«Non sono da escludere correttivi alla Legge ticinese sugli Archivi»

Ormai da oltre 12 anni, il Ticino si è dotato di una Legge sull’archiviazione e sugli archivi pubblici (LArch) alla quale sono assoggettati tutti gli istituti e le corporazioni di diritto pubblico cantonale e comunale, dunque anche le parrocchie ticinesi e la Diocesi. Tutti questi enti sono tenuti a gestire i documenti in modo ordinato, sistematico e razionale, garantendone l’integrità. Sul tema, diventato di grande attualità dopo la scoperta della distruzione di parte dei documenti dell’Archivio diocesano, abbiamo intervistato Marco Poncioni, direttore dell’Archivio di Stato del Canton Ticino.
Il Cantone e il Dipartimento erano a conoscenza delle condizioni in cui versa l’archivio della diocesi di Lugano?
«Non conosciamo nel dettaglio lo stato dei fondi dell’Archivio diocesano che, conformemente alla legislazione in materia, si occupa in modo autonomo dell’archiviazione dei propri documenti. In generale, quando si parla di archivi e del loro stato in Ticino, occorre tener presente che la Legge cantonale sull’archiviazione e sugli archivi pubblici risale al 2011 e che nei decenni precedenti la situazione era spesso caratterizzata dal degrado e dall’abbandono. Detto questo, nella vicenda va fatta una chiara distinzione: da una parte abbiamo la situazione generale dell’Archivio diocesano, ovvero lo stato di conservazione e l’inventariazione dei documenti; dall’altra, la decisione di distruggere la documentazione relativa agli abusi da parte di membri della Chiesa. Le due cose non vanno confuse e la seconda non è figlia della prima».
Ma è previsto un monitoraggio periodico degli archivi ticinesi di interesse pubblico?
«L’Archivio di Stato ispeziona regolarmente i fondi prodotti dagli organi amministrativi, politici e giudiziari del Cantone, come anche, tramite un apposito Servizio, gli archivi degli enti locali e di altri enti di diritto pubblico presenti sul territorio».
In che modo il Cantone e il Dipartimento hanno svolto in passato - e svolgono nel presente - i compiti di vigilanza e di controllo previsti dall’articolo 18 della legge sugli archivi?
«L’Archivio di Stato interviene sia compiendo puntuali sopralluoghi, spesso su richiesta degli enti stessi, sia svolgendo campagne legate a determinate regioni o tipologie archivistiche. Attualmente sono in corso, per esempio, un censimento di tutti gli archivi del Gambarogno e il riordino complessivo degli archivi patriziali del Malcantone. Alcuni anni or sono, nell’ambito della rielaborazione storica della problematica dei collocamenti coatti e delle misure coercitive, il personale dell’Archivio ha ispezionato i fondi di 27 istituti di collocamento a carattere sociale o educativo».
Nello specifico, in che modo il Cantone e il Dipartimento garantiscono che gli archivi di interesse pubblico provvedano alla conservazione dei documenti in «modo ordinato, sistematico e razionale», garantendo «la disponibilità, l’integrità, la protezione e la sicurezza dei dati»?
«Oltre ad offrire la propria consulenza agli enti produttori per quanto concerne i vari aspetti dell’archiviazione, l’Archivio di Stato partecipa all’allestimento di istruzioni e regolamenti relativi alla gestione documentale e promuove operazioni di sensibilizzazione sull’importanza degli archivi e di una loro corretta gestione. Nel caso degli enti locali, spesso provvede direttamente alla sistemazione dei fondi».


Alla luce di quanto emerso grazie anche al lavoro dei ricercatori dell’Università di Zurigo, è lecito ipotizzare che la mancanza dei controlli previsti dalla Legge sugli archivi sia stata una delle cause che hanno portato a una situazione così grave nei depositi archivistici della diocesi?
«No. Come sottolineato in apertura, vanno distinti chiaramente i due elementi della questione. Va ricordato, inoltre, che all’epoca dei fatti (presumibilmente, la fine degli anni ’90 del Novecento, ndr) la Legge sull'archiviazione era ancora lontana dall’entrare in vigore».
Sempre alla luce di quanto è emerso, il Cantone e il Dipartimento come intendono intervenire in futuro per evitare che situazioni simili si ripetano?
«Nel corso degli ultimi anni, l’Archivio di Stato si è molto prodigato per sensibilizzare uffici e istituti, anche privati, sull’importanza dei loro archivi e sull’obbligo di assicurarne una corretta conservazione. In alcuni casi, di concerto con l’ente produttore, la documentazione è stata trasferita a Bellinzona. Questo impegno proseguirà inalterato anche in futuro. Il Dipartimento potrà inoltre valutare se sono opportuni dei correttivi alla Legge attualmente in vigore».
Più nello specifico, il Cantone e il Dipartimento pensano che sia utile chiedere alla diocesi di Lugano un incontro per verificare le condizioni attuali dell’archivio e concordare una eventuale azione coordinata?
«Chi ha consultato i fondi dell’Archivio diocesano sa che la situazione odierna dei suoi depositi non è così drammatica: gli spazi sono stati completamente rinnovati nel 2013 e la documentazione è gestita da personale qualificato. Fatta salva la facoltà di tale istituto di provvedere in maniera autonoma all’archiviazione dei propri documenti, incontri tesi a migliorare l’archiviazione e la gestione documentale potrebbero senz’altro essere proficui».
È pensabile che il Cantone intervenga finanziariamente a sostegno dell’archivio diocesano?
«Nel 2013 il Cantone ha sostenuto la costruzione del nuovo Archivio diocesano con 2 milioni di franchi. Ulteriori interventi potrebbero entrare in considerazione a determinate condizioni, soprattutto nell’ambito degli archivi ecclesiastici minori. La possibilità di intervenire maggiormente a livello finanziario, o di fare di più in termini di consulenza, è però anche legato alle risorse a disposizione dello Stato, che attualmente è chiamato a una manovra di rientro finanziario».