«Nessuna scorciatoia sulle pensioni»: il referendum finanziario va al TF
«Riteniamo che il referendum finanziario obbligatorio vada combattuto». Detto, fatto: l’associazione Rete in difesa delle pensioni (ErreDiPi), tramite l’avvocato Filippo Gianoni, ha inoltrato un ricorso al Tribunale federale contro la decisione del Gran Consiglio del 17 ottobre scorso di vincolare le misure di compensazione (volte ad attenuare gli effetti del taglio del tasso di conversione agli affiliati all’Istituto di previdenza del Canton Ticino) a un referendum finanziario obbligatorio.
No alle corsie preferenziali
Lo strumento del referendum finanziario obbligatorio, di fatto, esclude la «classica» raccolta firme perché porta per direttissima un oggetto all’esame del popolo. Una decisione, quella fatta valere in aula da UDC e Lega con l’appoggio del Centro, sulla quale ErreDiPi non ci sta. Pur favorevole in linea di massima alle scelte del Parlamento sul futuro dell’IPCT (anche se non sono mancate le critiche), l’associazione ritiene infatti che sul tema non debbano esserci «scorciatoie». Di qui, appunto, il ricorso al Tribunale federale. Inoltre, ricorda ancora ErreDiPi, il ricorso davanti ai giudici di Losanna serve anche per fare chiarezza una volta per tutte. Infatti, «la perizia del Consiglio di Stato ha dichiarato non sottoponibili le misure di compensazione a referendum finanziario obbligatorio». Di parere opposto, invece, la perizia giuridica chiesta dal Gran Consiglio. «Sarebbe servito un terzo parere. Non l’hanno chiesto, lo chiediamo noi», chiosa l’associazione.
Una data da ricordare
Prima di addentrarci nelle motivazioni espresse nelle 15 pagine del ricorso, è utile ricordare che cos’è il referendum finanziario. Questo strumento, approvato due anni fa alle urne dai ticinesi, può essere attivato dal Gran Consiglio (con il voto favorevole di almeno un terzo dei deputati presenti e almeno 25 parlamentari) per spese uniche superiori ai 30 milioni di franchi e per spese annuali superiori ai 6 milioni. Da notare che prima del voto in aula sull’IPCT del 17 ottobre, il referendum finanziario obbligatorio non era mai stato attivato in Ticino.
«Viola i diritti politici»
Bene. Detto questo, vediamo i contenuti del ricorso datato mercoledì 15 novembre. I ricorrenti lamentano innanzitutto «la violazione dei diritti politici». Questo perché, come spiegato nel merito, «la decisione di sottoporre le modifiche della legge sull’Istituto di previdenza del Cantone Ticino al referendum finanziario obbligatorio viola i principi stabiliti dalla giurisprudenza del Tribunale federale in materia di spese vincolate e nuove, e dunque i loro diritti politici». L’oggetto del ricorso è dunque «unicamente la referendabilità della spesa e della modifica complessiva».
Una questione di spesa
Il nocciolo della questione, come visto, riguarda l’interpretazione che si fa della voce «spesa». I ricorrenti, infatti, sostengono che le misure di compensazione approvate dal Parlamento non rappresentino una spesa nuova, e dunque non potrebbero essere vincolate a un referendum finanziario obbligatorio. Uno strumento, come evidenziato nel ricorso, che data la sua recentissima introduzione «è disciplinato in modo ‘‘rudimentale’’». Pertanto, per stabilire «se si tratta di una spesa o di un investimento, di spesa vincolata e di spesa nuova occorre riferirsi alla prassi del Tribunale federale».
Soglie non superate
I ricorrenti, inoltre, insistono sul fatto che il referendum finanziario obbligatorio debba essere escluso per il mancato superamento delle soglie previste (6 milioni di franchi l’anno). «L’unica eventuale spesa che potrebbe essere vincolata al referendum finanziario obbligatorio è l’aumento dal 2% al 3% del contributo di risanamento sui salari assicurati a carico del datore di lavoro». Un 1% che, forse, potrebbe ricadere alla voce «spesa» per lo Stato. Ma attenzione: i ricorrenti sottolineano altresì come non si tratti comunque di una spesa determinata e chiara. Infatti, «si modificano unicamente le percentuali dei contributi già previsti per legge». Come evidenziato nel ricorso, va dunque anche stabilito se la modifica legislativa del 17 ottobre costituisca una spesa o un investimento. Nel caso concreto, l’unica «spesa» è costituita dal trasferimento di quell’1% di contributo straordinario a carico dello Stato. «Mentre gli altri prelievi rimangono tali come nella vecchia legge».
Infine, un altro aspetto critico, a mente dei ricorrenti, è sapere se la spesa sia vincolata (prevedibile), e dunque non aderente al referendum finanziario obbligatorio. «È manifesto che il prelievo dei contributi è già previsto nella legge». Su questo punto, scrive ErreDiPi: «Non si tratta di una spesa libera, effettuata su un progetto nuovo; si tratta di una conseguenza diretta di impegni presi dal Parlamento nel 2012. Si tratta di contributi necessari per onorare un contratto di lavoro». Ecco che allora, visti tutti gli argomenti fin qui sollevati, il referendum finanziario obbligatorio è stato attivato «a torto e in violazione dei diritti politici dei ricorrenti», conclude il ricorso.
L’UDC resta a guardare
Questi i motivi e il contenuto del ricorso presentato da ErreDiPi, sul quale si esprimeranno i giudici di Losanna. Tuttavia, in attesa di una decisione, un effetto pratico potrebbe non mancare: il ricorso chiede infatti l’effetto sospensivo del voto popolare. Insomma, i tempi potrebbero allungarsi. «Fa un po’ specie che venga chiesto l’effetto sospensivo», commenta il deputato UDC Paolo Pamini. «Il ricorso destabilizza la situazione e non fa altro che aumentare l’incertezza per tutti gli affiliati all’IPCT. Se agiremo raccogliendo firme? Non ne abbiamo ancora parlato». Tuttavia, è verosimile che i democentristi non interverranno, lasciando la palla nel campo dell’ErreDiPi (e dei giudici di Losanna).