L'incontro

«Una devastazione, ma il popolo libanese è vivo e vitale»

Il vescovo maronita Mounir Khairallah ha incontrato a Roma papa Francesco – Dall'osservatorio di Batroun racconta di un Paese impaurito di fronte a scenari di guerra e nel caos politico
©JOAO RELVAS
Francesco Anfossi
03.10.2024 06:00

In Libano i raid israeliani contro le postazioni di Hezbollah continuano, ma sono i civili a pagare il prezzo più alto. Il grido di dolore arriva da Roma, dove il vescovo maronita Mounir Khairallah, a capo della diocesi di Batroun, città portuale a nord di Beirut fondata 3.500 anni fa dai fenici, è giunto per partecipare al Sinodo e soprattutto parlare a quattr’occhi con papa Francesco. «Continuiamo a vivere momenti di grande tensione e paura a causa dei bombardamenti dell’esercito israeliano che ha preso di mira insediamenti di Hezbollah nel sud del Libano, ma non risparmiando la capitale, nella zona dell’aeroporto,  a Lailaki, Haret Hreik, Bourj el-Brajné, persino nella downtown, dove collassano interi palazzi abitati».

Volti smarriti

Khairallah non è solo un uomo di Chiesa, ma anche un osservatore attento della crisi politica e sociale che ha travolto il Paese dei cedri. Nato nel 1953, laureato alla Pontificia Università Urbaniana e con un master in Teologia alla Sorbona, il suo è uno sguardo profondo sulla realtà libanese e mediorientale, consapevole delle forze che muovono questa ennesima tragedia. «I bombardamenti israeliani hanno causato una massiccia fuga di civili verso Beirut e il nord del Paese. Stanno arrivando anche da noi centinaia di migliaia di profughi. Con l’aiuto della Caritas e della San Vincenzo, la mia diocesi sta cercando di fornire assistenza, ma è come un esodo biblico: il traffico è paralizzato e gli sfollati ormai si accampano dappertutto come povere cavallette: sul molo, al mercato, sui marciapiedi, nelle moschee e nelle chiese. Vedo i loro volti smarriti e gli sguardi di terrore, quasi costernati, intere famiglie con i bambini piccoli silenziosi e affamati e le loro povere cose arraffate all’ultimo momento».

Gli interessi di USA e Iran

Il vescovo ha un’opinione precisa di quello che il suo Paese sta vivendo nel «grande gioco» mediorientale. «L’assassinio di Nasrallah e di molti suoi comandanti è stato un colpo forte e inatteso. Tuttavia, ciò che ci preoccupa di più è il silenzio degli Stati Uniti e di altre potenze internazionali, che sembrano aver dato il via libera a queste operazioni». La politica internazionale, dunque, gioca un ruolo ambiguo, con l’Iran in prima fila tra gli attori protagonisti. «L’Iran è l’alleato di Hezbollah, ma persegue i suoi interessi. Prevale la ragion di Stato. In questo momento Teheran sta negoziando con gli Stati Uniti e altre potenze per ottenere concessioni (sul nucleare e sui traffici commerciali, per esempio), proprio come Netanyahu in Israele. Entrambi cercano di trarre vantaggio dalla situazione internazionale e Hezbollah potrebbe essere sacrificato come pedina per ottenere maggiori benefici economici e politici dall’Occidente». Khairallah sottolinea come i civili siano le vere vittime di questa strategia internazionale: «Circa un milione di persone stanno fuggendo verso il Nord in un Paese che ha 5 milioni e mezzo di abitanti e due milioni di profughi siriani. Non sono solo i sostenitori di Hezbollah, ma intere famiglie di civili, persone comuni che cercano di scappare dai bombardamenti. La situazione è terribile, ci troviamo di fronte a una devastazione totale».

La corruzione endemica

Il vescovo non si limita a raccontare il caos. Come spesso accade nella sua narrazione, punta il dito contro la corruzione endemica che ha logorato il Libano: «Tutto questo si aggiunge alla crisi che stiamo vivendo da prima della pandemia, causata da una classe politica inetta e corrotta. Continuo a credere che il Libano sia un messaggio di libertà e convivenza, ma non possiamo dimenticare le gravi responsabilità di chi ci ha portato a questo punto». Ed ecco che nell’analisi del vescovo emergono le cause profonde di questo declino: un Paese in mano a élite politiche incapaci di rispondere alle vere necessità della popolazione, troppo occupate a preservare i propri privilegi. «Gli Stati Uniti e la Francia stanno facendo pressione affinché il Consiglio di sicurezza dell’ONU voti una risoluzione per il Libano. Ma ciò che è inaccettabile è l’atteggiamento di Israele, che non mostra pietà per i civili. Ma la difesa sproporzionata, come ha detto il Papa, è inaccettabile e immorale». Hezbollah stesso è un problema interno, non solo un nemico esterno. La sua presenza armata alimenta tensioni anche all’interno della società libanese. «Molti libanesi sono infastiditi dalla presenza di Hezbollah, perché le loro armi e munizioni sono collocate troppo vicine alle case dei civili. Questo ha esposto molti innocenti al pericolo, rendendo le aree residenziali bersagli facili per Israele. Tuttavia, non possiamo accettare che questo diventi una giustificazione per bombardare intere aree».

Nessuna distinzione religiosa

Il dramma è collettivo. Non esistono divisioni religiose quando le bombe piovono senza sosta. «Non possiamo fare distinzioni tra cristiani e musulmani in questo momento. Tutti i libanesi sono colpiti, indipendentemente dalla loro religione. Cristiani e musulmani stanno pagando lo stesso prezzo». Ma in questo quadro così disperato, Mounir Khairallah trova uno spiraglio di speranza. «Tra la mia gente c’è molta indignazione e frustrazione. Ma speriamo che questo possa servire da spinta per unire i libanesi e trovare finalmente una soluzione politica. Siamo ancora senza un presidente, senza un governo nella pienezza delle sue funzioni, in carica solo per gli affari correnti». La società civile libanese, secondo il vescovo, ha già dimostrato la sua capacità di rimettersi in piedi: «È viva e vitale, è sempre pronta a rimboccarsi le maniche. Dopo questa croce, ne sono certo, ci sarà la Risurrezione».