Vent’anni fa la tragica distruzione dei Buddha di Bamiyan
Erano alte una 38 e l’altra 53 metri le gigantesche statue di Buddha scolpite nella roccia della valle di Bamiyan in Afghanistan, a circa 230 chilometri da Kabul, e per questo conosciute nel mondo come i Buddha di Bamiyan. Risalivano la prima a 1800 e l’altra a 1500 anni fa.
Il 12 marzo del 2001 furono distrutte dai talebani. Nel 2003 l’intera area archeologica è stata inserita nella lista dei Patrimoni mondiali dell’umanità dell’Unesco. A 20 anni da quella tragica data «le nicchie vuote dei giganteschi Buddha di Bamiyan ricordano il dovere di proteggere il patrimonio culturale perché le generazioni future non ne siano private»’.
Per Ernesto Ottone, direttore generale della cultura dell’UNESCO, «sebbene la distruzione del patrimonio e il saccheggio di oggetti abbiano avuto luogo fin dall’antichità, la distruzione dei due Buddha di Bamiyan ha rappresentato un importante punto di svolta per la comunità internazionale. Un atto di distruzione deliberata, motivato da un’ideologia estremista che voleva cancellare la cultura, l’identità e la storia della popolazione locale».
Da quando nel 2003 il paesaggio culturale e i resti archeologici della valle di Bamiyan sono stati iscritti nella lista del patrimonio mondiale e nella lista del patrimonio mondiale in pericolo, una forte cooperazione internazionale a lungo termine, ha investito oltre 27 milioni di dollari nella conservazione e stabilizzazione di questo sito.
Dopo oltre 15 anni, il consolidamento della nicchia orientale del Buddha è completo, mentre è in corso un lavoro urgente per salvaguardare la nicchia occidentale, con finanziamenti dal Giappone. Questa cooperazione è stata estesa anche alle altre sette aree, tra cui grotte ricoperte di murales, notevoli espressioni di influenze indiane e cinesi lungo le Strade della Seta e la fortezza di Shahr-e Gholghola, che segna l’origine dell’insediamento di Bamiyan.
Questi sforzi sono sostenuti finanziariamente e tecnicamente dal Giappone e dall’Italia’’. Tragicamente, dopo Bamiyan, ha ricordato l’esperto, le distruzioni volontarie del patrimonio culturale sono proseguite in Siria, Iraq, Libia, Mali e altrove, ma nel 2012, la comunità internazionale ha riconosciuto ‘la distruzione intenzionale del patrimonio culturale come un crimine di guerra’ e nel 2016, il Tribunale penale internazionale ha ritenuto un imputato colpevole di crimini di guerra per aver ordinato la distruzione dei mausolei a Timbuktu.
«Commemorando il 20° anniversario degli atti di distruzione a Bamiyan, l’UNESCO ribadisce il sostegno al popolo afghano e l’impegno rafforziamo il nostro impegno a salvaguardare il patrimonio culturale, incarnazione della nostra comune umanità»’ ha concluso.