diffuse via Posta). Ora è disponibile in italiano (Fazi editore). Abbiamo intervistato l’autore, lo studioso americano Benjamin Abelow.
Nella
prefazione all’edizione italiana del suo saggio, lo storico Luciano Canfora
ricostruisce l’espansione verso est della NATO dopo il disfacimento del Patto
di Varsavia (1991) e afferma che «l’impulso a stravincere innesca guerre. La
lezione del dopo-trattato di Versailles non è servita». Pure Henry Kissinger ha
suggerito che «l’Occidente non deve cercare la sconfitta della Russia». Che ne
pensa?
«Molte
persone vedono nel conflitto in Ucraina qualcosa di simile alla Seconda guerra
mondiale. A me ricorda la Prima, quando l’Occidente si muoveva verso un
conflitto di larga portata, ma senza dichiararlo. Io non credo che il
presidente russo Putin si sia svegliato una mattina di febbraio credendosi
Hitler o Stalin o il nuovo Zar, anche se alla fine è la versione hitleriana quella
a essere maggiormente promossa dai media, almeno qui negli Stati Uniti. Le cose
sono un poco più complesse».
Affrontiamole.
«Ogni
esperto che sia onesto può ricostruire da sé l’espansione della NATO verso l’Europa
orientale, dalla disgregazione del blocco comunista ad oggi. Mosca ha fatto nel
tempo proposte specifiche agli Stati Uniti e alla NATO per modificare la
situazione. Secondo me avrebbe fatto meglio a rivolgersi all’ONU, sottolineando
la serietà delle proprie richieste. Mi sarebbe piaciuto vedere il presidente
Putin fare di più per evitare lo scatenarsi del conflitto. E vedere gli Stati
Uniti e l’Unione europea, naturalmente, fare di più».
Ad
esempio, che cosa?
«Nel
2008 la NATO ha dichiarato che l’Ucraina sarebbe diventata un suo membro.
George W. Bush voleva offrire un immediato ‘piano d’azione per l’adesione’. È
stata l’irremovibile opposizione di Germania e Francia a fermare il progetto.
Penso che l’UE - sia attraverso la NATO sia agendo per così dire
individualmente - avrebbe potuto fare molto anche questa volta. Essere più
assertiva nei confronti degli USA. Se un solo grande Paese NATO prendesse una
posizione di principio a favore di una politica internazionale diversa, la
situazione potrebbe cambiare».
Sforzi
ne sono stati fatti. Nel marzo 2022 a Istanbul. Sul tavolo dei negoziati c’era
la neutralità dell’Ucraina e un ritorno ai confini di prima del 24 febbraio.
«Vero.
I territori del Donbass avrebbero avuto un certo grado di autonomia o
forse un alto grado di autonomia, e sarebbero rimasti all’interno
dell’Ucraina. Non conosciamo i dettagli completi, ma pare che fossero questi
gli accordi. L’allora premier del Regno Unito Boris Johnson, però, si presentò
a Kiev e disse al presidente ucraino Zelensky: ‘Tu potrai essere pronto per la
la pace, ma l’Occidente no’. Parole riportate dall’Ukrainska Pravda e
confermate nella sostanza nientemeno che da Foreign Affairs sul numero
di settembre scorso».
C’era
uno spiraglio di pace e non è stato valorizzato?
«Di
recente anche l’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett ha raccontato di
come le trattative per la pace in cui era coinvolto in prima persona a un certo
punto siano state bloccate, pur essendo molto positive fino a un momento prima.
La storia insegna, diciamolo con dolore, che gli esseri umani a volte non hanno
come primo obiettivo l’immediato raggiungimento della pace. Vi sono tante
ragioni per questo, certamente finanziarie, e non ultima, nel caso specifico,
la volontà americana di indebolire la Russia. Obiettivo dichiarato apertamente
dal segretario alla Difesa americano Austin, con il segretario di Stato Blinken
al suo fianco».
Passo
indietro. L’Ucraina è ben libera di scegliere se allinearsi e a chi, oppure non
lo è?
«Mi
permetta di fare un esercizio di simulazione. Gli USA praticano da sempre la
dottrina Monroe: i loro potenziali oppositori non sono autorizzati a spostare
le loro forze militari nell’emisfero occidentale, e certamente non sono
autorizzati a spostarle vicino al confine degli Stati Uniti. Ora immaginiamo la
dottrina Monroe a parti inverse. Immaginiamo che la Russia abbia stretto
un’alleanza con un Paese al confine degli Stati Uniti, mettiamo il Canada, e
conducesse lì esercitazioni a 110 km dal confine americano, usando missili con
un raggio di 300 km. Faccio questo esempio con siffatti armamenti perché è
esattamente quanto è accaduto in Estonia, al confine con la Russia, durante
un’esercitazione NATO, nel 2020».
Ebbene,
che farebbero gli USA?
«Avremmo
panico tra i militari e tra l’establishment politico. Semplicemente,
avvertirebbero quelle operazioni militari come una minaccia. I cittadini
americani reagirebbero con parecchia ansia: basta vedere come hanno vissuto la
storia del pallone cinese. Washington chiederebbe non solo la cessazione delle
esercitazioni, ma il ritiro delle forze militari. E se ciò non avvenisse, penso
che gli Stati Uniti entrerebbero in guerra e che molti ‘canadesi’ morirebbero».
Difficile
ritenere che gli Stati Uniti stessero perseguendo l’obiettivo di far esplodere
una guerra, all’epoca delle esercitazioni in Lettonia.
«Mi
lasci però dire che c’è stata una specie di cecità e forse di arroganza che ha
accompagnato gli Stati Uniti e la NATO_nelle operazioni in Europa orientale. Un
impero che è stato in una posizione dominante per decenni e che vede il proprio
territorio protetto da alcuni fattori geografici - gli oceani su due lati - può
avere una visione geopolitica diversa rispetto a quella dell’Europa, tale per
cui gli Stati Uniti compirebbero azioni nei confronti della Russia che non
tollererebbero mai se la Russia le facesse a loro».
Perché
i Servizi russi non si sono accorti di quanto gli stava accadendo sotto il
naso?
«Nel
tempo Mosca ha fatto presente che la situazione andava affrontata con accordi
che tenessero conto non solo delle preoccupazioni degli Stati Uniti e
dell’Europa occidentale, centrale e orientale, ma anche di quelle russe circa
la sicurezza. Analisti americani, su The Intercept, hanno spiegato come
la Russia non abbia preso se non all’ultimo momento la decisione di invadere
l’Ucraina. Le truppe dislocate al confine erano finalizzate a sollevare proprio
tale questione con la NATO. Tra l’altro, questo è uno dei motivi per cui il
controllo degli armamenti è così importante:_si pone un monitoraggio sull’unica
cosa che si può veramente verificare, ovvero quali sono le armi e quali sono le
effettive esercitazioni militari».
Troppo
tardi per tirarsi indietro?
«Quello
che sta succedendo è un classico. Ognuna delle parti dice ‘Dobbiamo alzare la
posta. Cercheremo di forzare l’altro verso il basso’. Così si ha solo
un’escalation continua. Si parla di una guerra umanitaria, ma ciò che sta
realmente accadendo è che l’Ucraina è sempre più distrutta. Se continua
così non ci sarà più un’Ucraina. Molti edifici sono in macerie, decine di
migliaia di civili uccisi. Centomila o centoventimila soldati ucraini sono
morti. Probabilmente il doppio è stato mutilato o ferito. Stessa situazione da
parte russa. Tutto questo non farà che peggiorare».
Soluzioni?
«Ammettere che non ci sarà un vincitore in questa
guerra. Cessare il fuoco e negoziare. Non credo che la Russia voglia occupare
tutta l’Ucraina, sarebbe un enorme onere per la sua economia. Alcuni territori
- la Crimea no di certo - potrebbero tornare a Kiev mantenendo una autonomia
reale, cosicché Mosca non sia spinta a occupare sempre più territorio per
creare quel cuscinetto di sicurezza che ritiene necessario».