L’analisi

Non una, ma due superpotenze contro

I rapporti fra la Lituania e la Cina sono ai minimi storici fra incomprensioni su Taiwan e sanzioni, mentre l’invasione dell’Ucraina ha fatto riemergere lo spauracchio della Russia – L’ex repubblica sovietica prova a tenere duro in un contesto internazionale sempre più complicato
© AP/Mindaugas Kulbis
Marcello Pelizzari
06.03.2022 06:00

Gli occhi del mondo sono sull’Ucraina. E non potrebbe essere altrimenti. Non molto distante, tuttavia, un altro Paese sta lottando contro un gigante. La Lituania, sì. Non tanto, o non solo, perché la Russia un giorno potrebbe puntare con decisione verso Vilnius, quanto per il fatto che i rapporti con la Cina siano in picchiata. Ne ha parlato, fra gli altri, l’Economist. Sottolineando che l’Ucraina avrebbe offeso Mosca perché indipendente e filo-europea, mentre Vilnius ha irritato Pechino per aver sposato la causa di Taiwan.

Disturbo politico ed economico
La Cina, va da sé, oltre a non aver gradito certe esternazioni è passata alle vie di fatto, se così vogliamo chiamarle. Tradotto: ha imposto sanzioni economiche alla Lituania, le peggiori per giunta. L’offesa al Partito Comunista, insomma, era esagerata e andava punita.

C’è chi ha minimizzato, per carità: appena l’1% delle esportazioni lituane è destinato alla Cina. Viceversa, il Dragone non ha mai investito tanto in Lituania sebbene avesse lodato a più riprese il potenziale del Paese baltico. Il ministro degli Esteri lituano, citato proprio dall’Economist, ha tuttavia chiarito che le azioni della Cina potrebbero «disturbare, politicamente ed economicamente, il modo in cui funziona il commercio globale».

Stavolta, in effetti, Pechino ha usato la mano pesante. Fermando le esportazioni di Vilnius verso la Cina e, parallelamente, l’importazione di qualsiasi prodotto contenente parti lituane. E attenzione, perché ad oggi il Paese baltico non sta ricevendo alcuna materia prima cinese. Ahia. La domanda, allora, è lecita: oggi l’ira cinese si è scatenata contro la Lituania, e domani?

Taiwan e non Taipei
Un tempo amici, oggi Cina e Lituania sono ai minimi storici. Addio alle rispettive ambasciate nelle due capitali e tanti saluti ai rapporti diplomatici. E questo, semplicemente, perché Vilnius a suo tempo aveva deciso di permettere a Taiwan di aprire un ufficio di rappresentanza nella capitale baltica. Se altri Paesi occidentali si sono piegati al volere della Cina, chiedendo a tali uffici di aggiungere il nome Taipei, la Lituania ha tenuto testa a Pechino. Varcando, di riflesso, una linea rossa e violando il principio dell’unica Cina che sta tanto a cuore al Partito Comunista.

La Russia di mezzo
A gennaio, l’Unione Europea al riguardo aveva intentato causa presso l’Organizzazione mondiale del commercio ed era stata sostenuta da Stati Uniti, Australia, Regno Unito e Giappone. Del tipo: perché sanzioni così pesanti a un piccolo stato come la Lituania?

La posizione interlocutoria della Cina verso la Russia, se possibile, ha peggiorato le cose. La Lituania confina con la Bielorussia e con la stessa Federazione. In passato, controvoglia aveva fatto parte dell’Unione Sovietica. Fu dapprima vittima della cosiddetta Rivoluzione mondiale di Lenin e, in seguito, nuovamente occupata e annessa senza troppi complimenti. Proprio per questo, Vilnius teme che Putin non si fermi all’Ucraina ma voglia riconquistare tutti i territori ex sovietici.

La Cina, d’altronde, il Baltico lo conosce piuttosto bene. Nel 2017, per dire, partecipò a un’esercitazione navale congiunta con la Russia. Le navi cinesi, fra cui un cacciatorpediniere, trovarono posto a Kaliningrad. Un’exclave russa adiacente alla Lituania. La città che diede i natali a Immanuel Kant, sebbene di filosofico e teorico oggi abbia ben poco. Ultimamente, sembrerebbe più votata al pragmatismo nucleare.

Le posizioni critiche
Se la Lituania ha appoggiato Taiwan, va da sé, è anche e soprattutto per lanciare un segnale. Ai tempi dell’Unione Sovietica, il popolo lituano fu maltrattato (eufemismo) da Stalin, con l’Armata Rossa che si macchiò di crimini di guerra ai danni della popolazione locale. Vilnius, altro eufemismo, tornando al presente non ha gradito granché l’atteggiamento della Cina verso gli uiguri come la stretta anti-democratica su Hong Kong.

L’attuale governo di centro-destra ha molto a cuore i diritti umani o, meglio, ha posizioni piuttosto critiche nei confronti di Pechino. Tant’è che non ha impiegato molto per prendere decisioni che, di fatto, hanno dato avvio alla crisi attuale: pensiamo all’esclusione dell’«inaffidabile» Huawei dalla rete 5G lituana, come la chiusura a qualsiasi consorzio cinese per costruire il porto più grande del Paese, a Klaipeda, base strategica per la famigerata Nuova Via della Seta. L’apertura di un ufficio taiwanese, beh, è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Ora, sebbene vi siano partiti di opposizione che suggeriscono un minimo di dialogo con la Cina, appare evidente che la Lituania non abbia fretta. Lo suggerisce l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia: mai fidarsi di una superpotenza autoritaria, per farla breve.

Un miliardo da Taiwan
Ma la Lituania sta temporeggiando con i cinesi anche perché, sulla sponda opposta, Taiwan ha già offerto un aiuto concreto. Un credito pari a 1 miliardo per portare avanti progetti in comune, cui bisogna aggiungere un fondo di investimento di 200 milioni di dollari per le imprese del Paese. La parola magica è semiconduttori. Come dire: fare a meno della Cina e dei suoi metodi «coercitivi», volendo citare Taiwan, si può.

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