Non ci si aspettava granché, e infatti l’accordo trovato sa di resa
L’assenza di ambizioni, alla vigilia, era spiegata con le tensioni geopolitiche legate anche alla questione energetica. L’accordo trovato può soddisfare una parte del mondo, ma preoccupa per quanto concerne la corsa contro il tempo rispetto al riscaldamento globale. Non sono infatti stati compiuti passi in avanti decisivi.
1. La COP27 si è chiusa nella notte tra sabato e domenica, più precisamente alle 7 del mattino. Con quali risultati?
L’assemblea plenaria ha approvato il documento finale dopo estenuanti trattative. Per la prima volta si è parlato di loss and damage (ci arriveremo), il che potrebbe perlomeno soddisfare i Paesi più vulnerabili. E la conferenza ha pure salvato l’obiettivo - fissato a Glasgow un anno fa - di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi dai livelli pre-industriali. L’Egitto, che ha ospitato il tutto, si dice soddisfatto. «Siamo stati all’altezza della situazione», ha dichiarato Sameh Shoukry, ministro degli Esteri egiziano e presidente del vertice numero 27.
2. Già, ma allora perché, al di fuori dell’Egitto, nessuno festeggia? Come si spiegano critiche e perplessità?
Per farla breve: è stato ottenuto un accordo minimo, che non rappresenta un grande passo avanti rispetto al passato. Non a caso, Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, nel suo messaggio per la chiusura della COP, ha dichiarato quanto segue: «Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un tema che questa COP non ha affrontato. Un fondo per i loss and damage è essenziale, ma non è una risposta alla crisi climatica che spazza via una piccola isola dalla mappa, o trasforma un intero Paese africano in un deserto. Il mondo ha ancora bisogno di un passo da gigante sull’ambizione climatica. La linea rossa che non dobbiamo superare è la linea che porta il nostro pianeta oltre il limite di 1,5 gradi di temperatura». Simon Stiell, responsabile ONU per il clima, ha spiegato: «Non è stato affatto facile. Questo risultato andrà comunque a beneficio dei Paesi più fragili. Detto questo, non c’è spazio per arretrare». E ha punzecchiato i piani nazionali, che «semplicemente non tornano». Insomma, gli sforzi da parte di tutti sembrano minimi. Da sforzi minimi, ecco un accordo minimo. Nessuna sorpresa quindi rispetto alla vigilia, quando già si sottolineavano le difficoltà che avrebbe incontrato questa COP.
3. Restiamo sulla questione del loss and damage. Di che cosa si tratta esattamente?
Il testo concordato a Sharm el-Sheikhprevede per la prima volta un fondo per i risarcimenti delle perdite e dei danni del cambiamento climatico in favore dei Paesi per l’appunto più vulnerabili. Era uno strumento che i Paesi del Sud del mondo chiedevano da trent’anni. E la cui creazione ieri è stata applaudita dalla totalità della conferenza. Mohamed Adow, CEO della ONG Power Shift Africa, ha dichiarato: «La COP27 ha fatto ciò che nessun’altra COP aveva saputo fare. La questione non era neppure all’ordine del giorno. Oggi invece stiamo scrivendo la storia». Nelle due settimane di discussione, gli Stati considerati vulnerabili hanno ribadito costantemente la loro convinzione, ovvero di essere le principali vittime del riscaldamento globale, pur avendo partecipato meno dei Paesi ricchi a tali cambiamenti. L’impatto di questi cambiamenti ha aggravato il loro debito e ostacolato il loro sviluppo. «Un circolo vizioso da spezzare», come ha detto qualcuno. L’Unione europea, giovedì, aveva finalmente rotto il ghiaccio, proponendo un meccanismo di finanziamento di perdite e danni, in cambio dell’impegno ad abbandonare per gradi i combustibili fossili. E ora un comitato composto da quattordici Paesi del Sud e da dieci del Nord sarà incaricato di rendere operativo il fondo a partire dalla COP28 del prossimo anno (che si terrà a Dubai). La strada non sarà per forza di cose in discesa, tutto il contrario.
4. I limiti auspicati ai combustibili fossili che fine hanno fatto?
Il documento chiede soltanto la riduzione della produzione elettrica a carbone con emissioni non abbattute, non l’eliminazione. E non dice nulla su riduzione o eliminazione dell’uso dei combustibili fossili. Così si spiega la delusione della stessa UE, che ha denunciato una mancanza di ambizione da parte della conferenza. «Quello che abbiamo non è abbastanza da costituire un passo in avanti per la popolazione del pianeta: non porta sufficienti sforzi aggiuntivi da parte degli inquinatori maggiori», ha esclamato Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea. Vanno considerate le tensioni geopolitiche che hanno fatto da sfondo alle discussioni. Tensioni che hanno generato altre tensioni, quelle a livello di approvvigionamento energetico. Anche da questo contesto era difficile aspettarsi di più dalla COP27. Certo, le nuove promesse non vanno al di là di quelle dello scorso anno. Non aggiungono nulla. Nasce qui la sensazione di aver buttato via un anno nella lotta al riscaldamento globale. «La presidenza egiziana ha prodotto un documento che protegge i petro-Stati e le industrie dei combustibili fossili», ha dal canto suo dichiarato Laurence Tubiana, direttore esecutivo della Fondazione europea per il clima. È chiaro come, senza ulteriori sforzi dei singoli Paesi e senza la partecipazione attiva di Cina e Arabia Saudita - per dirne due -, il pianeta difficilmente riuscirà a contenere il riscaldamento globale a 1,5 gradi.