Nel paese dove non si fa più credito

Il ristorante Giardinetto non si fa più credito da un pezzo. «Ho avuto brutte esperienze, ecco perché» lamenta la titolare Anna Maria Di Vietri. «Gente che consuma e poi sparisce. Non hanno i soldi nemmeno per un caffè».
È il primo locale aperto che si incontra entrando a Bodio, tra tante serrande abbassate. M non tira una buona aria. Il lavoro, dicono dietro il bancone, è sceso tanto. «Settimana prossima chiudiamo anche noi».
La classifica
Benvenuti nel paese con il tasso di indebitamento più alto del Ticino. ABodio è indebitata quasi una persona su sei, secondo un’indagine dell’agenzia Crif: oltre 160 abitanti su 1000 contando anche anziani e bambini. Solo tre comuni in Svizzera interna (nei cantoni di Berna, Vaud e Neuchâtel) sono messi peggio.
Per le strade del paese è facile imbattersi nelle conseguenze. Una è la diffidenza verso i cattivi pagatori - «ormai ci si fa il callo» - tra le attività economiche ancora attive. La signora Anna Maria è felice di andare in pensione. «Una volta ci si poteva fidare, la gente a fine mese riceveva lo stipendio e in paese ci si conosceva tutti» lamenta. «Ora non è più così».
Diffidenti per abitudine
Anche alla carrozzeria Torpedo la prudenza è la regola d’oro. Il titolare Michele Dantino è un uomo all’antica: in passato ha accettato di essere pagato con regali («un cliente mi ha dato una bicicletta, per dire») al posto dei soldi, o anche solo con promesse. «A volte ti fai impietosire, e ci caschi» dice sorridendo. Gli affari vanno bene: è il secondo datore di lavoro del comune - 16 dipendenti - e il cortile è pieno di auto in attesa di riparazione.

Ma senza le assicurazioni a coprire i costi degli interventi, dovrebbe chiudere bottega anche lui. «La clientela privata è inaffidabile. Mi è capitato di tenere un’auto bloccata per cinque mesi» ricorda il titolare Michele Dantino. «Alla fine il proprietario l’ha riavuta ma non ha mai pagato, e non risponde al telefono».
I casermoni
Un’altra particolarità è un certo numero di persone «a spasso» anche in una mattina infrasettimanale, in teoria lavorativa. «Mio figlio è un lazzarone» dice serio Tahir Talai, 80 anni, ex operaio della Monteforno che - come molti suoi ex colleghi - vive nei «casermoni» popolari che affacciano sulla cantonale.
«Una volta qui era tutto diverso» rimpiange il pensionato, arrivato dal Kosovo nel 1971 assieme a decine di parenti. «Il lavoro non mancava e neanche la voglia di lavorare. Ma le nuove generazioni sono di un’altra pasta».

Alì Talai, 40 anni, dà una pacca sulla spalla al padre e la mette sul ridere. «Lui si è spaccato la schiena tutta la vita nei forni, per questo parla così. Io ho dovuto reinventarmi» dice chiedendo, per favore, di non fotografarlo in tenuta casalinga (ciabatte e pantaloncini). Anni fa ha avuto un infortunio, ora vive di lavoretti. «Ce n’è tanti qui così - confida - ma pochi ne vogliono parlare».
Giuseppe Traviglia, 52 anni, si avvicina chiedendo se per caso c’è del lavoro per lui. «Potete aiutarmi?». Saldatore diplomato, è rientrato dalla Sicilia a Bodio dopo un’assenza di quindici anni e non la riconosce più. «Una volta in due o tre giorni trovavi un impiego» dice. «Mo’ sono due mesi che cerco, ma niente. Ho finito i risparmi e mi tocca tornare al Sud a mani vuote».
Dove tutto costa meno
Il lavoro, il lavoro: è il problema principale a Bodio assieme alla polvere di grafite, che la pensionata Catena Carboni raccoglie con lo straccio sulla soglia del palazzo. «Non finisce mai - sbuffa - è un continuo pulire». Arriva dalla fabbrica di grafite Imerys, l’unica rimasta in paese. Secondo alcuni proprio la polvere è all’origine della sfortuna di Bodio: quando è arrivata - la Imerys ha preso il posto della «gloriosa» Monteforno negli anni ‘90 - è iniziato il declino.
«Guardi, guardi qui lo straccio come si annerisce» dice Catena mentre strofina di buona lena. «È così tutte le mattine». Mentre altre donne spazzano soglie e balconi, il marito di Catena taglia l’erba del prato. Anche lui lavorava alla Monteforno, dove oggi sorge lo stabilimento Imerys («la polvere maledetta viene da lì), e ricorda i begli anni ‘70-’80. «C’erano sedici ristoranti e due supermercati, non so quanti bar, due macellai» conta Francesco Carboni. «Ma di mattina non c’era tutta questa gente a spasso. È chiaro che qualcosa non va».
Oggi restano gli immobili sfitti e gli affitti bassi. Entrambi i dati sono a livelli record e attirano a Bodio nuovi abitanti (tornati a crescere dopo anni in calo) e non per forza disoccupati. Valentina, infermiera trasferitasi appena dieci giorni fa da Roma, racconta che i colleghi a Bellinzona la prendono in giro quando dice che ha preso casa a Bodio. «Qui però i contratti d’affitto sono più flessibili e molto meno cari, e la gente è molto cortese» spiega mentre parcheggia vicino all’unico negozio rimasto in paese. È una nota catena «dove tutto costa meno» e anche questo non è un caso.
«Ma qui si sta bene»
«Vivacchiare» è un’arte del resto e a Bodio è più facile che altrove. I debiti? Anche se un passante su sei rientra nella statistica - «certo che ne ho avuti, anche qualche precetto» - è un problema con cui dopotutto s’impara a convivere. Il sindaco Stefano Imelli se n’è fatto una ragione e sottolinea come, in realtà, le persone in assistenza sono dimezzate in pochi anni e a Bodio non mancano un medico di base e una farmacia, per dirne una.
«La gente ama lamentarsi e per carità, non nego che una parte della popolazione sia in difficoltà» ammette. «Ma dobbiamo smetterla di guardare il bicchiere mezzo vuoto». Le fatture e le tasse non saldate al Comune, ogni anno, ammontano a circa 30mila franchi e sono «nella norma» sottolinea il sindaco. Poi, che i debitori possano essere meno solleciti verso i creditori privati «è immaginabile» concede. Con un po’ di sforzo si può anche immaginare Bodio come un paese non così invivibile. Senza i debiti e la polvere, evidentemente.