L'analisi

Vendere territori agli Stati Uniti? Per la Danimarca non sarebbe la prima volta

Saint John, Saint Croix e Saint Thomas, oggi parte delle Isole Vergini Americane, erano un tempo colonie danesi – Trump fa sul serio sulla Groenlandia: il tema dovrà essere affrontato dai diretti interessati – Che Nuuk stipuli un nuovo accordo per concedere più spazio all'esercito statunitense?
Il premier groenlandese Múte Bourup Egede e la sua omologa Mette Frederiksen © Mads Claus Rasmussen
Giacomo Butti
12.01.2025 06:00

Quando per la prima volta – nel 2019, durante il suo primo mandato – Donald Trump affermò di voler acquistare la Danimarca per annetterla agli Stati Uniti, molti pensarono si trattasse di una sua boutade. Di uscite strane, in quegli anni, il tycoon ne aveva fatte, e parecchie. Be', sei anni dopo il mondo è arrivato al punto di doversi ricredere. All'alba del secondo mandato, le insistenti e ripetute uscite delle ultime settimane, così come la visita del rampollo a Nuuk, con tanto di show costruito ad arte, risultano facilmente interpretabili: Trump fa sul serio.

Da quando il tema è tornato d'attualità, tanto la Groenlandia quanto la Danimarca hanno cortesemente invitato il 78.enne a guardare altrove: «La Groenlandia è dei groenlandesi, e non è in vendita». Ma il silenzioso cambio apportato dal re danese Frederik X al proprio stemma nobiliare (con l'orso polare groenlandese posto in primo piano) e la reboante riunione di crisi convocata, giorni fa, dalla premier danese Mette Fredriksen, mostrano tutto il nervosismo di Copenaghen. E, soprattutto, come il tema – insieme a quello del controllo sul canale di Panama – sia da prendere con la dovuta serietà.

Tanto che alcuni giornali, anche fra i più blasonati, stanno cominciando a fare qualche calcolo. E se, davvero, la Danimarca decidesse di cedere la Groenlandia a Washington? Pochi lo sapranno, ma un'eventuale compravendita di territori non rappresenterebbe, tra questi due Paesi, un unicum.

Le Indie occidentali danesi

Facciamo un passo indietro. Situate nel Mar dei Caraibi, le isole di Saint John, Saint Croix e Saint Thomas fanno parte, insieme ad altri 50 isolotti d'origine vulcanica, dell'arcipelago noto come Isole Vergini Americane. Dalla loro scoperta occidentale a oggi, tuttavia, queste tre sono passate più volte nelle mani di differenti potenze: Spagna, Inghilterra, Olanda, Francia e, sì, anche Danimarca. Nel 1672, infatti, la Compagnia danese delle Indie Occidentali prese possesso dell'isola di Saint Thomas e, nei cinquant'anni seguenti, altrettanto fece per Saint John e Saint Croix. Divenute nel 1754, a tutti gli effetti, una colonia sotto il controllo della corona danese, le tre vennero sfruttate per il commercio triangolare: dalla Danimarca, armi da fuoco e altri manufatti venivano inviati in Africa e scambiati con schiavi, i quali a loro volta venivano trasportati sulle isole caraibiche danesi per lavorare nelle piantagioni. Zucchero, rum e melassa, quindi, venivano inviate in Danimarca, a completamento del triangolo. Finite sotto il controllo britannico nel periodo delle Guerre Napoleoniche (fra 1801 e 1802, e dal 1807 al 1815), le isole di Saint John, Saint Croix e Saint Thomas vennero riconsegnate alla Danimarca nel contesto del Congresso di Vienna. Ma l'abolizione nel 1848 dello schiavismo rese la colonia sempre meno redditizia per Copenaghen, che nella seconda metà del XIX secolo cercò più volte di liberarsene tramite vendita o scambio. Fu proprio per timore che queste finissero nelle mani dell'Impero tedesco che gli Stati Uniti decisero, nel 1915, di mettere in atto un piano di acquisto. Spinta dalla paura che Berlino utilizzasse le isole – in posizione privilegiata sulla tratta che porta in Europa e al Canale di Panama, la cui costruzione si era appena conclusa – come base navale in America, Washington chiese e ottenne la cessione dei territori in cambio di 25 milioni di dollari (circa 360 milioni attuali) alla Danimarca. Ottenuto il via libera popolare con un referendum, la cessione venne finalizzata dal re Cristiano X e dal presidente statunitense Woodrow Wilson nel 1917. Momento in cui le isole assunsero il nome di Isole Vergini Americane.

La situazione

I due Paesi, insomma, sono abituati a trattare. Ma il caso presente è ben diverso da quello passato. Fatto astrazione dell'eventualità di un'invasione da parte delle truppe statunitensi (idea che, peraltro, Donald Trump non ha voluto scartare), la possibilità che i groenlandesi accettino di passare dal controllo danese a quello americano, va detto, appare abbastanza lontana. A Nuuk, infatti, il partito di maggioranza è l'Inuit Ataqatigiit, di sinistra e, soprattutto, indipendentista. Fondato nel 1976, è cresciuto enormemente nell'ultimo ventennio e ha al momento nel premier Múte Bourup Egede la sua figura di spicco. Egede non ha mai fatto mistero delle sue ambizioni di rendere la Groenlandia un Paese indipendente. Le pressioni statunitensi potrebbero, oggi, sì aiutare Nuuk nell'obiettivo di distaccarsi da Copenaghen, ma metterebbe i groenlandesi nella posizione di passare dal controllo di una potenza a quello di un'altra. Tanto più che, va sottolineato, nonostante l'interesse di Cina e Russia per le rotte artiche – e, di conseguenza, per la grande isola – sia oggi più forte che mai, gli Stati Uniti esercitano già una forte influenza sulla Groenlandia. Il Greenland Defense Agreement, firmato nel 1951 da Danimarca e Stati Uniti, ha a lungo garantito a Washington la possibilità di mantenere basi militari sull'isola e di costruirne di nuove in caso di necessità da parte della NATO. A questo accordo è seguito, nel 2004, quello stipulato da Danimarca, Stati Uniti e Groenlandia (lo Igaliku Agreement), con il quale è stato stabilito che la sola base americana attiva sull'isola, la Pituffik Space Base (ex Thule Air Base) restasse, appunto, l'unica. 

Giorni fa, in conferenza stampa, il premiere groenlandese Egede ha sottolineato che il suo Paese ha «collaborato con gli Stati Uniti ieri, oggi e lo farà anche domani». Una amicizia che deve proseguire, tuttavia, «anche alle condizioni della Groenlandia». Considerati i precedenti accordi stipulati, e la precisa volontà del governo groenlandese di garantire, un giorno, l'indipendenza di Nuuk, la soluzione alle mire di Trump potrebbe dunque essere la conclusione di un nuovo patto che, pur lasciando la Groenlandia libera da un diretto controllo statunitense – sia essa indipendente o ancora sotto la giurisdizione danese –, garantisca (o confermi) la supremazia militare di Washington sull'Isola e le sue acque.

Tanto dipenderà, insomma, dalla forza dei singoli attori: la storia della Groenlandia è tutta da scrivere.

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