Il caso

Monte Gambarogno, «quella notte passata in auto con il villaggio invaso dal fumo»

I ricordi di Fausto Domenighetti a un anno dal vasto incendio che distrusse duecento ettari di bosco – In dirittura d’arrivo, intanto, l’inchiesta a carico dei due campeggiatori che causarono il rogo
Per le operazioni di spegnimento vennero impiegati numerosi elicotteri e anche due Canadair giunti dall’Italia. ©Gabriele Putzu
Spartaco De Bernardi
30.01.2023 06:00

Le ferite inferte dal fuoco sono ancora ben visibili ad un anno dall’incendio che mandò in fumo i boschi del Monte Gambarogno. «Ci vorrà ancora parecchio prima che possano rimarginarsi del tutto», osserva Fausto Domenighetti, ultimo sindaco di Indemini prima della nascita del Comune di Gambarogno. In lui il ricordo della concitata notte tra il 30 ed il 31 gennaio 2022 è ancora vivido. Dopo che per tutta la giornata i pompieri avevano lottato per aver ragione delle fiamme che si erano estese su una superficie di sei ettari, le autorità decisero di evacuare precauzionalmente il villaggio situato a 930 metri di altitudine. «Verso mezzanotte – ricorda ancora Domenighetti - ci dissero che dovevamo andarcene dalle nostre abitazioni. Io ero un po’ restio: non volevo lasciare il villaggio dove vi sono tutte le mie attività». Alla fine l’ex sindaco, dopo aver dato una mano agli agenti di polizia nel raggiungere tutti gli abitanti allora presenti ad Indemini per avvisarli dell’ordine di lasciare le loro case, salì in macchina e se ne andò. Ma non fece molta strada. «Nella sua casa di Magadino mio figlio aveva già accolto altri sfollati. Quindi decisi di fermarmi all’Alpe di Neggia e di dormire in auto. Non volevo allontanarmi troppo così da poter controllare quanto succedeva».

Carburante per i pompieri

Dopo qualche ora di sonno Domenighetti era di nuovo nel villaggio. «Volevo accertarmi della situazione. Misi anche in funzione la pompa di benzina così che i pompieri al lavoro per spegnere le fiamme potessero rifornirsi di carburante per i loro mezzi. Encomiabili i loro sforzi profusi di giorno e di notte per spegnere l’incendio con l’ausilio degli elicotteri e anche di due Canadair della Protezione civile italiana». Il rogo, alimentato dal forte vento, in due settimane ridusse in cenere faggi e piante resinose su di un’area di circa 200 ettari. «Le fiamme si levavano alte in cielo per una cinquantina di metri. Ancora oggi mi fa impressione ritornare con la memoria a quei giorni», racconta ancora il nostro interlocutore, il quale non ha mai temuto veramente che il fuoco potesse raggiungere l’abitato di Indemini. «Il villaggio, o perlomeno il suo nucleo, non è mai stato veramente minacciato. Per giorni, però, fu invaso da un denso fumo. L’aria era irrespirabile».

Il ritorno a casa

Dopo quattro giorni di esilio forzato, la mattina del 4 febbraio gli abitanti sfollati precauzionalmente dal villaggio di Indemini poterono far ritorno nelle loro abitazioni. «Il peggio era passato, ma l’incendio non era ancora del tutto spento. Comunque la soddisfazione di poter tornare a casa fu evidentemente grande». Prima che le fiamme fossero definitivamente sotto controllo ci volle ancora una settimana abbondante. Il 16 febbraio, accertato come il rischio che qualche focolaio potesse ancora riattizzarsi era scongiurato, i pompieri della Città di Bellinzona cui competeva il coordinamento delle operazioni di spegnimento decisero di smantellare il dispositivo ancora presente sul posto. Così, finalmente, la vita nel villaggio potè tornare alla normalità. Anche, se, come detto, le ferite inferte dal fuoco ai boschi che lo circondano sono ancora ben visibili.

Turisti e curiosi

In molti, la scorsa estate, hanno scelto di visitare Indemini. Oltre al suo innegabile fascino, ad attirare molti turisti ha contribuito la copertura mediatica dell’incendio. «Per un paio di settimane televisione, radio e giornali diedero ampio risalto al rogo e all’impegno profuso dai pompieri per spegnerlo. Parecchia gente nei giorni, nelle settimane e nei mesi successivi è venuta ad Indemini per vedere di persona i danni provocati dalle fiamme», conferma Domenighetti

Approfondimenti istruttori

L’incendio che divampò per due settimane sul Monte Gambarogno fu causato da una grave negligenza da parte di due confederati. Credevano che il fuoco acceso per il bivacco notturno approntato nella zona dell’Alpe di Neggia fosse completamente spento. Così si infilarono nei loro sacchi a pelo e si addormentarono, ignari di quello che sarebbe capitato di lì a poco. Una negligenza, una valutazione sbagliata, che ebbe delle conseguenze spaventose. E che per loro è valsa l’accusa di incendio colposo. L’inchiesta coordinata dal procuratore pubblico Simone Barca è in dirittura d’arrivo. Per chiuderla ufficialmente, il magistrato inquirente attende la conclusione di alcuni approfondimenti istruttori. Questo dal punto di vista penale. Da quello civile, nel caso i due confederati dovessero essere giudicati colpevoli del reato di incendio colposo, è probabile che vengano chiamati a saldare un conto salatissimo. Ai costi degli interventi di spegnimento del rogo la cui fattura riporta una cifra a sei zeri, è verosimile che debbano contribuire a rifondere anche le spese per gli interventi selvicolturali e di ripristino dei danni alle infrastrutture. Il Comune, che si è costituito accusatore privato, intende infatti far valere le proprie pretese finanziarie rifacendosi su di loro.

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