L'analisi

Nel mondo globale e interconnesso la frontiera va totalmente ripensata

Presentato a Lugano l’epaper di «Coscienza Svizzera» dedicato alla «governanza» delle aree di confine - Gli esempi di Ginevra e di Basilea fanno da modello a un sistema che il Ticino può raggiungere dando maggiore centralità al Cantone - Serve però un cambio di paradigma
La governance transfrontaliera, in Ticino, appare debole, almeno secondo Coscienza Svizzera. ©Gabriele Putzu
Dario Campione
14.10.2024 19:09

«Le frontiere sono le cicatrici della storia. Un sasso, che ostacola il processo di costruzione dell’Europa». Basterebbe forse questa affermazione per comprendere il senso più autentico della conferenza stampa convocata oggi da Coscienza Svizzera a Lugano per presentare l’ultimo epaper dell’associazione: Ripensare la governanza transfrontaliera svizzera. Scenari e proposte.

La frase è di Remigio Ratti, economista, storico dei trasporti, già consigliere nazionale del PPD e direttore generale della RSI, nonché autore dello stesso epaper. Uno dei ticinesi più attenti alle dinamiche europeiste. Uno dei pochi a non aver paura di parlare dell’Europa in termini non conflittuali.

La riflessione di Ratti parte da un assunto difficilmente contestabile: la collaborazione transfrontaliera, soprattutto nell’area insubrica, è stata sin qui insufficiente. Contrariamente a quanto accade a Ginevra o a Basilea, in Ticino la frontiera è tuttora, troppo, una «linea di separazione», e soltanto in alcuni casi una «zona di contatto in cui favorire processi di integrazione». Mentre in realtà, oggi, la frontiera dovrebbe essere un’area «aperta», anche come conseguenza della «rivoluzione dei trasporti, delle telecomunicazioni e della digitalizzazione, fino all’intelligenza artificiale».

Scrive Ratti: «Gli spazi e le politiche dei poteri istituzionali evolvono e devono fare i conti con i campi di forza geopolitici e funzionali, con i processi d’interrelazione sociali, economici e demografici. In particolare, i processi di globalizzazione delle economie e della società nell’era del digitale ridimensionano e allo stesso tempo superano le dimensioni di spazio e di tempo tradizionali, esigendo impostazioni diverse e nuove nella lettura del ruolo delle frontiere e dei loro impatti».

Questi impatti, che l’economista ticinese chiama «effetti-frontiera», sono «molteplici e mutevoli, nel tempo e nello spazio», e soprattutto «non più soltanto riduttivamente riconducibili a quelli delle frontiere statuali». Senza una nuova «governanza», ovvero la capacità di collaborare «fondata su una migliore integrazione dell’azione delle istituzioni pubbliche a tutti i livelli», non è possibile affrontare in modo compiuto i processi decisionali futuri.

Un discorso complicato da fare in Ticino, territorio che soltanto da pochi anni è uscito - ma forse non del tutto - da un rapporto «turbolento» con la vicina realtà italiana. Un discorso che presuppone un «cambio di paradigma» - così lo definisce Oscar Mazzoleni, politologo, direttore dell’Osservatorio della vita politica regionale all’Università di Losanna - affatto scontato: «È difficile far percepire questo tema all’opinione pubblica ha detto ieri Ratti - non mi illudo che tutto si possa risolvere subito, ma non possiamo nemmeno restare vittime dei sovranismi. Continuare a difendersi a riccio è inutile».

La «frontiera-prisma»

Coscienza Svizzera propone, quindi, «azioni a livello federale e cantonale per migliorare la cooperazione transfrontaliera. Queste includono lo sviluppo di un quadro legislativo che riconosca le caratteristiche uniche e peculiari dei cantoni di frontiera, i quali affrontano problemi a loro specifici». Un migliore riconoscimento istituzionale «comporterebbe anche una maggiore considerazione dei costi derivanti dalla posizione di frontiera nell’ambito della perequazione finanziaria - dice Oscar Mazzoleni - mentre la questione del riconoscimento dei cantoni di frontiera, quella dei rapporti con Berna, delle relazioni intercantonali e dei flussi finanziari rappresentano tutte componenti della medesima sfida».

Interessante ed evocativa la rappresentazione figurata della nuova frontiera, che Remigio Ratti associa al prisma. «Il prisma si riferisce a ciò che è in grado di scomporre il caleidoscopio di una realtà complessa per consegnarla, senza filtri, all’osservatore - scrive Ratti - Noi siamo in presenza di effetti-frontiera dalle molte sfaccettature determinate, per ciascuna area, da scenari specifici», ma anche da risposte prese a livelli istituzionali ed economici superiori, che confliggono con gli interessi territoriali. La governanza della «frontiera prisma» dovrà quindi avere «una strategia multilivello», dovrà cioè «promuovere il riconoscimento delle aree di frontiera e interpretare diversamente la politica, coordinando le decisioni dal basso verso l’alto, dai livelli istituzionali e sociali del territorio a quelli europei».

Ovvio che la necessaria premessa a tutto ciò, ha detto Oscar Mazzoleni, «è la volontà politica, cui va associata una rinnovata capacità negoziale». Ma, soprattutto, il già citato cambio di paradigma. «Troppo spesso in Ticino si viaggia su un binario manicheo, si ragiona cioè ancora guardando alle cose come fossero bianche o nere. Da questo sistema bisogna uscire». Una collaborazione transfrontaliera buona ma debole «non permette di affrontare alcuni effetti-frontiera di dimensioni più grandi - ha concluso Mazzoleni - per fare in modo che il Ticino diventi motore della collaborazione transfrontaliera, come già succede a Basilea o a Ginevra, bisogna ridare centralità al Cantone».