Paolo Pininfarina: «L’auto elettrica è una strada senza ritorno»

Le auto le ha letteralmente nel DNA. Paolo Pininfarina, classe 1958, rappresenta la terza generazione di una famiglia che per quasi 90 anni ha scritto la storia dell’automobilismo. Dal 2008 è presidente della società di design fondata dal nonno Giovanni Battista Farina detto «Pinin», la Pininfarina appunto. Abbiamo incontrato questo imprenditore carismatico a Cambiano (Torino), dove tutto ebbe inizio nel 1930. Il gruppo, che oggi conta 600 collaboratori, dopo aver attraversato anni di crisi profonda, ha ritrovato le ali grazie alla recente acquisizione da parte del gruppo indiano Tech Mahindra. Paolo Pininfarina, tra l’altro, sarà in Ticino mercoledì 29 maggio per una conferenza organizzata dal Rotary Club Lugano Lago. Cronaca di un incontro decisamente fuori dal comune.
Paolo Pininfarina si guarda attorno nel suo ufficio di Cambiano e con un sorriso orgoglioso indica una parete piena di fotografie: «Ecco, queste sono macchine che parlano dei nostri standard di eccellenza e che hanno fissato un’asticella da superare, prima di tutto per noi». Auto talmente belle da sconfinare nell’arte: la Cisitalia 202 dal 1952 esposta al Museo di Arte Moderna di New York (MoMA), è una prima mondiale. «Un’auto deve essere innovativa, pura, elegante, aerodinamica, fluida. Soprattutto non deve essere decorativa», aggiunge. La Lancia è stata la prima grande collaborazione di Pininfarina, iniziata dal nonno Gian Battista Farina, poi con il padre Sergio è arrivata la Ferrari per oltre mezzo secolo, ma anche Fiat, Peugeot, GM, BMW. «Mio padre era un ingegnere e da lui ho imparato proprio tutto. Come comportarsi con le persone, coi dipendenti, a non abbattersi nelle difficoltà senza esaltarsi quando le cose funzionano. Ho avuto la fortuna di lavorare con lui per 25 anni, era un lavoratore assiduo ed era attivo in un sacco di associazioni. Ma erano tempi diversi: lui aveva tre figli in azienda e avevamo quattro relazioni importanti. Ora per fare le stesse cifre abbiamo cento clienti.

Quindi capisce perché la famiglia ha dovuto integrarsi in una struttura manageriale e perché io non farò mai il presidente dell’Unione industriale di Torino o di Confindustria». «Mio nonno invece era un visionario, una sorta di Richard Branson dei giorni nostri con la spregiudicatezza dei fuoriclasse. Mi ha insegnato a volare alto e a osare per emergere dalla mischia». Proprio a lui è dedicata l’ultima creazione della Pininfarina, la «Battista», un’ipercar elettrica che coi suoi 1.900 CV sfreccia da zero a 100 km/h in neanche due secondi. Paolo Pininfarina si illumina. «È l’ultima sfida, quella di disegnare il nostro stesso marchio nel settore motoristico», esplorando l’affascinante mondo del futuro (quello elettrico). «È la stessa visione di velocità e prestazione con un’areodinamica intuitiva ed estrema di un’Aprilia del 1937 o un Abarth Record degli anni ‘60. E sono due progetti firmati dal fondatore, per cui sono fiero di aver battezzato quest’auto così». Ma la Battista non è solo una questione di massima potenza in pista. «L’auto elettrica (ad alimentazione a rete, ndr) è una strada senza ritorno. Infatti le argomentazioni dei detrattori si smontano una dopo l’altra. Si troverà il modo di smaltire le batterie, le infrastrutture stanno nascendo, e le lamentele perché sono silenziose...è da anni che combattiamo l’inquinamento fonico! Ha ragione Briatore: l’auto elettrica è connessa. La Formula 1 è uno spettacolo circense, sì, ma inquina ed è rumorosa, è totalmente sconnessa dalla realtà». E poi, aggiunge, «l’e-car non ha gli stessi vincoli delle auto a motore per il design. In futuro potremmo anche guidare macchine con una forma completamente diversa». La tentiamo. L’anno prossimo Pininfarina festeggia 90 anni, vedremo una Battista «2»? «Intanto nel 2020 la Battista entrerà in produzione. E poi voglio ben sperare che faccia qualche giro in Formula E», risponde secco Paolo Pininfarina.



Le macchine tuttavia da tempo non sono più l’unica attività nel portafoglio della Pininfarina. Dopo anni di profonda crisi, in cui la società si è trovata costretta a cercare l’aiuto delle banche prima di essere acquistata dal conglomerato tecnologico indiano Tech Mahindra nel 2015, la produzione CVM (Contract Vehicle Manufacturer) delle auto è stata abbandonata. «Era una parte importante del fatturato, trovarsi con una azienda di dimensioni molto più ridotte ha creato dei problemi finanziari», ammette Paolo Pininfarina. Ma, aggiunge, l’eccellenza dello stile e dell’ingegneria è sempre stata mantenuta. «Ed è questo che vogliamo continuare a fare. Il designer deve far diventare un oggetto personale e dotarlo di una sua “user experience”, auto o non-auto. Io credo molto nell’eccellenza che nasce dalla contaminazione dei settori, infatti abbiamo deciso di concentrare i centri per il design auto e non-auto in un unico settore». La Pinifarina oggi mette la sua firma su cucine, biciclette, cabine funicolari, accessori domestici, elementi di domotica, gioielli. Sulla scrivania ci sono in bella vista una fila di penne che funzionano senza inchiostro, oltre a un rendering immobiliare. Il settore immobiliare si sta sviluppando velocemente all’interno dell’azienda. A Cipro ad esempio, sta arrivando una torre di lusso: uno degli ultimi progetti tra oltre 600 già sviluppati in tutto il mondo, che includono lo stadio della Juventus e l’aeroporto di Istanbul. Paolo Pininfarina si avvia ai 61 anni e da quasi undici è presidente della società. Chi arriverà dopo? «Mio nonno ha fatto il presidente per 36 anni, mio padre per 40 anni, poi mio fratello solo per due anni per una tragedia, e io l’ho fatto per quasi 11 anni. Quindi calma e gesso. La quarta generazione c’è, per sistemarla c’è ancora un po’ di tempo».
"Dalla creatività pura all'industria e allo sviluppo"
È molto emozionante essere in mezzo a tante auto che hanno fatto la storia del design. Qual è il segreto per rendere una macchina così affascinante?
«Penso che una componente che fa davvero la differenza sia la storia, è un grosso valore garantire coerenza in eccellenza per quasi 90 anni. Soprattutto considerando che il lavoro è cambiato: fino agli anni ‘50 producevamo creatività pura, poi si è aggiunta tanta industria e sviluppo. La coerenza è anche una forma mentale: bisogna avere chiari i valori fondativi, che per noi sono tradizione, ricerca e visione del futuro, attenzione alla qualità e ai dettagli. Non facciamo nulla di nuovo. O meglio, facciamo tutto nuovo, ma non c’è nulla di nuovo».
La Pininfarina tuttavia arriva da un decennio non facile, tra difficoltà finanziarie e cambi strutturali. Cosa sogna per i prossimi dieci anni?
«Diciamo che abbiamo attraversato l’oceano e ora siamo nella Terra promessa. Ci sono tre pilastri nel nostro portafoglio di attività. Il design è l’anima di Pininfarina e qui puntiamo all’eccellenza a 360 gradi: cioè auto ma anche i verticals, come ad esempio i mezzi di trasporto, l’immobiliare che ha un potenziale enorme, la nautica, l’aerospaziale. Vogliamo potenziare il business dell’ingegneria auto, che va sia a supporto della produzione delle nostre linee di montaggio, ma che può anche essere proposta ai clienti. Infine il manufacturing, altra componente storica del nostro DNA, con la costruzione di pezzi unici e serie limitate. Senza penalizzare l’Italia vogliamo anche far crescere le filiali estere».
Il vostro CEO ha detto che in cinque anni l’obiettivo è triplicare il fatturato e che c’è spazio per fare acquisizioni.
«Beh, io preferisco parlare di strategia senza dare dei numeri così precisi. Per l’ingegneria vogliamo aumentare le masse critiche, e questo potrebbe anche passare attraverso delle alleanze. Anche per il manufacturing stiamo valutando delle collaborazioni. Nel design il potenziale di crescita c’è sia all’estero che coi verticals (circa il 15% delle nostre attività). Poi per coltivare i talenti stiamo spingendo su un maggiore coinvolgimento aziendale sul territorio. Anzi, le svelo che per i 90 anni della Pininfarina si prepara un progetto molto speciale, un’Academy: non vogliamo essere identificati dai giovani come un tempio aristocratico del design!».


A proposito di legame col territorio, il settore del design indipendente italiano aveva bisogno dell’estero per sopravvivere?
«Ha bisogno di partner finanziari e industriali, perché il sistema Paese ha accumulato un grosso ritardo su tanti parametri (infrastrutture, tecnologia...). Sopravvivono le realtà di eccellenza che lavorano con l’estero. L’estero d’altra parte è un’opportunità ma anche un rischio. Se fai affari con la Cina rischi di inimicarti gli USA. Ci sono tante regioni in subbuglio (Gran Bretagna, Medio Oriente, America Latina). La Germania è stata investita dal Dieselgate e ora deve investire miliardi in economia sostenibile...».
Il design italiano però è sempre apprezzatissimo in tutto il mondo.
«Beh certo, facciamo cose che sono classiche ma mai vecchie. L’Italia è diversa dagli altri Paesi perché ha la storia, e la storia è tutto. Se l’Italia avesse investito in infrastrutture ed educazione oggi sarebbe come il Giappone. Anzi meglio, perché è più facile fare cose belle quando ti svegli e vedi il Duomo di Firenze invece della skyline di Kyoto».
Con una storia familiare come la vostra cosa vuol dire avere casa madre in India?
«Credo che la nostra partnership sia quella giusta. Mahindra è un partner non solo finanziario ma anche industriale. Il loro portafoglio clienti (ne hanno 800, noi 100) è un’enorme opportunità. La solidità finanziaria ci ha permesso di reintegrare delle collaborazioni automobilistiche che stavano venendo meno e di stringerne altre a lungo termine. Al contempo restiamo completamente indipendenti per operatività e dirigenza. E infine abbiamo forti affinità culturali. Tech Mahindra fa capo a una famiglia, sanno cosa vuole dire avere una lunga tradizione e le difficoltà di integrarsi nel management. Non è poco».
L’industria automobilistica ha ancora spazio per investire nel design, visti i margini sempre più compressi?
«È un rischio ma è l’ultima spesa che taglierei. Molte case con un marchio forte come Ferrari, Fiat, Peugeot hanno creato il loro centro interno tagliando le collaborazioni. Ma le grandi innovazioni spesso arrivano da contaminazioni con altre case. Il design vale solo l’1 o il 2% dell’investimento totale per produrre un’auto. L’esperienza mi dice che spesso la differenza tra investire o no è quella tra un successo o un flop».



Uno degli eventi che ben misura il polso dell’industria auto è il Salone di Ginevra. C’è chi lascia, mentre voi quest’anno addirittura eravate presenti con due stand. Resta una valida vetrina per le auto?
«Intanto attenzione, a Ginevra erano presenti due entità distinte. Automobili Pininfarina è una società tedesca controllata al 100% da Mahindra con la missione di produrre auto di lusso e gran lusso con marchio Pininfarina. Pininfarina Spa è una società italiana, di Mahindra al 76% e quotata per il restante 24%, che fornisce design ed altri servizi sia ad Automobili Pininfarina, sia ad altri clienti. Detto questo, siamo Ginevra dalla prima edizione del 1930, per me è un salone meraviglioso, sinonimo della massima qualità espositiva. Però il mondo dei trasporti cambia, ci sono nuovi player e l’industria è sotto pressione. Le società tagliano anche sui 300.000 euro di affitto al salone. Ginevra come kermesse per convincere dovrà aprirsi, forse allargarsi alla nuova mobilità e rinnovarsi».
A proposito di nuova mobilità, uno dei temi caldi a Torino è la TAV. Cosa ne pensa?
«Tocca un tasto sensibile. Come imprenditore sono ben conscio dell’importanza della logistica, in più sono anche figlio di mio padre, che era stato presidente del comitato della ferrovia ad alta velocità per la Torino-Lione e deputato al Parlamento europeo (nella commissione dei trasporti, ndr). L’Italia ha deciso di non decidere: per me è un’escamotage per scollinare le elezioni europee ed evitare un dossier scottante per il Governo. D’altra parte non abbiamo la cultura della consultazione popolare come in Svizzera. Anche se certe cose non so quanto sia giusto farle decidere alla gente: guardiamo che caos c’è adesso in Gran Bretagna per aver fatto votare tutti».
Cosa preparerete per i vostri 90 anni?
«Li festeggeremo a maggio 2020, ci saranno sorprese a Cambiano e a Ginevra. Per ora dico che vorremmo aggiornare il catalogo delle auto Pininfarina aggiungendo gli ultimi 30 anni. Per i 60 anni mio padre disse: “possiamo dire che Pininfarina è un’azienda giovane”. Figuriamoci a 90 anni!».
Di cosa ci parlerà a Lugano?
«Ottima domanda. Di tradizione e di innovazione... Ma in realtà non lo so ancora» (ride, ndr).