Conflitti

Viktor Bout è tornato a vendere morte, mentre l'influenza russa sul Mar Rosso cresce

Secondo un'indagine del Wall Street Journal, il trafficante d'armi russo, liberato da Washington a fine 2022 in cambio della cestista statunitense Brittney Griner, sarebbe tornato in affari – Recentemente avrebbe partecipato a una negoziazione con gli Houthi, milizia islamista impegnata contro Israele – È solo un indizio di come l'ombra del Cremlino si stia allungando sulla regione
© Keystone (EPA/Sergei Ilnitsky)
Giacomo Butti
10.10.2024 11:40

Viktor Bout, il trafficante d'armi russo noto come il «Mercante di Morte», sarebbe tornato a fare affari. Uscito da un carcere statunitense quasi due anni fa (dicembre 2022), Bout faceva parte di uno scambio di prigionieri fra Mosca e Washington che aveva visto la Russia rilasciare, in contropartita, la stella del basket femminile americano Brittney Griner. Ora, rivela il Wall Street Journal, avrebbe rimesso in piedi il sanguinoso business, interagendo con una milizia islamista impegnata nel conflitto in Medio Oriente: gli Houthi.

Signore della guerra

Facciamo un passo indietro. Nato nel 1967 a Dushanbe, città dell'allora Repubblica socialista sovietica tagika e attuale capitale del Tagikistan, Viktor Bout passò diversi anni in Africa – soprattutto fra Mozambico e Angola – con l'esercito sovietico, nel quale ottenne il grado di tenente colonnello. Rientrato in Russia nel 1991 – questa la ricostruzione fatta dai media internazionali a suo tempo –, fu in grado di sfruttare il caos generato dalla dissoluzione dell'URSS per mettere le mani su materiale bellico rimasto senza padroni. Venuto in possesso di decine di velivoli sovietici, Bout mise in piede un vero e proprio impero del traffico di armi, arrivando un po' ovunque, dall'Asia al Sudamerica, passando per l'Africa e l'Europa, con un suo coinvolgimento, si ipotizza, anche nelle guerre jugoslave.

Non è un caso, insomma, che la sua vita abbia ispirato – pare – il film del 2005 Lord of War con protagonista Nicolas Cage. Finito nel mirino statunitense anche per i suoi rapporti con l'Afghanistan, Bout venne arrestato in Thailandia nel 2008, alla fine di un'operazione di spionaggio condotta da agenti della DEA (Drug Enforcement Administration) che si finsero ribelli colombiani di sinistra. 

Politica e ancora armi

Arriviamo a giorni più recenti. Estradato negli Stati Uniti e condannato nel 2011 a 25 anni di prigione, il trafficante di armi aveva scontato metà pena, circa, quando nel 2022 Mosca ne ha ottenuto il rilascio in cambio della liberazione della cestista statunitense Brittney Griner, condannata a 9 anni da un tribunale russo perché trovata in possesso di quantità minime di hashish

Vicino, vicinissimo al presidente russo Vladimir Putin, Bout ha impiegato meno di una settimana, a partire dal rilascio, per entrare in politica. Tornato in patria, si è unito a un partito di estrema destra filo-Cremlino, il Partito liberal-democratico di Russia (LDPR), e dal 2023 a oggi è poi apparso spesso in televisione, come commentatore della politica russa, conoscitore degli Stati Uniti e, saltuariamente, «esperto di commercio di armi». Tutto qui? Be' non proprio. Ora, stando a quanto riportato dal Wall Street Journal, avrebbe ripreso a trafficare armi. Nel mese di agosto, stando a un funzionario europeo e ad altre persone a conoscenza della questione, Bout avrebbe un gruppo di emissari degli Houthi, venuti a Mosca a negoziare l'acquisto di armi automatiche russe per un valore di 10 milioni di dollari (circa 8,6 milioni di franchi). Bout avrebbe avrebbe funto da mediatore, ma non è chiaro se l'affare sia stato avviato su esplicita richiesta del Cremlino o, semplicemente, con la sua tacita approvazione. Le prime due consegne, hanno spiegato le fonti, dovrebbero riguardare soprattutto AK-74, una versione aggiornata del fucile d'assalto AK-47. Ma gli Houthi avrebbero messo gli occhi su altre armi che la Russia potrebbe, potenzialmente, vendere: si parla di missili anticarro e armi antiaeree.

L'amministrazione Biden, ricorda il quotidiano statunitense, da tempo teme che la Russia stia fornendo agli Houthi armi avanzate come ritorsione per il sostegno di Washington all'Ucraina, «ma non ci sono prove, attualmente, che tali missili siano stati inviati o che Bout sia coinvolto in un accordo». La negoziazione in questione, appunto, riguarderebbe armi leggere. Nessun missile, insomma, od ordigno in grado di aiutare i ribelli yemeniti nella guerra intrapresa contro Israele e contro le navi occidentali di passaggio nella regione. Ma comunque una sfida a Washington, che nel 2021 ha designato il gruppo come organizzazione terroristica, e che dal 2023 è attivamente impegnata a limitarne le azioni nei confronti dello Stato ebraico alleato.

Silenzio o smentite

Come hanno reagito i diretti interessati alla notizia? Interrogato dal Wall Street Journal, il Consiglio di sicurezza nazionale statunitense non ha risposto a una richiesta di commento sulle attuali attività di Bout. A posteriori, invece, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, contattato dall'agenzia TASS ha affermato: «Siamo propensi a classificarlo come una fake news o un attacco informativo ai nostri rappresentanti eletti». Simile la posizione di Steve Zissou, l'avvocato di Bout a New York, che ha ha rifiutato di discutere se il suo cliente abbia o meno incontrato gli Houthi. Da parte sua, in un'intervista rilasciata alla TASS, lo stesso Bout ha definito l'affermazione di vendere armi agli Houthi un'«accusa infondata».

Il rapporto con la regione

Le consegne di armi agli Houthi, si sospetta, potrebbero avvenire già nel mese corrente – passando dal porto yemenita di Hodeidah –, sotto il falso pretesto di inviare forniture alimentari per la grave crisi alimentare che attanaglia il Paese. Una scusa credibile, considerati i carichi di grano già inviati in tempi recenti. Tutto parte di uno scenario che vede l'influenza russa sulla regione in crescita. E non solo tramite i rapporti stretti con la milizia islamista finanziata dall'Iran, ma anche grazie alle relazioni diplomatiche intessute con i Paesi vicini.

L'arrivo lo scorso mese di marzo, ad esempio, della fregata del Cremlino Marshal Shaposhikov al porto di Massaua, Eritrea, è indizio di come l'ombra del Cremlino si stia allungando sul Mar Rosso. Accolta con tutti gli onori, la delegazione russa comprendeva pure Vladimir Lvovich Kasatonov: vice ammiraglio sotto sanzioni (anche svizzere) per il suo ruolo nell'invasione dell'Ucraina. La visita, secondo gli analisti dell'ISW, aveva fini militari: «Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha espresso interesse a stabilire una base a Massaua già nel 2023: la Russia considera vitale un porto sul Mar Rosso per i suoi sforzi di proiettarsi come grande potenza, consentendole di proteggere i suoi interessi economici nell'area e di migliorare la sua posizione militare aumentando la sua capacità di sfidare l'Occidente nella regione più ampia, compreso il Mar Mediterraneo e l'Oceano Indiano».

Kasatonov (al centro) insieme al presidente eritreo Isaias Afwerki (a sinistra di Kasatonov) e a membri della Marina eritrea sulla Marshal Shaposhikov. © X/Ministry of Information, Eritrea
Kasatonov (al centro) insieme al presidente eritreo Isaias Afwerki (a sinistra di Kasatonov) e a membri della Marina eritrea sulla Marshal Shaposhikov. © X/Ministry of Information, Eritrea

Simile la situazione nel vicino Sudan, con il quale già nel 2019 il Cremlino ha già siglato un accordo che consente alla Marina russa l'accesso ai porti nazionali. Una collaborazione andata in crescendo, con l'annuncio - a novembre 2020 - della volontà di costruire una base navale russa sul territorio sudanese.

E altrettanto si può dire dell'Arabia Saudita, che nel mese di dicembre 2023 ha accolto fra mille festeggiamenti Putin e la vastissima delegazione al suo seguito, testimonianza della varietà dei temi, politici ed economici, trattati nell'incontro fra i due Paesi.