«Macchine che possiedono tratti umani: ecco che cosa è l'intelligenza artificiale»
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Sempre più spesso, oggi, si sente parlare di intelligenza artificiale (IA) e dei benefici da essa introdotti in tutti i campi dell'attività umana. Per cercare di avere un'idea più chiara su cosa sia questa tecnologia e comprendere quali siano i rischi per la privacy a essa legati abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Andrea Emilio Rizzoli, direttore dell’Istituto Dalle Molle di studi sull’intelligenza artificiale (IDSIA USI-SUPSI) di Lugano.
Che cosa è l’intelligenza artificiale e a quando risale il primo esempio di sistema basato su di essa?
«Non esiste una definizione univoca di intelligenza artificiale. C’è stato un periodo in cui si diceva che l’IA fosse tutto ciò che i computer non erano in grado di fare. Oggi, al contrario, si tende a dire che tutto è intelligenza artificiale e ogni applicazione disponibile sul mercato viene pubblicizzata come se fosse basata su questa tecnologia. In linea generale, possiamo parlare di IA tutte le volte che ci troviamo di fronte a una macchina che mostra tratti tipici dell’intelligenza umana. Affrontando la questione da un punto di vista storico, il termine “intelligenza artificiale” è stato coniato nel 1955 dall’informatico statunitense John McCarthy. Ricerche in questo campo scientifico si conducevano comunque anche prima che la branca venisse definita con un’espressione specifica. Il primo sistema basato sull’IA è, probabilmente, il percettrone, ovvero una sorta di rete neurale (cioè un modello matematico ispirato al funzionamento del cervello, ndr.) ante litteram ideata negli anni Quaranta la quale replicava la struttura di un neurone umano».
Oggi si tende a confondere il concetto generale di intelligenza artificiale con quello specifico di intelligenza artificiale generativa: qual è la differenza?
«L’intelligenza artificiale generativa viene così definita perché è in grado di generare sequenze di dati sulla base dell’addestramento ricevuto. Il vantaggio rispetto alle reti neurali classiche consiste nel fatto che è più potente e multimodale, ovvero è capace di trattare sempre con la stessa efficacia dati di natura diversa, generalizzando i risultati. Volendo semplificare: le IA generative possono svolgere compiti a 360°, mentre le reti neurali classiche possono eseguire solo quelli per i quali sono state appositamente addestrate».
All'intelligenza artificiale è dedicata anche una puntata del podcast «CentoParole»
Precedentemente ha detto che l’intelligenza artificiale è una tecnologia che esiste dal secolo scorso. Come mai, allora, oggi se ne parla così tanto?
«La ragione è da ricercare in due momenti di svolta. Innanzitutto, nel 2012 sono apparsi processori di elaborazione grafica (GPU) con potenza di calcolo maggiore rispetto al passato che hanno permesso di costruire reti neurali profonde, cioè con moltissimi neuroni. Il salto successivo è avvenuto di recente grazie alla creazione di sistemi di intelligenza artificiale generativa con architetture complesse che possono lavorare su quantità enormi di dati dai quali imparano. La chiave di successo di questi nuovi modelli di IA è che sono in grado di dialogare direttamente con le persone attraverso interfacce facili da usare basate su testo, immagini, suoni e video».
Per prevenire eventuali derive legate all’intelligenza artificiale l’Unione Europea ha deciso di regolamentare l’utilizzo di questa tecnologia tramite una legge: l’AI Act. Quanto sono efficaci tali misure e che cosa dire riguardo alla protezione della privacy?
«Quanto fatto dall’UE è un passo utile e necessario che permette di proteggere le persone da possibili abusi. È però ancora presto per dire se tali misure funzioneranno. La protezione della privacy rimane invece un problema aperto di difficile soluzione. Non è un caso che molti colossi dell’informatica che hanno sviluppato programmi basati sull’IA si rifiutino di dire pubblicamente quali dati abbiano utilizzato per addestrare i propri sistemi. Tali aziende giustificano la riservatezza con la necessità di proteggere una loro proprietà intellettuale; alcuni, però, credono che dietro a questa mancanza di trasparenza si celi la paura da parte delle big tech di essere citate in numerose cause per violazione del copyright».