Pagani spiega la sua decisione: «Ex Macello demolito per errore»
Ora è ufficiale. Per i fatti dell’ex Macello il procuratore generale Andrea Pagani - come del resto aveva già annunciato a fine ottobre - ha firmato un decreto d’abbandono. Nessun reato e nessun colpevole. Ma dalle 27 pagine che compongono il documento emergono lacune nella gestione da parte della polizia di quanto accaduto quella sera a cavallo tra il 29 e il 30 maggio. Il magistrato, che ha incontrato la stampa per spiegare le motivazioni che l’hanno portato ad archiviare il caso, ha stabilito che non c’è stato abuso d’autorità, non ci sono gli estremi per il reato di violazioni delle regole dell’arte edilizia e infrazione alla legge sulla protezione dell’ambiente. Discorso a parte per il reato di danneggiamento, accertato, ma caduto in quanto commesso durante uno stato di necessità.
Tutto inizia l’11 marzo
L’inchiesta è stata impegnativa. Basti pensare ai 600 gigabyte di filmati raccolti. E la ricostruzione dei fatti non si è limitata a quanto accaduto il 29 maggio, ma ha analizzato anche quanto successo nei mesi successivi. A partire dall’11 marzo, quando il Municipio di Lugano decide una prima volta di sgomberare l’ex Macello. Due sere prima c’erano stati dei disordini in stazione e la maggioranza dell’Esecutivo aveva deciso di chiudere il centro autogestito. Il 12 marzo lo Stato maggiore della polizia inizia a studiare possibili modalità di intervento. È proprio in questo contesto che avviene il famoso scambio di mail (reso pubblico da Area) tra il vicecomandante della PolCom e lo Stato Maggiore, in cui si paventa la necessità di demolire lo stabile. La settimana successiva - il 18 marzo - il Municipio cambia però idea su suggerimento dell’Ufficio giuridico, che sottolinea come uno sgombero immediato non sarebbe legalmente corretto. Occorre una regolare disdetta della quasi ventennale Convenzione che permette agli autogestiti di restare all’ex Macello. Il Municipio revoca lo sgombero e, appunto, percorre la via «soft» della disdetta ordinaria. E la polizia mette da parte i piani sgombero e indica perfino al Municipio che un intervento al centro sociale non è da prevedere prima dell’autunno.
Volantini e manifestazione
Tra il 20 e il 22 maggio però iniziano a circolare dei volantini in cui viene annunciata, per il 29 maggio, una manifestazione in città. Lo Stato maggiore si riattiva. Il 27 il Municipio decide a maggioranza che, qualora il corteo degenerasse, la polizia può sgomberare l’ex Macello.
«Tra un’ora andiamo a casa»
Il 29 maggio appunto diverse centinaia di persone si radunano a Lugano. A presidiare la manifestazione vengono chiamati in rinforzo anche agenti romandi. Il corteo si svolge in modo tranquillo, tanto da spingere un ufficiale di polizia a scrivere su WhatsApp ai suoi colleghi: «Dai, se adesso svoltano a sinistra e si fermano a Molino Nuovo a far festa come l’altra volta tra un’ora smontiamo e andiamo a casa». Un messaggio importante, secondo Pagani, perché dimostrerebbe che autorità politica e polizia non avessero premeditato di sgomberare e demolire l’ex Macello. Preparato sì, ma non premeditato. Ma che dire allora della «famosa» dichiarazione (resa pubblica da UNIA il 2 giugno) alla Commissione tripartita, in cui sembrava che un’azienda fosse stata allertata già alle 17.50? L’inchiesta, ha spiegato Pagani, ha permesso di stabilire che si è trattato di un errore di compilazione da parte dell’azienda.
Le telefonate delle 21.20
Ma torniamo al corteo, che non si ferma in piazza Molino Nuovo ma procede verso il Vanoni. Una parte degli autogestiti occupano lo stabile e la situazione prende una piega diversa. Alle 21.20 il capoimpiego telefona a Karin Valenzano Rossi (capodicastero sicurezza della Città) chiedendo l’autorizzazione all’abbattimento del tetto ed eventualmente di una parete dello stabile. La municipale ottiene l’ok di altri tre colleghi (Marco Borradori, Michele Foletti e Filippo Lombardi), ma non chiede un parere agli altri, dando per scontato che Lorenzo Quadri sarebbe stato d’accordo e che Roberto Badaracco e Cristina Zanini Barzaghi fossero invece contrari. Mancato coinvolgimento ora al vaglio della Sezione enti locali. Demolizione del tetto (e tamponamento di porte e finestre) che secondo Pagani erano importanti per salvaguardare la sicurezza di tutti - anche degli autogestiti - qualora ci fosse stato un tentativo di rioccupazione.
La planimetria su WhatsApp
È però a questo punto che la macchina organizzativa della polizia si inceppa. Il procuratore generale parla di «claudicante passaggio di informazioni» fra il capo impiego (presente sul posto a Lugano) e un ufficiale dello Stato Maggiore (a Bellinzona). E di «improvvisazione» comunicativa. L’ufficiale a Bellinzona e quello a Lugano non si capiscono. Quello di Bellinzona ordina di procedere con una demolizione parziale, come deciso dal Municipio. «Ma quale parte si deve abbattere?», chiede l’altro. «Ti faccio sapere». L’ufficiale sul posto riceve via WhatsApp una planimetria dell’ex Macello, con evidenziata una parte in giallo. Si convince che quella è la parte da demolire, mentre in realtà è solo la parte in cui andrebbe rimosso il tetto.
Ma perché le ruspe?
Ma come mai, se si voleva abbattere solo il tetto, sono state chiamate delle ditte di demolizione che si sono presentate con le ruspe? Perché, appunto, l’ufficiale sul posto non sapeva che l’intervento prevedeva unicamente la rimozione del tetto. E perché la polizia, all’inizio, non ha avuto contatti diretti con l’azienda chiamata a intervenire. A far da tramite è stata un’altra ditta, che doveva occuparsi di «tamponare» (murare) le porte e le finestre del centro sociale.
Per fortuna c’è poco amianto: la perizia
Il pg ha motivato il decreto d’abbandono basandosi sulla situazione di pericolo imminente per l’incolumità fisica delle persone in cui gli agenti hanno agito. Ma a pesare sono state anche le perizie ordinate sulle macerie, che hanno stabilito la presenza di amianto in quantità non pericolosa. Diversa sarebbe stata probabilmente la situazione qualora fossero state trovate sostanze tossiche in quantità maggiore. È possibile che, al posto di un decreto d’abbandono, si sarebbe proceduto con un decreto d’accusa. Ma nei confronti di chi? Paradossalmente nei confronti di chi ha fisicamente demolito lo stabile (una ditta privata), tenendo però presente che aveva ricevuto ordini da polizia e Municipio.