Curia

«Mons. Bonnemain più netto di de Raemy»

Il portale cattolico Kath.ch ha criticato l’Amministratore apostolico della Diocesi di Lugano – «Ha permesso a un sacerdote, ora in carcere per presunti abusi, di partecipare alle colonie estive» – Suggerito il confronto con il vescovo di Coira che invece ha dimostrato maggiore fermezza su un caso analogo
©Chiara Zocchetti
Francesco Pellegrinelli
11.10.2024 21:15

È con un secco «no comment» che la Diocesi di Lugano, interpellata dal CdT, ha reagito all’articolo pubblicato ieri su kath.ch, secondo cui «il vescovo di Coira Monsignor Bonnemain ha agito in modo più netto rispetto al collega Alain de Raemy. Il quale, in qualità di amministratore apostolico della Diocesi di Lugano, ha permesso a un sacerdote, ora in carcere per presunta violenza sessuale, di partecipare alle colonie estive i con giovani, nonostante fosse pendente sul suo conto una segnalazione».

A offrire lo spunto per la riflessione del giornalista sul portale cattolico di lingua tedesca è un recente caso «di violazione dei confini» - ossia di molestie o abusi sessuali - avvenuto in una parrocchia del Canton Zurigo. La vicenda attualmente si trova al vaglio della polizia cantonale zurighese ma, stando all’articolo di kath.ch, pare che l’incarto non sia stato ancora trasmesso alla Procura competente.

I pochi dettagli fin qui emersi provengono da un comunicato stampa diffuso venerdì 4 ottobre dalla Diocesi di Coira, nel quale si informa che «la Curia vescovile e il vicariato di Zurigo Glarona hanno avviato la procedura prevista in questi casi» e che, pertanto, «sono state immediatamente informate le forze dell’ordine». E ancora: «C’è il sospetto che al momento dell’incidente un pastore abbia mostrato un comportamento violento nei confronti di un minore».

Fin qui la cronaca pura e semplice dei fatti. A cui si aggiunge, come detto, la riflessione del giornalista. Il quale dopo aver elogiato l’azione tempestiva del vescovo di Coira per aver adottato misure cautelari nei confronti del prete segnalato, punta il dito contro Alain de Raemy, reo - a suo dire - di non aver risposto con alrettanta fermezza.

Come detto la Diocesi di Lugano si è limitata a un lapidario «no comment», ricordando tuttavia come la cronologia degli eventi fosse ben chiara sin dal primo minuto dopo l’apertura dell’inchiesta a carico di Don Leo.

Nel primissimo comunicato del 10 agosto, la Curia vescovile menzionava infatti che la segnalazione della giovane vittima fosse giunta all’Amministratore apostolico nel mese di febbraio. E che dopo un periodo di riflessione, a inizio aprile, il giovane adulto aveva maturato la decisione di denunciare i fatti alla Giustizia civile. Il fermo della polizia è poi avvenuto nel mese di agosto. «Per non interferire nell’accertamento della verità e rischiare l’inquinamento delle prove, nel periodo trascorso tra la segnalazione e il fermo (ossia durante il periodo delle colonie estive, ndr) non è stata attuata alcun tipo di misura nei confronti del Presbitero».

Insomma, Alain de Raemy, a differenza del vescovo Bonnemain, ha fatto quanto la Magistratura gli ha prescritto. Ciò non toglie che, secondo kath.ch, il vescovo di Coira «ha agito in modo più netto rispetto al collega». Una fermezza che, proseguendo nella riflessione del giornalista, riguarda anche le circostanze della vicenda. La decisione di adottare misure cautelari nei confronti del parroco di Zurigo (al quale da subito è stato impedito di entrare in contatto con i giovani) è infatti strettamente legata alla presenza accertata di minori. L’eventualità che altri giovanissimi potessero ritrovarsi in una situazione di rischio avrebbe dunque portato il vescovo Bonnemain ad agire in questo modo, anticipando la Giustizia civile zurighese.

Una riflessione che di sponda però rilancia la domanda anche sul fronte ticinese. Tenuto conto che il giovane adulto al momento della segnalazione avvenuta a febbraio ha condiviso l’ipotesi che gli approcci inadeguati di Don Leo potessero riguardare «forse» anche un minorenne, ci si potrebbe chiedere come mai la Curia vescovile non abbia fatto nulla per limitare l’azione del presbitero prima della denuncia in Magistratura. Detto altrimenti: se è vero che la legge canonica introduce come vincolo lo strumento della denuncia d’ufficio alla Giustizia civile unicamente in caso di abusi su minori, è vero anche che il sospetto che «un minore potesse essere coinvolto» avrebbe potuto spingere Alain de Raemy ad agire con maggiore fermezza.