Lo scenario

Nella «guerra» dei satelliti non c'è soltanto Elon Musk

Assieme all’azienda del patron di Tesla, il business della trasmissione dati dallo spazio interessa almeno un altro grande nome dell’economia USA, Jeff Bezos, oltre al Governo cinese e all’Unione europea - Il pericolo della concentrazione in poche mani del potere digitale
©Craig Bailey/FLORIDA TODAY
Dario Campione
13.01.2025 06:00

Oltre a riportare sulla scena principale della politica mondiale un ex presidente, sul cui declino in troppi forse avevano prematuramente scommesso, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha collocato in una posizione centrale il suo più importante finanziatore, il miliardario di origini sudafricane Elon Musk. Il patron di Tesla e di SpaceX ha donato alla campagna repubblicana la stratosferica cifra di 259 milioni di dollari. E si è assicurato, in questo modo, anche un ruolo istituzionale nella futura amministrazione di Washington.

Musk è ormai una sorta di totem. Rassicurante e propiziatorio per una parte, inquietante e minaccioso per l’altra. Tutto ciò che lo riguarda diventa, inevitabilmente, oggetto di discussione. E di divisione. A partire, ovvio, dalle ricadute possibili della rincorsa spaziale, della quale è indubbio protagonista.

Il caso Italia

Tra le questioni di cui più si discute c’è la possibilità che lo stesso Musk, attraverso Starlink, possa in futuro assumere posizioni monopoliste sulla trasmissione dati. Ha fatto scalpore, la settimana scorsa, la notizia che l’Italia intenderebbe stipulare un contratto del valore minimo di 1,5 miliardi di euro per l’utilizzo temporaneo di Starlink, anche in settori strategici e militari. In realtà, però, Elon Musk non è l’unico attore a muoversi sul palcoscenico della comunicazione satellitare. È sicuramente il più noto. E quello politicamente più esposto. Ma non il solo.

Prima di ogni altra riflessione, bisogna quindi descrivere con maggiore chiarezza il quadro generale. Cominciando proprio da Starlink. Spiega al CdT Roberto Corvaja, docente di Fondamenti di telecomunicazioni nel Dipartimento di Ingegneria dell’informazione dell’Università di Padova, che «Starlink è ancora, al momento attuale, un servizio di accesso a Internet: l’utente abbonato a Starlink si collega a una costellazione di satelliti, circa 7mila, collocati nella cosiddetta orbita bassa, a circa 500 km di distanza dalla Terra, la stessa su cui si muove la stazione orbitante internazionale. Un centinaio di centri, distribuiti in vari continenti, fa da hub per l’accesso a Internet. Quasi sicuramente i satelliti sono anche collegati tra loro, con un sistema di comunicazioni ottiche, anche se su questo si hanno pochi dettagli». Le informazioni in proposito sono scarse.

È noto come l’obiettivo di Starlink sia di giungere a una copertura praticamente totale della Terra: nel giro di qualche anno, la sua costellazione potrebbe quindi arrivare o addirittura superare i 31 mila satelliti. Al momento attuale, insiste tuttavia Corvaja. Perché il futuro è aperto. Soprattutto se si pensa che «si sta ormai lavorando alla costruzione di mini e addirittura nano-satelliti, i quali possono arrivare a pesare anche pochi chilogrammi». Ovvero, circa 100 volte meno di quelli oggi in servizio.

Peraltro, ed è questo un elemento di cui si parla forse troppo poco, sopra le nostre teste non c’è soltanto la costellazione di Starlink. La gabbia dei 7 mila satelliti di Elon Musk non è, insomma, l’unica ad avvolgere oggi il pianeta.

«Anche altri hanno capito che intorno alla trasmissione dati dallo spazio c’era un potenziale business - dice al CdT Angelo Consoli, docente responsabile di Reti e tecnologie di comunicazione avanzate all’Istituto sistemi informativi e networking della SUPSI SUPSI e al Master of Science in Engineering presso la HES di Losanna - e si sono buttati su di esso per fornire ovunque una copertura Internet ad alta velocità. Mi riferisco a vari progetti nati tra il 2007 e il 2010: quello del patron di Amazon Jeff Bezos, ad esempio, il Blue Origin; e il progetto alternativo a Starlink che si chiama Kuiper e che prevede di mandare in orbita circa 3 mila satelliti. C’è poi Oneweb, progetto più ‘europeo’ legato a Eutelsat e Airbus e poi adottato un mese e mezzo fa dall’Unione europea per creare le basi di IRIS², costellazione europea prevista con circa 300 satelliti».

Senza considerare quanto c’è a 36 mila km dalla Terra, ovvero i “vecchi” satelliti geostazionari, l’affollamento spaziale è impressionante.

«La Cina con il progetto Thousand Sails, e la Corea del Sud con AstroSpace sono altri due attori di prim’ordine che intendono realizzare a breve una propria costellazione di satelliti, di cui purtroppo non è dato sapere molto - dice ancora Consoli - la Cina, in particolare, vuole ridurre il gap con Starlink e ha l’obiettivo di mandare in orbita bassa 15 mila satelliti per la trasmissione dati entro il 2030. Dietro questa sfida è facile vedere le preoccupazioni di Pechino per la sua sicurezza nazionale».

«Lo spazio è di tutti»

Come è potuto accadere tutto questo? Come è stato possibile, per alcuni, conquistare posizioni di dominio nel campo della trasmissione dati satellitare? E, soprattutto, quali possono essere le conseguenze di simili scelte? «Lo spazio è un campo aperto sia a iniziative private sia a iniziative governative o pubbliche - dice ancora Roberto Corvaja - mi riferisco ad agenzie quali la NASA o l’ESA, e ad altre simili. Per quello che riguarda l’Internet satellitare, Elon Musk, e non solo lui, ci ha creduto, e ha investito molto nel suo progetto. Grandi Paesi o grandi agenzie non hanno invece ritenuto necessario fare altrettanto. Non hanno ripetuto, cioè, quanto realizzato in passato con i sistemi di geolocalizzazione: penso al GPS americano, al Glonass russo o al Galileo dell’Unione europea. Così, adesso, possiedono servizi di posizionamento ma non di navigazione Internet». Alcuni privati, aggiunge Corvaja, «stanno poi tentando di sviluppare pure reti satellitari per l’osservazione della Terra, che è anch’essa molto strategica. In ogni caso, avere nel frattempo conquistato il controllo delle comunicazioni Internet è già tantissimo. A mio avviso, la concentrazione nelle mani di uno solo, o di pochi, di un potere così grande deve preoccupare, non è rassicurante. L’accesso alle informazioni è il business del futuro. Lo abbiamo visto in Ucraina, e altrove: anche la guerra, quella sul terreno, si combatte sempre di più proprio con le informazioni».

Il World Economic Forum, dice Angelo Consoli, «quando si incontra a Davos, ogni anno, stila un Global Risk Report Index, un indice dei rischi globali. Dalla sessione del 2021, in questa mappa è apparso, secondo me molto in ritardo perché poteva esserci già da 6 o 7 anni, la Digital Power Concentration, ovvero la concentrazione del potere digitale. Una definizione che può voler dire comunicazioni, satelliti o anche il cloud, l’archiviazione dei dati nelle memorie virtuali. Se a livello globale le informazioni o i dati sono in mano a poche aziende o a pochi miliardari e ultra-miliardari, credo che questo possa essere un problema».

L’evoluzione tecnologica «non si ferma - aggiunge Consoli - mi spaventa tuttavia l’uso sconsiderato della tecnologia. Ecco, basta pensare al numero di satelliti attulmente in orbita, oltre 10 mila, e ci si rende conto che lassù stiamo esagerando. Questo segue comunque l’evoluzione dell’umanità, ci si accorge come prima essa si muoveva soltanto sulla crosta terrestre, poi ha cominciato a muoversi nel mare, poi in aria e infine verso lo spazio. Il nostro è un confine mobile, un confine che si sposta verso una direzione precisa. Il punto è che il modo nel quale ci stiamo muovendo denota sempre di più, e questo lo tratto nei miei corsi da un po’ di anni, uno spostamento del baricentro, una trasformazione dei cosiddetti attori principali. Ciò che facevano le istituzioni, i consorzi internazionali o anche aziende private di una certa dimensione, adesso è appannaggio di imprese che fanno capo a pochissimi ultra-miliardari. Persone che hanno il potere di decidere cosa fare della propria infrastruttura, anche quando la stessa ha ricadute su milioni di cittadini».

Di fronte alla necessità di «un utilizzo strategico di Internet, ma chiamiamolo per quello che è di un canale satellitare di comunicazione dati - conclude Consoli - tutti possono comprendere l’effetto della decisione unilaterale del fornitore di interrompere il servizio e la conseguente necessità di investire in tecnologie per riconquistare una sovranità tecnologica che ci sta sfuggendo».