Migranti

Naufragio in Grecia, la zia di Alan Kurdi: «Si era detto mai più, nulla è cambiato»

In occasione della Giornata mondiale del rifugiato, 180 organizzazioni hanno firmato una lettera aperta: «Chiediamo indagini complete e indipendenti» – «Il Mediterraneo è una scena del crimine»
Il murale sulle rive del fiume Meno, a Francoforte, degli artisti Justus Becker, noto come COR, e Bobby Borderline. © Instagram (corone_artist)
Jenny Covelli
20.06.2023 14:45

«Il Mediterraneo non è soltanto un cimitero. È una scena del crimine». È la denuncia contenuta in una lettera aperta firmata da oltre 180 organizzazioni che si occupano di soccorso, diritti e accoglienza. Che contiene quattro richieste chiare rivolte alle autorità greche e all'Unione europea a seguito del naufragio in Grecia, una strage. E perché si faccia chiarezza fino in fondo sulle responsabilità. Una lettera diffusa oggi, nella Giornata mondiale del rifugiato.

Cosa chiedono?

Sono quattro le richieste. Primo: i governi e le istituzioni greche ed europee garantiscano lo svolgimento di indagini complete, approfondite e indipendenti su questi eventi. «È ora che ci sia completa trasparenza su quanto è accaduto e che i responsabili siano chiamati a risponderne. Questo include i funzionari che sono stati direttamente coinvolti negli eventi attraverso il processo decisionale, così come i leader politici che hanno facilitato e perpetuato le pratiche ostili alle frontiere esterne per anni. Deve essere garantito il diritto alla giustizia per le vittime e i loro cari». Secondo: il governo greco rilasci immediatamente i sopravvissuti del naufragio di Pylos dalle strutture in cui sono trattenuti e fornisca loro invece una sistemazione dignitosa e ogni tipo di supporto necessario, come una consulenza legale indipendente, un sostegno psicologico e la possibilità di comunicare con le famiglie e gli amici. «Inoltre, chiediamo il rilascio dei 9 uomini arrestati. Condanniamo la criminalizzazione delle persone in movimento, accusate di ingressi illegali e morti in mare. Queste accuse mirano a scagionare gli attori statali responsabili». Terzo: tutti gli Stati membri europei alle frontiere esterne smettano di utilizzare il tempo come un’arma, ritardando l’assistenza e il soccorso. «Inoltre, chiediamo indagini indipendenti e misure conclusive da parte della Commissione Europea contro la pratica sistematica dei respingimenti e della mancata assistenza in mare e a terra da parte degli Stati membri europei, come ampiamente dimostrato da organizzazioni e attivisti negli ultimi anni». Quarto e ultimo punto: l'Unione Europea e i suoi Stati membri forniscano rotte sicure e legali verso l'Europa come unica soluzione per evitare ulteriori perdite di vite umane in mare. «Il Sistema Europeo Comune di Asilo (CEAS), che erode ulteriormente il diritto di asilo nell'Unione Europea, non deve essere convertito in legge. Inoltre, chiediamo la creazione di un programma di salvataggio statale europeo, atteso da tempo».

Chi l'ha firmata

L'universo delle sigle di associazioni, comitati e ong è variegato. Le adesioni arrivano da almeno dieci Paesi. ResQ People Saving People, Sea Watch, Sea Eye, Humanity, Swiss Democratic Lawyers, Louise Michel, Mediterranea, Alarm phone, Abolish Frontex, Solidarité sans frontières, Medici del Mondo, il Fronte per i diritti economici e sociali tunisino, la Lega tunisina per i diritti umani, Refugees in Libia, Mem. Med, Iuventa, Asgi. E tantissime altre. Ma c'è anche la zia di Alan (Aylan) Kurdi, il bambino siriano di tre anni la cui immagine, nel 2015, scioccò il mondo. Alan Kurdi, a faccia in giù nella sabbia. Un'immagine di morte: un bimbo di neppure tre anni con la maglietta rossa, i pantaloncini blu e le scarpe allacciate. Il piccolo siriano è annegato ed è stato ritrovato sulla spiaggia di Bodrum, paradiso turistico della Turchia. Simbolo della tragedia dei migranti, che ha costretto le persone a guardare in faccia la tragedia. Simbolo della crisi migratoria in Europa.

La zia di Alan Kurdi, Tima Kurdi, è tornata con il cuore proprio all'immagine di suo nipote, quando ha sentito la notizia dell'ennesimo naufragio nell'Egeo, a 47 miglia nautiche da Pylos, nel sud del Peloponneso: «Mi fa tornare in mente il mio dolore, il nostro dolore. Ho il cuore spezzato. Ho il cuore spezzato per tutte le anime innocenti perse che non sono solo numeri in questo mondo. "Mai più" abbiamo sentito nel 2015, l'ho sentito innumerevoli volte. E cosa è cambiato? Quante anime innocenti sono state perse in mare da allora?». I numeri sono esorbitanti: «Dal naufragio di Lampedusa nel 2013 abbiamo visto almeno 27.047 morti nel Mar Mediterraneo».

«Cosa avete provato quando avete visto Alan a faccia in giù nella sabbia?»

Tima Kurdi, si rivolge quindi a chi (spera) leggerà la lettera aperta: «Cosa avete provato quando avete visto quell'immagine di mio nipote? Cosa avete detto, cosa avete fatto? Io, quando ho saputo dell'annegamento di mio nipote, sono caduta a terra piangendo e urlando più forte che potevo perché volevo che il mondo mi sentisse! Perché loro? Perché adesso? E chi sarà il prossimo?». La donna, da quella tragedia, ha deciso «di alzare la voce e di parlare per tutti coloro che non vengono ascoltati. E soprattutto per mio nipote, il ragazzo sulla spiaggia, Alan Kurdi, la cui voce non sarà mai più ascoltata».

Quindi, l'appello: «Per favore, non restate in silenzio e aggiungete la vostra voce alla mia. Non possiamo chiudere gli occhi e voltare le spalle a chi cerca protezione. Aprite il vostro cuore e accogliete le persone in fuga che arrivano alla vostra porta di casa. La politica europea in materia di migrazione deve cambiare ora. Voi avete il potere di decidere se devono prendere strade pericolose perché non c'è altra via d'uscita. Fate qualcosa!».

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