L'intervista

«Ora dall’Italia ci aspettiamo più impegno al confine sud»

La presidente della Confederazione Viola Amherd a tutto tondo con la Domenica su migrazione, Putin e i rapporti con l'Ue
© Beatrice Devènes/Bundeskanzlei
Davide Illarietti
05.05.2024 06:00

Viola Amherd si concede una sosta, su un divanetto dell’ambasciata svizzera presso la Santa Sede. Le vicine campane di San Pietro suonano mezzogiorno, la Presidente della Confederazione è appena uscita dall’incontro con il Papa e ha poco tempo: un pranzo veloce, poi tornerà in Vaticano dove fervono i preparativi per il giuramento delle Guardie Svizzere. L’agenda è fitta: la conferenza di giugno, la guerra in Ucraina, i negoziati con l’UE, la pressione migratoria in Ticino. Da dove cominciare?

Iniziamo dagli abusi sessuali nella Chiesa. Era il tema «forte» dell’incontro con Papa Francesco.
«È stato uno dei temi di cui abbiamo parlato, non è stato l’argomento principale»

Quale è stato, invece?
«La guerra in Ucraina e la conferenza di pace, direi. La Svizzera e la Santa Sede hanno un interesse comune nel promuovere la pace. È uno sforzo molto importante. Abbiamo parlato anche del ruolo della donna nella Chiesa, e infine sì, anche dei casi di abusi sessuali, che come è noto hanno allontanato molti fedeli dalla Chiesa in Svizzera».

Qual è la posizione del Papa?
«Anche la Chiesa vuole che sia fatta chiarezza su questi casi, naturalmente. Il Papa lo ha ribadito con forza».

Il tema è scivoloso, e le parole del Papa hanno un peso. Di recente, una sua intervista pubblicata da La Domenica ha suscitato grandi dibattiti, per una frase sulla «bandiera bianca» riferita alla guerra in Ucraina.
«Abbiamo parlato dell’argomento, come detto, e posso dire che il Papa ha una grande preoccupazione per le vittime civili, e in particolare per i bambini, sono temi che gli stanno a cuore e vorrebbe fare qualcosa per la pace. Ma dal nostro colloquio non ho avuto l’impressione che dal suo punto di vista la pace debba passare per una «capitolazione» da parte ucraina».

E la sua visione, Presidente, quale è?
«L’Ucraina è un paese sovrano, e credo che non si possa dire all’Ucraina cosa fare».

La lettera a Putin? Non abbiamo ancora visto alcuna risposta

Lei ha scritto una lettera a Putin. Ha risposto?
«Non abbiamo ancora visto alcuna risposta».

È stato un tentativo di aprire la porta alla Russia per la conferenza di pace?
«È stato un modo per far vedere che riconoscevamo il fatto che lui rappresenta di nuovo la Russia. Ma è stata anche l’occasione per ribadire come il rispetto dei diritti umani, civili e politici sono un tema importante per la Svizzera».

Il Cremlino ha sottolineato più volte che non riconosce più la Svizzera come un interlocutore neutrale.
«Questo è il punto di vista di Putin. Dipende da cosa si intende con neutralità. Essere un paese neutrale non significa non avere opinioni. La Svizzera continua a essere neutrale ma, secondo noi, deve stare sempre dalla parte dei diritti umani e del diritto internazionale».

Una cosa è difficile da contraddire, però: senza la Russia, è inutile parlare di pace. O no?
«Noi siamo per la ricerca di una soluzione. Non è possibile trovarla ora: le due controparti sono su posizioni ancora lontane.Dopo il Bürgenstock ci potrà essere un’altra conferenza, in un altro paese, e auspichiamo che la Russia possa essere presente allora».

A cosa servirà, allora, la conferenza svizzera?
«È un primo passo nella direzione giusta. Vogliamo creare una piattaforma di dialogo. E produrre una dichiarazione condivisa da tutti i paesi, che tocchi punti molto concreti: la sicurezza alimentare e degli approvvigionamenti, la sicurezza nucleare e in ambito umanitario devono essere garantite. Sono punti concreti, appunto, su cui serve un consenso internazionale. In una seconda fase, senz’altro, sarà necessario portare la Russia a sedersi al tavolo».

Orban ha espresso apprezzamento per l’iniziativa svizzera, ma non sappiamo se parteciperà di persona. Non avevamo ancora recapitato gli inviti

Zelensky dice che, per intanto, i servizi segreti russi stanno cercando attivamente di sabotare la conferenza. Conferma?
«Non posso dire nulla al riguardo».

Ieri ha incassato la partecipazione di Meloni. E Orban? Ha incontrato anche lui, due settimane fa.
«Ha espresso apprezzamento per l’iniziativa svizzera, ma non sappiamo se parteciperà di persona. Non avevamo ancora recapitato gli inviti».

Parlare con i leader autoritari è utile in questo momento? Lei dice spesso che la democrazia è in pericolo...
«Ci sono indicatori chiari e oggettivi di un peggioramento delle condizioni politiche, e di una difficoltà della democrazia nel mondo, negli ultimi anni. Ma per me la strada del dialogo va sempre tentata. Non c’è niente di più pericoloso dell’assenza di dialogo. L’Ungheria è un paese sovrano, dove il popolo elegge i suoi rappresentati, e questi devono essere i nostri interlocutori».

Meloni è un buon interlocutore?
«Abbiamo avuto un incontro proficuo, e parlato di molte cose. Anzitutto delle relazioni bilaterali, che dopo la visita del presidente Mattarella in Svizzera un anno e mezzo fa sono ancora migliori e più intense. Abbiamo trattato temi specifici, come il supporto dell’Italia nei negoziati Svizzera-Ue, la migrazione, i trasporti e i relativi problemi».

Ad esempio?
«I problemi al traforo del San Bernardo sono sicuramente un argomento di discussione. Servono investimenti ma l’azienda appaltatrice sul lato italiano dice che senza un rinnovo della concessione, non può ammortizzare la spesa. Meloni mi ha detto che l’Italia è intenzionata a prolungare la concessione, ma non è una cosa che si risolverà da un giorno all’altro purtroppo».

Si tratta chiaramente di un tema delicato e per questo supportiamo progetti specifici. La situazione al confine sud viene monitorata attentamente

Nell’incontro non si è parlato di Ticino.
«No».

Si è parlato di migrazione, però, tema caro a Meloni e anche molto «ticinese» visto l’impatto sul confine sud.
«Senz’altro. A questo proposito abbiamo raggiunto un accordo sull’impiego del secondo contributo svizzero, parliamo di 21 milioni di franchi che verranno utilizzati in progetti per l’accoglienza dei minori non accompagnati. Il lavoro è a buon punto e nelle prossime settimane dovremmo poter arrivare alla firma».

Alla frontiera ticinese, intanto, l’arrivo di minori non accompagnati continua a essere un problema. Che rischia di accentuarsi con l’arrivo dell’estate.
«Si tratta chiaramente di un tema delicato e per questo supportiamo progetti specifici. La situazione al confine sud viene monitorata attentamente».

I colloqui con l’Italia porteranno a un miglioramento?
«Sono ottimista. Credo che, in particolare grazie ai progetti sui minori che andiamo a supportare, gradualmente si tornerà al rispetto degli accordi di Dublino».

Il suo mandato da presidente della Confederazione si avvicina al «giro di boa». Il bilancio finora?
«Ho impostato fin dall’inizio la mia agenda su tre temi principali. Il primo sono i negoziati con l’Unione Europea, il secondo la sicurezza e il terzo il multilateralismo. In queste settimane sto lavorando molto sul piano internazionale in vista della conferenza di pace. Nella prima parte dell’anno mi sono concentrata soprattutto su Bruxelles, arrivando a inaugurare ufficialmente i negoziati a marzo assieme a Ursula Von Der Leyen».

I negoziati con Bruxelles? È chiaro che non potremo concludere il lavoro con l’attuale Commissione europea. Ci sarà una nuova Commissione dopo le elezioni, non sappiamo da chi sarà formata

Cosa la aspetta nella seconda metà dell’anno?
«Oltre a portare aventi gli investimenti nella sicurezza, mi occuperò ancora di multilateralismo, sicuramente con una visita all’Onu a New York. E naturalmente dei negoziati con Bruxelles, che entreranno nel vivo».

Le elezioni europee non rischiano di cambiare le carte in tavola?
«Ci sarà una nuova Commissione dopo le elezioni, non sappiamo da chi sarà formata. Sarebbe sicuramente un vantaggio, se mantenessimo gli stessi interlocutori di oggi. Ma non c’è alcuna garanzia in questo senso».

Ignazio Cassis ha detto, alcuni giorni fa, che con l’Europa non ci vuole fretta. È della stessa opinione?
«Siamo sicuramente interessati a procedere in modo spedito. Ci siamo fissati come obiettivo di concludere i negoziati entro la fine dell’anno: è un obiettivo ottimistico, ma vale la pena provare. All’interno del Consiglio federale c’è comunque consenso sul fatto che la qualità è la cosa più importante, e viene prima della rapidità».

Per il Ticino, è sicuramente importante la protezione dei salari.
«Per questo motivo è stato introdotto un minimo salariale, che rappresenta una prima tutela. È comunque fondamentale per il Consiglio Federale che il livello dei salari in Svizzera venga mantenuto, e questo è sicuramente uno dei punti che porteremo avanti nei negoziati».

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