Musica

Paolo Meneguzzi: «In Sudamerica ogni show è come un grande addio al nubilato»

Il cantautore ticinese reduce dall’ennesimo tour latino-americano si racconta parlando del suo passato, del suo intensissimo presente e del futuro tra nuovi dischi, la sua scuola, i musical e... il cinema
Red. Online
10.05.2019 10:53

Che fine ha fatto Paolo Meneguzzi? Se qualche anno fa il cantante ticinese era un assiduo frequentatore delle cronache e dei palcoscenici televisivi, da qualche stagione sembra infatti essersi eclissato. Eppure, nonostante un profilo decisamente defilato, la sua carriera non è mai stata intensa e frizzante come negli ultimi tempi, anche se in luoghi e con modalità diverse rispetto allo scintillante scorso decennio. E con un sacco di novità all’orizzonte che spaziano tra musica, dischi, teatro e addirittura cinema. Lo abbiamo incontrato per parlare di questa nuova ed interessante fase artistica...

La videointervista

Facciamo un po’ il punto sulla tua attività di cantante...
«Cominciamo andando indietro di qualche anno. Al 2011 quando, una volta terminati i miei obblighi contrattuali con la Sony, ho deciso di fermarmi un attimo. Di prendere un po’ di tempo per me. E la conseguenza è stata uscire dal giro discografico. Con ciò non voglio dire che sono stato fermo, ma che ho proseguito l’attività discografica con proposte a mio avviso interessanti ma discontinue. E che, tra l’altro, sono arrivate in un momento in cui il mercato stava cambiando: c’è stata la rivoluzione dell’online che ha portato anche ad un drastico mutamento delle strategie di vendita della musica. In questo quadro io ho deciso di fare altre cose: ho aperto la PopMusicSchool, mi sono sposato, è nato mio figlio... Una serie di cose che mi hanno portato a vivere la musica in maniera diversa. E non lo dico con rimpianto o con tristezza. In questo periodo ho infatti ritrovato tanto me stesso, ritmi e situazioni di vita che non avevo mai assaporato. Non dimentichiamo che da quando, a 19 anni, ho iniziato la mia carriera in Sudamerica, non mi ero mai fermato, andando avanti a ritmi forsennati per oltre un ventennio. E fermarmi è stato salutare, ho ritrovato valori, amici, la famiglia e ho potuto vivere finalmente in un modo normale e molto bello».

La tua attività concertistica è comunque proseguita senza problemi, anche se in zone ben delimitate – nella fattispecie il sud Italia e l’America latina. E questo nonostante un’attività discografica, come hai detto «discontinua» e, di conseguenza, un’esposizione mediatica ridotta.
«Sul fronte italiano, nel Sud in particolare, le cose sono sempre andate e vanno tuttora ottimamente. Forse è dovuto al fatto che abbiamo sempre lavorato bene, abbiamo fatto un’eccellente opera di semina che, anche ad anni di distanza, continua a dare i suoi frutti. Laggiù la gente mi conosce e ha rispetto per il mio lavoro, per ciò che faccio e per l’impegno che io e il mio team mettiamo in ogni nostra esibizione. Che non è solamente l’andare in scena e far divertire il pubblico per un’ora e mezza: il nostro infatti è un lavoro che ogni giorno inizia nel primo pomeriggio e finisce 2 o 3 ore dopo lo show. E questo perché ho scelto di non puntare tanto sui concerti a pagamento, quanto sui grandi eventi di piazza. Ciò significa che non hai a che fare unicamente con i tuoi fan, ma con tanta gente che, spesso, non sa chi sei e che devi essere in grado di conquistare. Ed è una sfida che si ripete ogni volta e che passa attraverso lunghe sessioni di firma autografi e di selfie, dal tenere un determinato comportamento con chi ti circonda, dal rimanere dopo ogni concerto a stretto contatto con la gente, andare a cena con gli organizzatori... Ci vuole insomma tanta disponibilità e tanta umiltà, farti vedere non come una star ma come un serio lavoratore. E questo alla fine paga, perché alla fine tutti ti vogliono bene, ti richiamano, poi gira la voce, i promoter parlano tra loro ed è una ruota che gira...»

Ancora oggi in Sudamerica le mie esibizioni sono delle mega feste in cui le donne si scatenano come quando erano quindicenni

E in Sudamerica?
«
Lì le cose sono un po’ diverse: laggiù tengo concerti con ingresso a pagamento e con un pubblico, come dicevamo prima, diverso rispetto quello italiano. Anche perché l’esposizione mediatica che ho avuto all’inizio della carriera, era proprio da autentico big. Pensa che nel 1998 firmai un contratto discografico con la Warner Bros USA per la quale le due priorità erano Madonna e Paolo Meneguzzi. Una cosa incredibile! Quindi laggiù ho potuto godere di un supporto discografico e mediatico davvero enorme... All’epoca ero considerato una sorta di Justin Bieber ante litteram. Poi la cosa si è un po’ sgonfiata: un po’ per il carattere del mio allora produttore che non intratteneva rapporti proprio idilliaci con i vertici statunitensi della major, un po’ perché ad un certo punto c’è stato il desiderio di tornare dall’America in Europa».

Ecco: spiegaci perché, agli inizi del Millennio, lasciasti il tuo regno sudamericano per ripartire pressoché da zero in Europa...
«Perché non essere riconosciuti per ciò che fai a casa tua, dai tuoi amici, dalle persone che conosci è decisamente frustrante. E in quel periodo io ho sofferto moltissimo ciò. Certo sembra facile dire “passaci sopra, trasferisciti laggiù visto che hai successo”. Però se non hai dei riconoscimenti in casa ti manca sempre qualcosa. È un po’ quello che vedo negli occhi dei ragazzi de Il Volo che sono delle star in tutto il mondo e soffrono il fatto che in Italia, pur conosciuti, vengono poco considerati. Ed è sostanzialmente per questo che mi sono perso un po’ il Sudamerica per dedicarmi, a partire da quando nel 2001 è arrivato il primo Sanremo, all’Italia e alla Svizzera. E qualche piccola soddisfazione, devo ammetterlo, me la sono presa, anche ad Eurosong che è stata una parentesi bellissima anche se non è andata come speravamo».

Però anche in questo tuo periodo, diciamo così “europeo”, un certo feeling con l’America c’è comunque stato, complice anche un certo Ricky Martin...
«
Sì, è accaduto nel 2007 con Musica, che Ricky ha ascoltato a Sanremo e gli è piaciuta. A quel punto ha preso contatto con la casa discografica e dopo un po’ sono andato a Miami. Lì abbiamo registrato tutto il disco in spagnolo e attraverso la sua etichetta lo abbiamo distribuito negli States. Poi abbiamo fatto un tour e sono di nuovo tornato a Viña del Mar come ospite (era il 2009). Ecco lì ho toccato – anche se non con il successo che si poteva avere – dei vertici straordinari. Sono infatti riuscito a suonare negli studi centrali di MTV, poi al Madison Square Garden... Quello è stato un momento particolare che ha risolto alcune cose che erano rimaste un po’ in sospeso».

Torniamo adesso al Sudamerica, che ad un certo punto hai abbandonato, salvo poi ritrovarlo dopo parecchi anni. E con risultati, bisogna dirlo, sorprendenti, visto che è tornato ad essere una delle tue priorità...
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Quello che ho in Sudamerica è un successo radicato, diverso da quello che ho ottenuto qua. Lì, come detto, ho avuto la fortuna di entrare nel cuore della gente e quando vi entri non esci più. Perché per tante persone rappresenti una parte della loro adolescenza, della loro gioventù che non vogliono dimenticare».

«Musica» è il pezzo che mi ha permesso di tornare in America a vertici straordinari, come suonare negli studi centrali di MTV e al Madison Square Garden

Ma quando hai ripreso i contatti laggiù, credevi che fosse possibile ritrovare la popolarità ed il grande successo degli inizi?
«
Nella vita ho sempre affrontato le cose come vengono, cercando di capire il singolo momento e di gestirlo al meglio. Quindi non sono tornato in Sudamerica con particolari aspettative e ogni volta che vi ritorno è come ricominciare da capo, e cercare di farlo al meglio. E si vede che questo modo di approcciarsi alla fine paga, porta dei risultati. Ma è una costante della vita: quando ti impegni, quando fai le cose non tanto per i soldi quanto per passione, spesso alla fine raggiungi dei risultati che altri non colgono e che magari neppure ti aspetti. Il bello è ogni volta ricominciare e ottenere del riconoscimento al tuo lavoro».

Quest’anno il tuo tour sudamericano è durato molto di più rispetto al recente passato. Segno che il tuo seguito è davvero molto numeroso e fedele. Ma da chi è composto?
«
Da tante, tantissime scatenate ragazze. Infatti ad ogni mio concerto sembra di essere ad un gigantesco addio al nubilato. Sono delle mega feste in cui le donne (prevalentemente tra i 25 e i 35 anni) tornano ad essere delle teenager, si scatenano come quando erano quindicenni. Laggiù sono considerato un simbolo degli anni Novanta per cui non c’è bisogno di proporre cose nuove: bastano le vecchie canzoni che conoscono tutti (ma proprio tutti!) dalla prima all’ultima parola. Tant’è che ogni tanto dico alla band: “stasera proviamo a fare quel tal brano (che è magari la quarta traccia della seconda facciata del terzo disco sudamericano): chissà se qualcuno se lo ricorda”. E poi scoprire che anche quello lo sanno tutti. Una cosa pazzesca».

«Laggiù sono visto come un simbolo degli anni Novanta. Di cui tutti (ma proprio tutti) conoscono a memoria ogni singola canzone».
«Laggiù sono visto come un simbolo degli anni Novanta. Di cui tutti (ma proprio tutti) conoscono a memoria ogni singola canzone».

Adesso abbandoniamo il Meneguzzi cantante e parliamo del Meneguzzi insegnante. Da tre anni sei infatti impegnato nel progetto PopMusicSchool: un’avventura che all’inizio sembrava azzardata ma che invece funziona a pieno regime. Come stanno andando le cose in questo tuo nuovo campo di attività?
«Benissimo: abbiamo circa 500 allievi, alcuni dei quali fanno dei doppi corsi per un totale di circa 900 corsisti. La PopMusicSchool, in sostanza, non è altro che la struttura che avrei voluto poter frequentare io. Quella che vedi nei film, quella che ti porta a sognare. Perché il nostro, fondamentalmente, è un lavoro fatto di sogni. Il che non vuol dire che vendiamo sogni, illusioni. Però portiamo gli allievi in un clima di passione talmente grande che ci mettono l’anima per fare le cose. Le sognano. E quando una cosa la sogni ti ci butti a capofitto, studi musica, canto, danza, entri in una dimensione artistica molto forte. Ecco, in questa scuola sto mettendo tutto quello che, in 24 anni di attività, ho capito è mancato nella mia formazione e che, per alcuni versi, ha limitato il raggiungimento di certi livelli, quelli di artisti tipo Justin Bieber, Justin Timberlake, i re del pop di oggi, che sono delle personalità davvero complete. La mia idea era dunque quella di creare una scuola in grado di portare i ragazzi a progredire in tante materie – la registrazione, la danza, il canto – in modo che potessero arrivare a 18-19 anni e giocarsi l’accesso ad un’accademia prestigiosa, piuttosto che ad importanti casting o ad affrontare con piena padronanza il palcoscenico».

Paolo Meneguzzi nella sede della sua PopMusicSchool a Mendrisio.  (Foto Gabriele Putzu)
Paolo Meneguzzi nella sede della sua PopMusicSchool a Mendrisio. (Foto Gabriele Putzu)

La tua scuola si distingue soprattutto per la multidisciplinarietà: canto, ballo, recitazione che poi hanno nei musical che producete, la principale espressione...
«
Sì anche perché abbiamo constatato che sono i percorsi formativi a progetto (che si tratti di realizzare un musical piuttosto che una pièce teatrale) a funzionare meglio con i ragazzi. Li stimolano infatti molto, dando loro quel valore aggiunto di cui hanno bisogno. Oggi il tradizionale saggio scolastico, infatti, non funziona più: per motivarli davvero devi fare uno spettacolo, in modo che possano sentirsi dei veri artisti parte di un progetto importante. Ed è partendo da ciò che abbiamo impostato il lavoro alla PopMusicSchool che si sviluppa da un lato su un progetto di musical, poi c’è il percorso “web serie” che abbiamo inserito recentemente ed è apprezzatissimo dai giovanissimi».

Di cosa si tratta?
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È un percorso che vede i ragazzi studiare canto, danza e recitazione – con insegnanti diversi – in modo da avere delle basi tecniche per realizzare una web serie di una ventina di puntate che verrà messa in rete alla fine dell’anno: è una sorta di Camera cafè in stile Disney Channel che ha quali protagoniste 30 scalmanate ragazzine dagli 11 ai 14 anni che raccontano le loro storie. Storie che sono scritte dai nostri allievi del corso di sceneggiatura».

La mia idea era creare una scuola in grado di portare i ragazzi a progredire in tante materie in modo che possano arrivare a 18-19 anni e giocarsi l’accesso ad un’accademia prestigiosa, ad importanti casting o ad affrontare con padronanza il palcoscenico.

Un percorso formativo, mi sembra di capire, circolare...
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Sì, e basato proprio sulla già citata multidisciplinarietà. E che comprende un riadattamento del musical Romeo & Juliet realizzato due anni fa e che riproporremo dal 29 al 31 maggio al Palacongressi di Lugano in chiave comica, ma nel contempo legata alla struttura originale della pièce shakespeariana che pochi realmente conoscono. Sabato 11 debutterà inoltre a Mendrisio la versione teatrale di Fame per la cui realizzazione abbiamo creato una compagnia – battezzata Compagnia Teatrale Ticinese – della quale fanno parte soprattutto nostri allievi che hanno ultimato il loro percorso nell’ambito del musical e che ora si buttano nella prosa. E poi c’è il film...»

Prego?
«Beh, vedendo i ragazzi così entusiasti della loro esperienza nel musical, ho deciso di lanciarmi in un’operazione ancora più pazza: la realizzazione di un film musicale alla Sister Act che sarà cantato ballato e recitato da una cinquantina di ragazzi ticinesi tra i 15 e i 25 anni che si stanno già preparando. Lo gireremo infatti nell’estate 2020: quello del film è un percorso di formazione molto intenso di due anni che sta mettendo in mostra incredibili talenti».

I manifesti delle due produzioni della PopMusic School in scena in questi giorni a Mendrisio e Lugano.
I manifesti delle due produzioni della PopMusic School in scena in questi giorni a Mendrisio e Lugano.

E nei ritagli di tempo intanto continui a fare il cantante...
«
Già, nei ritagli di tempo (ride – ndr). Comunque sto preparando un disco nuovo. Il cui primo singolo si intitola Supersonica e uscirà a breve. Mentre l’album completo arriverà probabilmente ad ottobre».

Musicalmente cosa conterrà?
«
Tutto il pop che ha caratterizzato la mia vita: melodia e sonorità elettroniche dalle quali non mi sono mai staccato e che continuano ad appassionarmi. Un disco nel quale non tornerò a fare il Paolo Meneguzzi di prima, ci sarà un’evoluzione che segue ciò che mi è piaciuto di più negli ultimi anni... E che i ragazzi mi hanno fatto conoscere (stare con loro è una scuola straordinaria), iniziandomi anche ai loro linguaggi, come quelli della trap. Ed è stato proprio questo avvicinamento che ho avuto con i ragazzi che mi ha ritrovare la voglia di rimettermi in gioco. Alla PopMusicSchool, insomma, sono io stesso ad imparare molte cose».

La copertina del nuovo singolo di Paolo Meneguzzi, in uscita nelle prossime settimane e intitolato «Supersonica».
La copertina del nuovo singolo di Paolo Meneguzzi, in uscita nelle prossime settimane e intitolato «Supersonica».

Ma nel futuro ti vedi più artista o insegnante?
«
Più che insegnante mi piace vedermi come una persona che riesce a percepire ciò che può funzionare. Dunque più un produttore (e d’altronde alla PopMusicSchool io non insegno – mi occupo infatti prevalentemente della parte amministrativa), ossia colui che, grazie all’esperienza, può dire ad un ragazzo cosa fare e cosa non fare. Ecco, dovendo scegliere tra un mio successo personale e quello di un ragazzo che ce la fa perché siamo stati in grado di crearli un percorso, un progetto ideale, credo che opterei per quest’ultimo”.

Un’ultima domanda legata ad un’altra tua iniziativa: ProgettoAmore.ch che negli scorsi anni si è distinta in Ticino per una serie di giornate all’insegna della solidarietà e della racconta fondi a favore dell’infanzia e l’adolescenza disagiata. Anch’essa è sparita dai nostri radar: che fine ha fatto?
«
Dopo tante giornate di grande successo – e di altrettanto impegno – era tempo di prendersi una pausa di riflessione, non tanto sull’idea in sé quanto sulla sua strutturazione e organizzazione. Stiamo infatti lavorando un nuovo format della manifestazione, al passo con i tempi, in grado di coinvolgere e sensibilizzare ancora di più i giovani e le loro famiglie sulle problematiche legate ai giovanissimi che, purtroppo, sono sempre più presenti nella nostra quotidianità. In attesa di ripartire al più presto, nel frattempo, forte anche dell’esperienza di ProgettoAmore.ch, sto collaborando alle iniziative dell’associazione internazionale SOS Villaggi dei Bambini. Dalle quali sicuramente trarremo degli insegnamenti anche per il futuro di ProgettoAmore e dei progetti che sostiene».