Germania

Wolfsburg, nella città dell’auto scoppia la guerra delle salsicce

La Volkswagen ha annunciato di voler togliere la carne e i «currywurst» dal menù della mensa aziendale della sede principale - La reazione del Web è stata fulminea e la polemica è dilagata - Anche l’ex cancelliere SPD Gerhard Schröder ha contestato online l’iniziativa
La Volkswagen vuole eliminare dalla mensa del grattacielo di Wolfsburg i suoi popolarissimi currywurst, ma la decisione è contestata da più parti. © Shutterstock
Dario Campione
14.08.2021 06:00

Manca poco più di un mese alle elezioni federali tedesche che segneranno la fine dell’era Merkel. Il Paese è disorientato, l’esito del voto incertissimo. Grandi questioni dividono l’opinione pubblica: dal cambiamento climatico alle politiche migratorie, dal rapporto con la propria, tragica storia al futuro dell’Unione Europea. Che cosa può esserci, di meglio, allora, di un dibattito rovente sul destino delle salsicce che la Volkswagen vorrebbe abolire dai menù delle mense aziendali?

L’hashtag su LinkedIn

Poche settimane fa, il colosso di Wolfsburg ha annunciato, in una circolare interna, la rivoluzione “green” sulle tavole del ristorante interno: i 150 piatti offerti a chi lavora nel celebre grattacielo della città dell’auto saranno tutti vegetariani. Con l’eccezione di qualche portata di pesce. Assieme ai würstel sono destinati a sparire anche le buletten (le nostre polpette), gli stufati gli arrosti e tutto ciò che proviene da allevamenti intensivi.

L’amministratore delegato della Volkswagen, il bavarese Herbert Diess, presentando sui social il nuovo “catering manager” Nils Potthast, ha spiegato: «Meno carne, più verdure, ingredienti migliori: un progresso immenso, molto più contemporaneo. Il buon cibo è importante, è fondamentale per la salute, l’umore e quindi anche per la produttività dei dipendenti».

Apriti cielo. Il Web è letteralmente impazzito. Valanghe di commenti, molti dei quali velenosi, si sono abbattuti sull’industria automobilistica della Bassa Sassonia. E a buttare sul tavolo il carico da undici ci ha pensato l’ex cancelliere socialdemocratico (ed ex presidente proprio della Bassa Sassonia) Gerhard Schröder. Con un post su LinkedIn, Schröder ha lanciato l’hashtag #rettetdieCurrywurst, “salvate il currywurst”. «Se sedessi ancora nel Consiglio di sorveglianza di Volkswagen tutto questo non sarebbe successo - ha scritto Schröder - La dieta vegetariana va bene, io stesso la seguo periodicamente. Ma perché eliminare il currywurst? No, il currywurst con le patatine fritte è uno dei pasti fondamentali dell’operaio specializzato della produzione. E così deve rimanere».

Più würstel che auto

Non è argomento molto noto fuori dai confini germanici, ma da quasi un secolo la Volkswagen produce cibo per i suoi operai. Ha iniziato a farlo negli anni ’30 del Novecento, e all’inizio degli anni ’70 ha deciso che sarebbe stato più conveniente insaccare würstel per le proprie mense direttamente in casa, invece di comprarli nei salumifici sparpagliati dei vari länder. Il currywurst è la punta di diamante di questa produzione, tanto da essersi meritato l’ingresso nel catalogo dei ricambi: provate a digitare il codice “199 398 500 A” sul sito della casa automobilistica tedesca: non spunteranno freni né pistoni, ma le confezioni da 5 o da 10 delle celebrate salsicce di suino. Numeri alla mano, nell’ultimo anno pre-pandemia, il 2019, la Volkswagen ha prodotto più currywurst che automobili: 6,8 milioni di pacchetti contro 6,2 milioni di vetture. Cui si aggiungono 536 tonnellate di ketchup, anch’esse imballate nei modernissimi stabilimenti di Wolfsburg, tra motori e parabrezza.

Il currywurst è una «carne simbolica», hanno scritto in molti, l’ideale per dibattiti sulla griglia, «surriscaldati». Dibattiti che hanno magari indignato qualche intellettuale e non pochi commentatori, ma che nello stesso tempo hanno risvegliato l’orgoglio degli amanti del maiale. Cotto, ovviamente.

Lo scrittore Peter Huth, già direttore della Welt am Sonntag, ha sentenziato su Facebook che «niente illustra lo stato miserabile del confronto in Germania e il declino della ragione meglio del caso currywurst alla Volkswagen. La Rete esplode di indignazione, ma si tratta soltanto di stupida, ottusa indignazione».

La campagna elettorale

C’è stato anche chi l’ha buttata in politica. La battuta di Schröder è stata interpretata come un meraviglioso invito ai mass media per svoltare in campagna elettorale verso argomenti che producano sdegno e risentimento, soprattutto in Rete, e indipendentemente da quale parte provengano.

Quando gli è stato chiesto: “Preferirebbe il currywurst biologico del negozio o l’hamburger vegetariano di McDonalds?”, il candidato SPD alla cancelleria, Olaf Scholz, non ha esitato un attimo a schierare il suo partito con il currywurst. E l’eurodeputato della CDU Dennis Radtke, intervistato sul tema, ha ammesso che la querelle della salsiccia è un argomento potenzialmente interessante anche per la corsa di Armin Laschet, erede designato - cittadini permettendo - di Angela Merkel.

Sulle pagine dello Spiegel, il caporedattore della cultura, Sebastian Hammelehle, si è spinto oltre: «Come attivista elettorale, Gerhard Schröder è stato brillante. Sapeva semplificare e affinare le cose senza farle sembrare piatte, a volte era audace e a volte allarmista. Una sorta di manuale per i social media. Ora Schröder sta combattendo per il currywurst. Un po’ esagerato. Dopotutto, il currywurst è ancora onnipresente, ad esempio in altre 29 mense Volkswagen.

Ciò che Schröder vuole effettivamente affrontare è probabilmente qualcosa di diverso, qualcosa di irrazionale. Il currywurst è solo un simbolo carico di emozioni per un sentimento che vorrebbe condividere con molti altri. Con molti uomini, non solo la sua generazione; forse anche con molti lavoratori qualificati che una volta erano elettori regolari della SPD e ora sono politicamente senzatetto». Insomma: salsiccia e martello. Per ridare slancio (e voti) a una sinistra senza bussola e a corto di carboidrati.

Uno scenario che cambia

Può darsi che sia così. Di certo, l’uscita di Schröder e la battaglia ideologico-alimentare esplosa sul Web ha costretto, in qualche modo, la Volkswagen a ridimensionare, almeno in parte, i suoi proclami “meat-free”: il responsabile delle risorse umane di Wolfsburg, Gunnar Kilian, ha risposto all’ex cancelliere sui social con poche ma chiare parole: «Caro Gerhard, per favore non preoccuparti: il currywurst #Volkswagen rimane».

Sullo sfondo, però, resta anche uno scenario sociale profondamente cambiato.

Secondo un sondaggio YouGov, il 21% dei tedeschi approva il fatto che le mense aziendali eliminino la carne. E ai piani alti di Wolfsburg, l’aumento della gamma di opzioni vegetariane e vegane non è più visto soltanto come un problema nutrizionale o legato al gusto. Piuttosto, è il segnale di un cambiamento di rotta politico-economica. Il minor consumo di carne aiuta l’ambiente. E lo stesso amministratore delegato Herbert Diess ha più volte legato il dibattito sul clima o sui diritti degli animali al cibo: «Il nostro chef stellato - ha scritto online di recente parlando delle innovazioni immaginate da Nils Potthast - vuole fare a meno della carne degli allevamenti intensivi entro il 2025. Assolutamente giusto e importante!».

Sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, l’altro giorno, Carsten Germis ha forse dato la lettura più coerente di quanto accaduto attorno al salsiccia-gate sassone: «La Volkswagen giustifica il nuovo menù con il cambiamento climatico e vuole evitare la crescita del CO₂. Invece di insistere su quale sia la strada giusta per la protezione del clima, qualcuno ha trasformato la rinuncia al currywurst in una guerra culturale. Ma gli impiegati e gli operai della Volkswagen, in particolare i più giovani, vogliono semplicemente una gamma più ampia di pietanze, e senza carne. Anche le abitudini alimentari stanno cambiando. L’azienda ora le sta accogliendo; nelle altre venti mense - e più - del gruppo, ci sono ancora abbondanti pasti tradizionali. Ognuno può decidere da solo cosa vuole, nessuno si alza con un dito puntato. Non è un brutto modello, vero?».

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