Mosca e il potere dei «pochi»: gli oligarchi al servizio di Putin

Gli oligarchi sono, per definizione, «pochi». Gestiscono il potere in forma chiusa, inaccessibile, mettendo davanti a tutto i propri interessi. Erano oligarchi, nei tempi antichi, i “Trenta tiranni” di Atene; sono stati oligarchi, negli anni più vicini a noi, i componenti dei vari politbjuro degli Stati socialisti.
Oggi, il termine oligarchi richiama subito alla mente gli scherani di Vladimir Putin, boiardi di Stato che detengono le leve del potere economico russo per grazia ricevuta. I loro nomi sono, perlopiù, sconosciuti. Tranne qualcuno, che ha unito la passione per i soldi a quella del calcio. Ma la loro forza è trainante. E non a caso, il giorno in cui è partito l’ordine di invasione dell’Ucraina, sono stati convocati in uno dei grandi saloni del Cremlino (quello dedicato a Caterina II) per ascoltare direttamente dalla voce del capo i motivi per cui il Paese entrava in guerra.
Nessuno di loro ha fiatato, ovviamente. Né ha sollevato obiezioni di sorta. Soltanto Aleksandr Shokhin, una sorta di presidente della Confindustria, ha detto qualcosa sulle regole delle criptomonete, ma unicamente perché il suo ruolo glielo imponeva. La lezione del passato ha consigliato (e imposto) a tutti il basso profilo. D’altronde, sin dall’inizio della sua ascesa al potere, a cavallo dei due secoli, Putin aveva spiegato agli oligarchi le regole del nuovo corso: loro, gli uomini business che avevano approfittato della dissoluzione dell’Unione Sovietica per arraffare imprese e denaro, avrebbero smesso definitivamente di entrare nelle questioni politiche e si sarebbero astenuti dall’accennare anche una semplice o parziale opposizione. In cambio, avrebbero potuto conservare ciò di cui si erano impadroniti: petrolio, gas, industria estrattiva, banche. Mettendosi, ovviamente, a servizio dello zar di San Pietroburgo.
Uno solo di quegli oligarchi disse no, scegliendo addirittura di finanziare i gruppi politici avversi a Putin: Mikhail Khodorkovskij, viceministro per l’Energia con Boris Eltsin, era il più potente e ricco di tutti; con la Yukos gestiva l’estrazione del petrolio e aveva un patrimonio personale stimato da Forbes in 15 miliardi di dollari.
In poche ore perse ogni cosa, compresa la libertà. Fu condannato prima a nove anni per frode fiscale, poi ad altri sette per appropriazione indebita. Oggi vive a Londra, dove si è “volontariamente” esiliato dal 2013 dopo aver promesso di lasciare per sempre la Russia. L’unico modo possibile per uscire di prigione.
L’inchiesta
Ma chi sono veramente questi oligarchi? Da dove vengono? E, soprattutto, quanto peso hanno sulla scena politica russa? Jacopo Iacoboni, giornalista della Stampa di Torino, ha dedicato una lunghissima inchiesta alla cerchia ristretta del potere di Mosca; un’inchiesta sfociata nell’ottobre dello scorso anno in un libro pubblicato da Laterza e scritto a quattro mani assieme a Gianluca Paolucci (Oligarchi. Come gli amici di Putin stanno comprando l’Italia). «Sono in tutto una cinquantina di persone, grandi ricchi la cui fortuna economica è legata ai favori del Cremlino - dice Iacoboni al Corriere del Ticino - grandi capitalisti di Stato in un sistema di finto capitalismo. Devono tutto alla loro vicinanza con Putin, anzi alcuni sono stati letteralmente creati dal presidente russo. Penso, ad esempio, ad Arkady Rotenberg, comproprietario con il fratello Boris del gruppo industriale Strojgazmontaž, la più grande società di costruzioni di gasdotti e linee elettriche della Russia. Rotenberg è entrato nel mondo del business e della finanza in coincidenza esatta con l’arrivo di Putin al Cremlino. Prima non aveva attività imprenditoriali di rilievo, si limitava a gestire il club di judo Yavara-Neva di San Pietroburgo, una palestra avviata in anni remoti all’interno di una triste palazzina sovietica in Kamennoostrovsky Prospekt 68 e oggi diventata megacentro di judo e yachting su Bychy Island, disegnata a forma di doppio occhio dalla Ingmar Architectural and Construction Bureau a cavallo della Neva. Rotenberg e il presidente erano amici fin dagli anni Sessanta. Putin sarebbe diventato il presidente del club di judo, Arkady il suo sparring partner».
Gli oligarchi, spiega ancora Iacoboni, «hanno accumulato fortune inestimabili che sono pronti a mettere a disposizione dei desiderata del capo». Nel frattempo, anche per confondere un po’ le acque, si muovono sui mercati internazionali investendo moltissimo negli immobili e in azioni filantropiche. Vogliono farsi passare per mecenati»: Alisher Usmanov, ad esempio, «diventato commendatore della Repubblica Italiana dopo aver donato 2 milioni di euro al Comune di Roma per il rifacimento della Sala degli Orazi e Curiazi nei Musei Capitolini, per il restauro della Fontana dei Dioscuri in piazza del Quirinale e del Foro Traiano». Proprietario del quotidiano Kommersant, comproprietario del secondo operatore di telefonia mobile russo, MegaFon e del gruppo Mail.Ru, la più grande società Internet del mondo russofono, Usmanov è anche azionista di maggioranza di Metalloinvest, un gigantesco conglomerato industriale russo. Già direttore generale di Gazprom Invest, ha detenuto per anni il 30% dell’Arsenal, un pacchetto azionario venduto di recente per oltre 720 milioni di euro. Secondo Forbes, nel 2021 aveva un patrimonio netto stimato di 22,6 miliardi di dollari.
«Questi uomini fanno affari per conto della Russia, sono businessmen e nello stesso tempo strumenti del potere in mano al Cremlino, che li utilizza per comprare influenza in Occidente - dice Iacoboni - Molti di loro sono ex spie ed è incredibile fino a dove sono arrivati: Evgeny Lebedev, ad esempio, proprietario con la sua Lebedev Holdings Ltd dei quotidiani inglesi Evening Standard e The Independent e del canale televisivo London Live. Il padre, Alexander, comandava il KGB a Londra quando Putin faceva lo stesso a Dresda. Nel luglio 2020 Evgeny, diventato nel frattempo cittadino britannico, è stato nominato baronetto su proposta del premier Boris Johnson (del quale è stato sostenitore e finanziatore) e fa quindi parte della Camera dei Lord. Il suo titolo completo è Barone di Hampton, nel distretto londinese di Richmond sul Tamigi, e di Siberia, nella Federazione Russa».