«Non è possibile essere scienziati e atei»
Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Merito dell’autocoscienza, nostra croce e delizia, se domande simili (pre)occupano costantemente l’animo degli otto miliardi di persone che abitano il pianeta. Come luci in un caleidoscopio, le risposte danzano e mutano, riflesso dell’ambito (sia esso scientifico, filosofico o religioso) nel quale i quesiti vengono posti. Tra le grandi menti che hanno affrontato la problematica v’è anche quella del fisico e astronomo brasiliano Marcelo Gleiser, premio Templeton 2019 (riconoscimento che condivide con personaggi del calibro di Madre Teresa di Calcutta e il 14. Dalai Lama). Con lui, in Ticino negli scorsi giorni per un incontro con i ragazzi della TASIS (The American School In Switzerland) di Montagnola, abbiamo parlato di esplorazione e colonizzazione dello spazio, del rapporto tra scienza e religione, di pregi e pericoli della tecnologia.
Terra e oltre
La scorsa settimana il principe William aveva lanciato un appello: «Gli imprenditori pensino a salvare la Terra, piuttosto che al turismo spaziale». Ma «una cosa non esclude l’altra», ci spiega Marcelo Gleiser. «Andare nello spazio è un passo inevitabile, non dobbiamo però dimenticare il nostro pianeta. È qui che abitiamo tutti, e certamente non possiamo trasferire l’intera umanità su Marte, anche perché è un posto bruttissimo (ride, ndr). Andare nello spazio non è solamente interessante, ma redditizio (pensiamo ad esempio all’estrazione mineraria spaziale), ed è anche per questo che molti miliardari si stanno interessando al cosmo: nell’uomo c’è un forte spirito di conquista, un atteggiamento che ha però già rovinato il nostro pianeta. Ora sarebbe importante cambiare la nostra relazione con la natura: smettere di esserne predatori e imparare ad essere invece parte di essa. Un giorno saremo noi gli alieni, ma ora pensiamo alla Terra».
Ma osservazioni e spedizioni spaziali costano. Prendiamo la ricerca di vita extraterrestre come esempio: seguendo il ragionamento dato dal paradosso di Fermi (fisico italiano vissuto nella prima metà del 20. secolo), se l’Universo pullulasse di vita, non dovremmo avere già incontrato degli alieni? Gli infruttuosi risultati ottenuti sinora nelle ricerche giustificano le spese? «Assolutamente sì», ci spiega Gleiser, «non si tratta di uno spreco di risorse. Una singola portaerei statunitense costa tre miliardi di dollari e altri 100 milioni l’anno per la manutenzione. Una simile somma sarebbe sufficiente a finanziare tutti i progetti che si occupano della ricerca di vita nello spazio. Si tratta dunque di una scelta: abbiamo davvero bisogno di spendere così tanto negli armamenti? Lo slogan dovrebbe essere ‘‘meno Difesa, più Ricerca’’».
«La possibilità di trovare vita è molto piccola», ammette poi l’astronomo, «ma se dovesse succedere si tratterebbe di un momento importantissimo nella Storia. Cambierebbe completamente la nostra conoscenza di chi siamo».
Per effettuare queste ricerche, poi, programmare fantascientifici viaggi di milioni (miliardi) di chilometri non è necessario. «Il bello dell’astronomia è che non dobbiamo viaggiare fino a mondi lontani per imparare: l’osservazione è sufficiente, se si hanno strumenti adeguati. Il 18 dicembre verrà lanciato il telescopio James Webb, un apparecchio incredibile che migliorerà di molto le nostre capacità di osservazione spaziale. Contiene uno specchio di 6 metri di diametro (contro i 2,4 del telescopio utilizzato finora, Hubble) che promette grandi prestazioni, dall’identificazione delle cosiddette biosignature (tracce chimiche tipicamente dovute alla presenza di vita) su altri pianeti alla possibilità di far luce sui misteri del Big Bang». La missione non è senza rischi: «Per far funzionare Hubble si erano rese necessarie delle riparazioni (alla missione aveva partecipato anche l’astronauta svizzero Claude Nicollier, ndr). Il problema con il telescopio James Webb è che sarà posizionato a una distanza talmente elevata dalla Terra, milioni di chilometri, che sarebbe impossibile organizzare una riparazione». Non ci resta che incrociare le dita: «Se tutto dovesse andare per il verso giusto, le possibilità sarebbero incredibili».
Fra spiritualità e scienza
Nella sua vita, Marcelo Gleiser ha scritto molto sulla nascita dell’universo, esplorando teorie creazioniste e lo scientifico «Big Bang». Ma spiritualità e scienza sono compatibili? Secondo il fisico e astronomo, «non solo le due possono essere accostate, ma è necessario che lo siano. Noi esseri umani abbiamo una grande necessità di capire chi siamo, da dove veniamo. Cosmologia e astrofisica hanno un fascino molto grande sulle persone perché sono branche della scienza che studiano le origini, un aspetto condiviso con le religioni». Spiritualità e scienza hanno funzioni diverse, ammette Gleiser: «La religione non punta ad aspetti quantitativi per spiegare i concetti. La fede non ha bisogno di dimostrazioni empiriche, mentre per la scienza è vero l’opposto. A spingere entrambe è però lo stesso motore, la curiosità umana. Le due non sono unite dalle risposte, ma dalle domande». Invece che separarle «è arrivato il momento di unirle, sempre comprendendo però che hanno metodologie e obiettivi diversi», afferma il fisico e astronomo. «Abbiamo bisogno di entrambe».
Marcelo Gleiser, che si definisce agnostico, parla poi delle frizioni tra scienza e religione, quando una cerca di negare l’altra: «L’ateismo radicale e dogmatico di alcuni scienziati non ha per me alcun senso. È incompatibile con la metodologia scientifica. Come possiamo affermare con sicurezza qualcosa (come l’inesistenza del divino) senza prove empiriche? Essere scettici nei confronti dell’esistenza di forze soprannaturali va benissimo, ma bisogna essere aperti e avere l’umiltà necessaria a capire che non possiamo sapere tutto, che il mistero è ovunque. La conoscenza presenta un paradosso: più impariamo, più domande possiamo porci. Sapere porta a non sapere, perché si realizza che ci sono sempre nuove cose da imparare. La scienza non avrà mai tutte le risposte: bisogna accettare questo fatto, che non possiamo sapere tutto».
Minacce per l’umanità
Scienza e tecnologia portano grandi vantaggi, ma anche pericoli. Nel futuro prossimo, secondo il professore, i rischi tangibili sono diversi: tra questi anche l’olocausto nucleare o la perdita di controllo sull’intelligenza artificiale. L’inarrestabile avanzata tecnologica ci spingerà oltre l’orlo del burrone? «Ho tutto sommato una visione ottimistica», risponde Gleiser. «Il problema attuale è che la nostra moralità è ancora molto antiquata, primitiva. Viviamo ancora con grandi divisioni, quasi tribali. La differenza rispetto a 20 mila anni fa è però che ora abbiamo a disposizione strumenti molto pericolosi: moralmente non siamo ancora abbastanza sviluppati da poter far fronte alla presenza di questa tecnologia. L’aspetto positivo è che intravediamo, negli ultimi tempi, l’inizio di un cambiamento: le generazioni più giovani sono più aperte su temi come le differenze culturali, sessuali, politiche».
«La nostra specie», conclude Gleiser, «è molto brava a reagire alle pressioni e il problema di minacce come quelle citate è che esistono ma non sono immediate. Si manifestano lentamente, come il cambiamento climatico. Di questo stiamo osservando le conseguenze negli ultimi anni e le nuove generazioni saranno nei guai. Per questo forzeranno i cambiamenti, perché devono. È importante rimanere ottimisti: col pessimismo si parte già sconfitti, non è di grande utilità».