L'intervista

«Perché il Bergoglio progressista è solo un equivoco dell’Europa»

Loris Zanatta, ordinario di Storia e Istituzioni dell’America Latina all’Università di Bologna, ha scritto un libro sulla storia politica e intellettuale del Papa argentino
Jorge Mario Bergoglio è stato eletto Papa 12 anni fa, il 13 marzo 2013. ©ALESSANDRO DI MEO
Dario Campione
08.03.2025 06:00

Loris Zanatta, ordinario di Storia e Istituzioni dell’America Latina all’Università di Bologna, almeno da tre decenni studia il rapporto tra la Chiesa cattolica e la storia dell’Argentina. Il suo ultimo libro, Bergoglio. Una biografia politica, appena pubblicato da Laterza, è una delle poche letture critiche del magistero papale uscite da quando il pontefice sudamericano è salito sul trono di Pietro.

Professor Zanatta, dove nasce il suo interesse per Bergoglio, e perché ha voluto scrivere una «biografia politica» del Papa?
«Il mio interesse nasce prima in forma casuale, poi in forma più consapevole. Casuale perché molto tempo fa, decenni prima che un Papa argentino giungesse in Vaticano, il caso volle che proprio in Argentina il mio direttore di tesi di dottorato mi assegnasse un lavoro sui rapporti fra la Chiesa e la politica. Il libro che ricavai dalla tesi di dottorato fece un certo clamore: riscopriva l’influenza della Chiesa cattolica nella storia argentina, un’influenza pressoché occulta alla maggior parte dell’opinione pubblica e degli intellettuali. Da allora, ho sempre studiato la Chiesa argentina, e non solo, e mi sono convinto con il corso del tempo che il rapporto tra politica e religione, in generale, sia uno strumento per comprendere la storia contemporanea molto più importante e rilevante di quanto si creda».

E perché un libro su Francesco?
«Sono un laico, un non credente. Non ho niente contro la fede, ma non la pratico. La mia è una “biografia politica” del Papa, scritta con il linguaggio della storia politica. Avendo una conoscenza della storia religiosa argentina vecchia di trent’anni e, credo, piuttosto approfondita, avendo lavorato in molti archivi ecclesiastici, le biografie esistenti di Bergoglio non mi hanno mai convinto. Anzi: alcune di esse mi sono sembrate veramente distorte. Così mi è parso necessario scrivere questo libro».

Lei ha detto: «Stento spesso a riconoscere il Bergoglio delle biografie e dei media europei. Mi pare ora un’invenzione interessata, ora un desiderio inconscio, fondati su gesti e frasi fuori contesto. Su miti. I quali non importa siano veri, basta che soddisfino i bisogni di chi vi crede».
«Preliminarmente, va considerato un punto: la maggior parte delle biografie del Papa è scritta oggi volgendosi all’indietro. Molti sono gli studiosi corsi a Buenos Aires, nel marzo del 2013, per tentare di capire da dove venisse Jorge Mario Bergoglio. Lo capisco, è logico e ragionevole. A me è accaduto invece l’opposto. Sono partito da dietro e arrivato all’oggi. Nella maggior parte delle biografie, Francesco è capace di dialogare con la modernità, è un pontefice aperto, tollerante, progressista. Tutte parole, però, che andrebbero contestualizzate. Vede, questa apertura del pontefice è tale nel mondo occidentale, ma non nel Sud del mondo dove, viceversa, la sua difesa delle culture tradizionali è totale e riproduce quanto da lui promosso per una vita in Argentina, cioè l’identificazione tra cultura e religione e tra religione e popolo, con la conseguente visione del popolo come unità politica. Mi è sembrato necessario spiegarlo».

È per questo che lei sostiene come soltanto a «un amore preconcetto» possa «sfuggire lo smaccato pregiudizio antioccidentale» del Papa argentino?
«Bergoglio, a differenza dei predecessori, non viene dal cristianesimo europeo che, bene o male, volentieri o no, ha finito per accettare la modernità, conviverci, e quindi riconoscerne l’intrinseco pluralismo. Arriva da una cristianità, quella ispanica, e dentro quella ispanica soprattutto quella argentina, che ha sempre ambìto a essere tutto, a conquistare cioè tutto e tutti i popoli. Egli stesso dice di non essere interessato alla pecora che già è nel suo ovile. Ma di voler riconquistare la pecora che è uscita dall’ovile. In questo senso, ha una visione tendenzialmente totalizzante. Il suo è un cattolicesimo che, fin dalle origini, combatte la modernità illuminista, liberale, laica e non le riconosce dignità. Papa Ratzinger sosteneva che l’illuminismo avesse dato un apporto fondamentale alla civiltà europea, che la civiltà europea fosse fatta di cristianesimo ma anche di illuminismo. Bergoglio, invece - ed è veramente tipico della tradizione cattolica ispanica e, ripeto, argentina in particolare - per tutta la vita ha combattuto la modernità illuminista e liberale, pensando che fosse una forma di cristianesimo inconsapevole. Vuole redimerla, oppure la combatte come il demonio. Di qui, il grande equivoco sulla sua figura».

Ma se quello che lei dice è vero, se il Papa pensa che l’Occidente ormai scristianizzato sia il “nemico” irrimediabilmente perduto, perché allora piace così tanto a un’ampia parte dello stesso Occidente?
«Io credo che stiamo vivendo in uno spirito dei tempi in cui in Occidente prevale una tendenza a biasimarci di ogni male, una sorta di autoflagellazione che, detto di passaggio, ricorda tanto l’ambiente culturale europeo di un secolo fa, la “decadenza dell’Occidente” di cui si parlava negli Anni ’20 del Novecento. Bergoglio si innesta in questo spirito dei tempi, per cui tutte le tematiche contemporanee si prestano a una visione redentiva del mondo. Nel libro, insisto molto sulla sua chiave di lettura della realtà, che è molto tradizionale: l’idea, la filosofia secondo cui la storia sia apocalisse e redenzione. L’apocalisse è l’Occidente egoista, individualista e materialista, che ha traviato il mondo. Tutti gli ismi possibili e immaginabili sono stati diffusi dall’Occidente. Ma la stessa apocalisse annuncia la redenzione. E la redenzione - nella filosofia della storia di Bergoglio - non può che giungere dalla periferia. Non solo dell’Occidente: dalla periferia del pianeta. La sua idea è che i popoli del Sud del mondo conservino ancora quella religiosità, quel legame con il soprannaturale che l’Occidente ha perso. Il Sud dovrà quindi redimere il Nord. Il che è una proiezione, sul piano globale, di ciò che il Papa ha fatto tutta la vita in Argentina, pensando il popolo come popolo dell’evangelizzazione, quindi puro, spontaneo, ideale. Un popolo idealizzato che aveva la funzione di redimere le élite le quali, invece, imbevute di ideali liberali e illuministi, erano irrimediabilmente corrotte. Peraltro, questo fu, nella sua ottica, anche il ruolo del peronismo».

Lei fa un riferimento anche a Romano Guardini, uno dei teologi più amati da Francesco, e lo collega alle tesi di Heidegger sulla crisi irreversibile dell’Occidente.
«Da Guardini, papa Francesco ha assorbito ciò che già aveva, un approccio pessimista - per non dire catastrofista - alla modernità. Bergoglio vede nella modernità la separazione dell’uomo dallo spirito e dal creato. Una crisi antropologica irrimediabile. E però, alla fine, Guardini tutto sommato è un uomo non così apocalittico sul futuro, cercava pure lui una forma di composizione con la modernità».

Lei dice nel libro che Bergoglio è una sorta di «poliedro», insieme messianico e pragmatico, integralista e possibilista, progressista e tradizionalista, quasi una figura difficile da afferrare.
«Se ci affidassimo soltanto alle citazioni di Bergoglio, troveremmo tutto e il contrario di tutto. È veramente una persona che, nel linguaggio, ti porta ovunque. Lo ha sempre fatto, al punto di rendersi pressoché incomprensibile. A seconda della platea, Francesco modula il linguaggio, per cui effettivamente, negli anni del pontificato, si vede il Bergoglio che in Europa parla un linguaggio e il Bergoglio che nel Sud del mondo o nell’Est europeo grida sempre, in maniera molto esplicita, di fare attenzione alla modernità, di non cadere nelle tentazioni del progresso. E quel progresso è sempre la civiltà occidentale, secolare, laica».

Non si può negare, tuttavia, che in alcune scelte Francesco abbia svoltato rispetto al passato. Penso, ad esempio, agli incarichi di governo affidati nella Curia di Roma alle donne.
«Tutti cambiamo, e sarei stupido e anche in cattiva fede se non concedessi a Bergoglio il dubbio di avere modificato talune sue idee, tanto più che la funzione obbliga ai cambiamenti. E però, nel suo stile di governo, al di là di misure più o meno cosmetiche - e non andrei oltre questo termine - non vedo grandi cambiamenti. Prendiamo, ad esempio, l’apertura alle donne: è indubbia. Ma sembra una di quelle riforme che, in qualche modo, tentano di attenuare o di bloccare la richiesta di una rivoluzione molto più profonda. Non a caso, in molti luoghi e in molte occasioni diverse, Francesco è stato contestato dalle teologhe femministe, le quali gli chiedevano di aprire al sacerdozio delle donne».

Storia politica e storia intellettuale

Il nesso idee e azioni
Il libro di Loris Zanatta su papa Francesco - Bergoglio. Una biografia politica (Laterza 2025, pagine 320, € 20) - è un documentatissimo excursus sulla vita e sul pensiero del pontefice argentino, interamente fondato sugli scritti del Papa e su testimonianze dirette di chi lo ha conosciuto in Argentina e in Sudamerica prima dell’elezione al soglio di Pietro. «La sua storia politica è inseparabile dalla sua storia intellettuale. Da ciò la centralità del nesso tra idee e azioni, parole e fatti», scrive Zanatta.

Le cinque fasi della vita
Il volume è diviso in cinque capitoli, ciascuno dedicato a una fase della vita dell’attuale pontefice:

1. Il mondo di Bergoglio, 1936-1973
2. Il provinciale, 1973-1983
3. Morto e risorto, 1983-2001
4. Il caudillo, 2001-2013
5. Papa Francesco