Nell’inferno del boschetto di Rogoredo

MILANO È la più grande piazza di smercio di sostanze stupefacenti del Nord Italia e, pare, d’Europa. Lo attestano i rapporti della Polizia italiana costellati di ripetute azioni di controllo degli spacciatori in zona, ma anche, ovviamente, i numerosi servizi giornalistici pubblicati dai media locali e nazionali, a scadenza più o meno regolare, su questo sinistro reticolo della periferia milanese da tempo consegnato ai tossici e alla criminalità. Il boschetto di Rogoredo in via sant’Arialdo, nella zona sud-est della Città, è una sorta di terra di nessuno, una macchia nera d’illegalità, nella quale perfino una droga ritenuta «vecchia» come l’eroina, che si pensava passata ormai in disuso tra i consumatori delle nuove generazioni, è tornata a fare capolino in virtù di prezzi «low cost» che l’hanno rilanciata, con un tetro e anacronistico sussulto. Uno spazio da incubo, dove da anni ormai, nonostante le numerose incursioni delle forze dell’ordine – in primis Polizia di Stato e Carabinieri - fanno capolino, ogni giorno, centinaia di tossici. L’ho visitato per due volte in una settimana, toccando con mano l’entità del fenomeno.

Mi incammino lungo via sant’Arialdo nel primo pomeriggio di un lunedì dal cielo cupo, nel quale la presenza del cartello affisso lungo la via che ricorda il santo, non ha nulla, ma proprio nulla, di aulico. Un tassista mi dice di seguire il percorso parallelo alla ferrovia. Sulla strada che parte dalla stazione di Rogoredo e che si incunea a ridosso dei binari, mi vengono incontro donne e uomini con chiari problemi di tossicodipendenza. Alcuni sono soli, altri in coppia. Camminano lentamente e con lo sguardo perso. C’è chi va e chi viene, chi ha consumato uno shot di «nera» e chi lo sta per fare a breve. Poco dopo, passo sotto un ponte pedonale, dove si intravedono alcuni personaggi ambigui compiere «contrattazioni» sulle scalinate, rivolgendo occhiate sospettose, qua e là, in direzione della strada. Siringhe e brandelli di vestiti logori, gettati tra l’asfalto e le erbacce, sono il preludio alla devastazione che mi si presenterà poche decine di metri più avanti. Là dove i treni, oltre le griglie di cemento, prendono velocità, si scavalca la barriera stradale dalla parte opposta della via per addentrarsi nel boschetto dove si presenta uno spettacolo desolante. Una donna magrissima cammina trascinando il passo. Seduto su un albero si è accomodato un ragazzo con i vestiti logori, i capelli arruffati e la pelle del volto piena di fiacche rosse, che si inietta l’eroina in un braccio. Dalla boscaglia alcuni uomini con lo sguardo da zombie mi chiedono, urlando, se voglio comperare «coca ero o una spada». Il più giovane ha la pelle scura, l’altro è un italiano che parla con voce tremolante. «Solo dieci euro la dose... roba buona». Il loro punto di vendita funge anche da rifugio per la notte: una piccola tenda di fortuna con tetto di plastica e interno con sacchetti della spazzatura, sistemati alla meno peggio, per contenere il freddo e l’umidità della zona, soprattutto quando è buio.

Ho un telefonino in mano, qualcuno guarda nella mia direzione con sospetto. «Mettilo in tasca, sei uno sbirro?». «Ma stai scherzando?» gli rispondo. «Se ti becca qualcuno che pensa che giri un video, per te finisce male» è il suo ammonimento. È un ragazzo giovane con il fare rude, ha una siringa in mano. Si chiama Francesco e dice di essere in crisi di astinenza. Ha il naso ferito e un ematoma sul volto. «È stato un africano alla stazione centrale, mi hanno circondato in tre. Uno mi ha preso a pugni, ma mi sono difeso. Mi hanno rubato lo zainetto: avevo dentro pantaloni e un paio di calze, sono scappati e ora non ho più nulla». «Vuoi cocaina o eroina? Dai ti porto dai calabresi, si compera bene...». Francesco ha 18 anni, padre della provincia di Napoli e madre di Salerno. Dove stanno? «Mio padre è in carcere, mia madre (si commuove), alla buonanima». Una vita difficile, quella di questo giovane consumatore di stupefacenti. «Dormo in giro – prosegue nel suo racconto – un po’ alla stazione, un po’ qui vicino. Ogni tanto mi faccio una doccia alla Caritas». Davanti ai cartelloni elettronici degli orari dei treni mi dice di aspettarlo «un momento». Si alza e avvicinandosi al sacchetto della spazzatura di colore azzurro delle ferrovie, ci mette sopra la testa e vomita dentro ripetutamente. «Ho mangiato del sushi e mi è rimasto sullo stomaco poi ho preso freddo». Francesco mi guarda in modo assente. «Vorrei un lavoro, qui nessuno ti aiuta. È tutta gente cattiva. Stasera andiamo a mangiare una pizza?». Gli dico che ho un impegno. E si ributta in direzione bel boschetto.

La zona di spaccio, da qualche tempo, si è frammentata. Da quando, negli ultimi mesi, Prefettura e Questura hanno ordinato un’azione a tutto campo contro i trafficanti, gli spacciatori si sono spostati verso San Donato Milanese, dove la tangenziale ovest si incrocia con l’autostrada. Una parte di essi si ritrova nello spazio alternativo di via Orwell, in fondo alla strada che corre parallela alla ferrovia, dove ogni giorno è tutto un via vai di persone di ogni età in cerca di una dose. Provengono da tutta Italia (non mancano gli stranieri) per rifornirsi dai pusher, mentre i controllori di questo squallido business appaiono e scompaiono, per cercare di eludere le retate dell’Antidroga. Una barriera di cemento costruita per impedire l’accesso dei trafficanti alla spianata è stata forata per consentire di raggiungere velocemente la «piazza» di vendita. Tra i mattoni è stato aperto un varco, successivamente cementato dagli operai dell’autostrada Milano-Serravalle, ma qualcuno lo ha riaperto in quattro e quattr’otto sfondando il muro. C’è chi costruisce e chi demolisce: sembrano queste le regole del gioco. È la triste parodia della realtà.
Proprio a causa del forcing messo in atto dalla polizia, gli attori di questo vero e proprio teatro dell’orrore entrano ed escono con frequenza dai commissariati (particolarmente sollecitato quello di via Mecenate), dove non di rado vengono loro sequestrati droga, denaro, telefonini e «arnesi» del mestiere. Il più delle volte, tuttavia, si ritrovano subito a piede libero, pronti a immergersi di nuovo nella compravendita a cielo aperto, in un vortice duro a morire e difficilissimo da stroncare.
IL CONSUMO DI DROGA
IN ITALIA E IN SVIZZERA
Nella graduatoria europea del consumo droghe l’Italia occupa una delle prime posizioni, con il 22% degli adulti fra i 15 e i 64 anni che nel 2017 ha fatto uso di una qualche sostanza. È quanto emerge dal più recente rapporto redatto dall’EMCDDA (Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze) secondo il quale l’Italia si colloca in terza posizione di questa poco gratificante classifica, alle spalle di Repubblica Ceca e Francia. Se poi si considera il consumo di cannabis la Penisola è in seconda posizione a pochissima distanza dalla Francia, quarta per assunzioni di cocaina. La sostanza più utilizzata, come detto, è la cannabis consumata più o meno saltuariamente dal 20,7% dei cosiddetti giovani adulti, seguita da cocaina (1,9%), ecstasy e anfetamine (1,2%) ed eroina i cui utenti a rischio - stando al rapporto dell’Osservatorio - sono all’incirca 200.000. Un dato estremamente preoccupante mitigato però da un elemento significativo: i morti per overdose, nella Penisola, sono tra i più bassi d’Europa essendo scesi nell’ultimo decennio da circa 500 all’anno ai 266 registrati nel 2016 (ultimo anno di rilevazione): un numero nettamente inferiore rispetto a buona parte delle altre nazioni dell’UE, come Gran Bretagna, Scandinavia, Paesi baltici e Germania che si ritrovano ai vertici di questa drammatica statistica.

Più difficile inquadrare la situazione nel nostro Paese in quanto mancano dati oggettivi sul consumo di droghe: quelli disponibili si riferiscono infatti o ad indagine telefoniche (la cui attendibilità non è altissima) o ai rapporti di polizia che rilevano solo le infrazioni alla legge sugli stupefacenti rilevate. Comunque stando ai più recenti rapporti elaborati dal Monitoraggio svizzero delle dipendenze (www.suchtmonitoring.ch) la cannabis è di gran lunga la sostanza più consumata nel nostro Paese. Sulla base di indagini compiute, oltre un terzo delle persone sopra i 15 anni abitanti in Svizzera l’ha già provata e il 3,1% ha spontaneamente dichiarato di farne un uso corrente. Altrettanto marcata è la diffusione della cocaina il cui consumo è più che raddoppiato negli ultimi cinque anni. Qui i dati sono del già citato Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze che assieme all’Istituto di ricerca del politecnico di Zurigo ha misurato la concentrazione dei residui di droga nelle acque reflue nelle principali città europee. Ciò che emerge è che a Zurigo, lo scorso anno, sono stati consumati quasi quattro grammi al giorno di cocaina per 1000 abitanti (cinque anni fa il consumo per 1000 abitanti era di 1,76 grammi): un dato che pone la città sulla Limmat al secondo posto su 60 città europee, superata solo da Barcellona. Nei primi dieci posti di questa classifica ci sono anche San Gallo (quarta), Ginevra (quinta), Basilea (ottava) e Berna (nona). La cocaina, insomma, pare diffusissima: «Ne fanno uso artigiani, casalinghe, insegnanti, cuochi, persone di tutte le classi sociali. La cocaina si è spostata dall’alta società, diventando “droga popolare”», spiegano i responsabili dello studio. Meno popolare» fortunatamente, è il consumo degli oppiacei, categoria comprendente sostanze naturali e sintetiche con proprietà simili alla morfina, di cui l'eroina è la più utilizzata come farmaco. Un sondaggio del Monitoraggio svizzero delle dipendenze datato 2016 rivela che lo 0,7% degli intervistati ha dichiarato di aver assunto eroina almeno una volta anche se la percentuale di chi ha dichiarato di consumarla abitualmente è stata pressoché vicina allo zero (una sottostima di questi dati è tuttavia molto probabile per evidenti ragioni). In merito, infine all’assunzione di LSD, ecstasy, velocità o ketamina un sondaggio del 2016 indica che l’1% e il 2% dei quindicenni ha dichiarato di aver assunto anfetamine o altri stimolanti simili almeno una volta nella vita. Dati come i precedenti, tuttavia, sono da prendere con le pinze e sostanzialmente contrastano con i rapporti di polizia che, solo nel 2017, segnalano ben 37.488 infrazioni rilevate alla Legge federale sugli stupefacenti.