Nessuna svolta in vista in Ucraina, nemmeno con i missili
Una normale giornata di guerra? Eccola. Centoventi missili e novanta droni russi si sono abbattuti domenica sull’Ucraina. Vladimir Putin ha attaccato «la produzione di energia e la rete di trasmissione in tutta l’Ucraina». Nelle stesse ore, Joe Biden autorizzava l’Ucraina a usare i missili a lungo raggio per colpire la Russia. Già, una normale giornata di guerra. Una delle tante, come altre 999. Sì, utilizzando il 24 febbraio 2022 come punto di partenza - discusso, in particolare dal fronte russo, che considera l’«operazione speciale» una risposta a una provocazione -, siamo arrivati a quota mille. Il tutto mentre si susseguono gli inviti alla pace. Ieri è stato, per esempio, il turno della Cina, che ha chiesto il «raffreddamento della situazione il prima possibile». E la soluzione suggerita? «Un cessate il fuoco e una soluzione politica». La Russia non vuol parlare di congelamento - sempre ieri lo ha ribadito Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino - e anzi ha visto la decisione di Biden come un’ingerenza che porterà a un «ulteriore aumento delle tensioni». Peskov ha parlato di «benzina sul fuoco».
La distrazione del Kursk
Benzina su un fuoco acceso da ormai mille giorni. E a bruciare è sempre l’Ucraina. A Mauro Gilli, ricercatore associato al Politecnico di Zurigo ed esperto di tecnologia militare e politica internazionale, chiediamo a che punto sia, allora, questa guerra. «Una domanda impegnativa». Ce ne rendiamo conto, anche perché al di là dei ritmi lenti che la caratterizzano, è una guerra con molti interessi in gioco. «Partirei comunque da una tendenza, che è ormai in atto da mesi e che vede l’Ucraina confrontata a crescenti difficoltà nel far fronte alla superiorità numerica russa». Una tendenza che molti avevano previsto, non fosse altro per i numeri in gioco. «Per la Russia, questo vantaggio ha comunque un costo, un costo altissimo, anche in vite umane. Però procede, lenta ma avanza, e l’Ucraina non riesce ad arrestarla. Un po’ per l’inferiorità numerica, un po’ perché su molti fronti si deve affidare a soldati quarantenni, con tutte le implicazioni del caso. Ma d’altronde Kiev è chiamata anche a garantire l’esistenza di un futuro al proprio Paese, per cui non si può permettere di decimare la popolazione giovane, perché poi il problema non farebbe altro che rimandarlo. Anche da qui si spiega un certo scetticismo riguardo l’operazione nel Kursk, che è stata un modo, da una parte, per cercare di obbligare la Russia a spostare parte delle sue forze dal Donbass e, dall’altra, per avere un potere negoziale al tavolo delle trattative». Un’ipotesi, questa, che inizialmente non sembrava trovare grosso credito, ma che negli ultimi giorni si è fatta viepiù credibile.
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Le pressioni di Cina e Occidente
Gilli ha parlato di fatica. Una stanchezza che rischia di riflettersi sull’accettazione della guerra, da una parte come dall’altra. Lo stesso Volodymyr Zelensky ha parlato nel fine settimana di una situazione, al fronte, «davvero difficile». Ha descritto la pressione russa come «lenta ma inesorabile». Il presidente ucraino ha ammesso che i soldati al fronte chiedono a Kiev di fare passi indietro. La risposta: «La nostra posizione di principio è: prima vengono le persone, poi la terra». E la popolazione, secondo qualcuno sempre meno dalla parte dello stesso Zelensky, «continua comunque a dare il proprio supporto al Governo e allo sforzo bellico di resilienza», spiega ancora Gilli. «Ma la stanchezza, più che altro, si riflette semmai sulle pressioni, dirette o meno, dei Paesi occidentali per una tregua. Se non proprio per la pace definitiva, almeno per un accordo. D’altronde c’è la consapevolezza della difficoltà nel mantenere, ancora a lungo, questa situazione, con il tipo d’impegno e il coinvolgimento dell’Occidente». Ci sono anche visioni diverse, come per esempio quelle che parlano di una situazione in divenire negativa per la Russia. «Sì, i risultati positivi del momento potrebbero anche imbattersi in alcuni problemi strutturali, in alcune mancanze a livello soprattutto di manutenzione dei macchinari, i quali potrebbero perdere efficacia». Insomma, dall’inizio della guerra le letture della situazione tendono a divergere. E sappiamo bene come tali divergenze abbiano portato anche a ulteriori spaccature nella stessa società occidentale. «Una cosa resta comunque chiara, indipendentemente dalle letture: la Russia continuerà ad avere accesso a un bacino di popolazione e di mezzi di gran lunga più ampio rispetto a quello ucraino. E da qui non si esce».
Le armi
All’Ucraina allora non resta che continuare a puntare sulla resilienza - legata per forza di cose alla compattezza anche nella popolazione - e sugli aiuti occidentali. Si è parlato molto dei missili a lungo raggio, in questi giorni, del via libera degli Stati Uniti. Mauro Gilli ricorda come un’arma, qualsiasi arma, non possa, da sola, cambiare le sorti di un intero conflitto. Questo va chiarito, al di là di tutti i titoli e di tutte le dichiarazione, da una parte o dall’altra della guerra. «Non cambiano un conflitto né dal punto di vista tattico, né da quello operativo. La guerra è un insieme di fattori. Non ci sono armi che vincono le guerre. Detto questo, l’uso dei missili a lungo raggio in Russia darà comunque alcuni benefici all’esercito ucraino nel Kursk, gli permetterà di raggiungere determinati obiettivi o di spingere la Russia a indietreggiare, rallentandone la macchina bellica, rendendola meno efficace. Ma difficilmente poi saranno decisivi in un’ottica più ampia, anche perché questa novità giunge in modo del tutto estemporaneo. Fosse arrivata con maggiore anticipo e con un potenziale effetto sorpresa, avrebbe potuto rappresentare una svolta, magari, chissà. Ma la Russia ha avuto e ha tutto il tempo per identificare le contromisure tattiche del caso». Lo stesso Peskov, nel suo ragionamento, ieri, è stato molto chiaro. «La posizione della Russia è stata esposta chiaramente da Putin ed è stata ben compresa dall’Occidente e dai Paesi che forniscono questi armamenti. È certo che tali azioni non resteranno senza una risposta appropriata». Per Mosca, insomma, la NATO ha dato un’accelerata al conflitto. «Tenendo conto del cambiamento della stessa essenza di questo conflitto, prenderemo le decisioni appropriate sulla base delle minacce che ci verranno rivolte». Mille giorni, e continua.