L'intervista

Oliviero Toscani malato di amiloidosi: «Si muore, magari chiamo Cappato e vengo in Svizzera»

Il fotografo di fama mondiale ha raccontato la sua malattia al Corriere della Sera: «Fino al giorno prima di essere così, lavoravo come se avessi 30 anni. Poi una mattina mi sono svegliato e all’improvviso ne avevo 80»
© Shutterstock
Red. Online
28.08.2024 09:01

Oliviero Toscani è malato di amiloidosi. Una malattia, ha spiegato il fotografo in un'intervista concessa al Corriere della Sera, per cui «non c'è cura». «Si muore» ha detto senza usare giri di parole Toscani. Di qui, l'amara constatazione: «Sto vivendo un’altra vita. Vengo da una generazione, quella di Bob Dylan, dove eravamo forever young, il pensiero di invecchiare proprio non c’era. Fino al giorno prima di essere così, lavoravo come se avessi 30 anni. Poi una mattina mi sono svegliato e all’improvviso ne avevo 80».

L’amiloidosi, leggiamo, è caratterizzata da un accumulo di aggregati proteici anomali. Aggregati che si depositano in diversi tessuti del corpo, con conseguente danno d’organo. Se ne conoscono, oggi, 41 diverse tipologie. Tra le terapie possibili ci sono cicli di chemioterapia allo scopo di distruggere le cellule del midollo osseo che producono proteine anomale. E poi colchicina, prednisone, diflunisal finanche il trapianto di cellule staminali. Per una speranza di vita dai due ai quattro anni massimo. Toscani ha detto di aver scoperto di essere malato «un po’ prima di un anno fa. Alla fine di giugno mi sono svegliato con le gambe gonfie, ero in Val d’Orcia. Ho cominciato a fare fatica a camminare. All’ospedale mi hanno diagnosticato un problema al cuore. A fine agosto sono andato a Pisa al Santa Chiara e da lì al Cisanello, dove avevamo deciso la data dell’operazione al cuore, intorno al 20 settembre». La diagnosi, tuttavia, era sbagliata: «È venuto a trovarmi il mio amico Francesco Merlo con suo cugino, cardiologo al Giovanni XXIII di Bergamo. Mi ha fatto andare su da loro per altri esami e hanno subito chiamato il dottor Michele Emdin a Pisa, specializzato nella malattia che pensavano avessi: l’amiloidosi. In pratica le proteine si depositano su certi punti vitali e bloccano il corpo».

E si muore, appunto, come ha ribadito Toscani nel corso dell'intervista. Il fotografo, parallelamente, ha ammesso che sta provando «una cura sperimentale, faccio da cavia. A ottobre ho anche preso una polmonite virale e il Covid, mi hanno tirato per i capelli. Penso di essere stato anche morto, per qualche minuto: ricordo una cosa astratta di colori un po’ psichedelici. Quando sto male e ho la febbre riesco a immaginare cose fantastiche… In un anno ho perso 40 chili. Neppure il vino riesco più a bere: il sapore è alterato dai medicinali». Fra le strategie messe in campo dai medici per combattere l'amiloidosi c'è, infine, pure il trapianto dell'organo che viene attaccato. Nel frattempo, Toscani ha smesso di fotografare: «Mi sono liberato di tutto. È questa la bellezza». E la paura di morire? «Basta che non faccia male. E poi ho vissuto troppo e troppo bene, sono viziatissimo. Non ho mai avuto un padrone, uno stipendio, sono sempre stato libero. È John Lennon che disse che la vita è quello che ti succede mentre fai altro? Quando ho detto al mio amico Luciano Benetton che avevo una malattia rara lui mi ha risposto: “Oliviero, tu sei nato con una malattia rara”». Con il magnate «ci sentiamo due volte alla settimana, ma non voglio che venga. È impegnativa per me una roba così». E ancora: «Ora sono come incatenato, ma sono libero di pensare come penso e di agire come penso dovrei».

Toscani si è chiesto, fra le altre cose, come sarebbe stato un problema di demenza ma con un corpo sano: «Sarebbe stato peggio per gli altri»ha spiegato. I medici non gli hanno indicato quanto tempo gli resta da vivere: «Non si sa. Certo che vivere così non mi interessa. Bisogna che chiami il mio amico Cappato, lo conosco da quando era un ragazzo. Ogni tanto mi vien voglia. Gliel’ho detto già una volta e lui mi ha chiesto se sono scemo». L'aggancio, per certi versi, è dato dalla sua mostra al Museum für Gestaltung di Zurigo: «Ha battuto tutti i record, doveva finire a metà settembre e invece la prolungano fino alla fine dell’anno. Pensare che ci passavo davanti, quando ero studente, ammirando chi riusciva a esporre lì. E adesso ci sono io. Non sono ancora andato. Magari, quando torna, mi ci accompagna Ali. E poi magari proseguo il viaggio con Cappato. Farebbe molto ridere».